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vendredi, 08 janvier 2010

La Russia sbarra il passo allo scudo antimissile USA

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La Russia sbarra il passo allo scudo antimissile Usa

 

Gli stati canaglia-terroristi e i nemici della globalizzazione

 

di Federico Dal Cortivo / Ex: http://www.italiasociale.org/

La Russia è decisa a creare le misure adatte per contrastare il tentativo neppure tanto nascosto degli Stati uniti di accerchiarla, mediante stati “vassalli” e uno scudo antimissile, che nelle intenzioni di Washington, dovrebbe essere costituito in funzione anti-terrorismo. Se il primo motivo è quello più temuto dai Russi, il secondo ,sia pur non più così in voga come ai tempi di Bush , resta pur tuttavia una reale possibilità.
Ma per la politica globale Usa, vi sono anche altri obiettivi, i cosiddetti” terroristi”, che sono tutti coloro che si oppongono alla politica egemone della globalizzazione, dal Venezuela di Hugo Chavez, alla Corea del Nord, dall’Iran alla Russia. Nel recente passato vi erano inclusi anche la Serbia di Milosevic, rea di interpretare una via autonoma in politica interna ed estera, e l’Iraq di Saddam, vecchio alleato degli Stati Uniti ai tempi della guerra contro l’Iran di Khomeini, trasferito poi nella lista dei cattivi quando c’era da impossessarsi delle immense riserve petrolifere di cui abbonda il sottosuolo iracheno.

E di queste giorni la notizia proveniente da Vladivostok ,nell’Estremo Oriente, per bocca del Primo Ministro Putin, che la Russia svilupperà nuove armi offensive per contrastare le batterie antimissile statunitensi, questo a salvaguardia dell’equilibrio internazionale che si regge sulla reciproca dissuasione. Nulla di nuovo quindi da parte della Russia, che negli ultimi anni ha ripreso in mano il proprio destino grazie all’accorta politica di Putin e di Medvedev. Russia che ha già dato prova della propria fermezza durante le operazioni militari condotte in Georgia, sbaragliando in poco tempo le forze locali appoggiate dai consiglieri israeliani e dell’Us Army.Ma non è solo la Russia ad impensierire la politica estera di Washington, proprio nel cosiddetto cortile di casa si stanno materializzando “nuovi nemici” . L’America Latina sembra aver imboccato una strada a senso unico che va a cozzare contro gli equilibri che gli Stati Uniti avevano sapientemente costruito per meglio depredare il continente delle sue immense ricchezze naturali, fondamentali per l’industria statunitense,per non dire vitali. La Bolivia di Evo Morales, l’Ecuador di Rafael Correa e il Venezuela di Chavez stanno creando un fronte unico incentrato sull’alleanza politica Alba, che a fatto proprie le idee rivoluzionarie di Simon Bolivar e del migliore socialismo nazionale. E se il Brasile di Lula ancora indugia su dove posizionarsi apertamente e l’Argentina della presidente Kirckner potrebbe fare la differenza in un prossimo futuro tra chi ha scelto la via nazionale e socialista e chi è ancora vassallo Nord Americano come Cile ,Perù e Colombia ; qualcosa sta finalmente cambiando negli equilibri di questa parte del mondo. Un nuovo asse di speranza sta nascendo e ha gettato le proprie basi , lo si potrebbe chiamare Sud-Sud oppure America Latina - Eurasia, sta di fatto che il recentissimo viaggio del presidente iraniano Ahmadinejad che ha toccato Brasile, Venezuela e Bolivia, è doppiamente significativo: sotto il profilo geopolitico è volto a creare quell’alleanza che permetterà all’Iran di uscire da una sorta d’isolamento in cui l’Occidente lo vorrebbe relegare( la Russia al momento è troppo impegnata nel delicato scacchiere dei rapporti con Washington e si è per il momento defilata dal prendere una posizione più netta nei confronti di Teheran)e al tempo stesso darà la possibilità alle nazioni Latino Americane di avere un alternativa all’Occidente con cui relazionarsi, da affiancare ai buoni rapporti con Russia , Cina e India. Sul versante economico invece gli accordi bilaterali che sono stati stipulati durante la visita del presidente iraniano, rappresentano un qualcosa di assolutamente nuovo perché non sono più basati sul rapporto sfruttatore e sfruttato, con tutto quello che ne consegue in termini di intromissione negli affari interni del continente Sud Americano, ma su base paritaria, volta al reciproco sviluppo.

Tutto ciò non poteva non provocare apprensione al Dipartimento di Stato, che come al solito ha scatenato la ben oliata macchina mediatica tesa a criminalizzare tutti coloro che si oppongono alla globalizzazione o al cosiddetto “ volere di Washington”. E così come da copione non passa giorno che dalle colonne del Financial Times, New York Times, fino ad arrivare agli allineati Le Monde e Corriere della Sera, non si faccia l’esame di democrazia agli Stati canaglia, non si enfatizzi marginali episodi di piazza, come di recente in Iran, che riguardano sparuti gruppi di protesta, su una popolazione che sfiora i settanta milioni di persone. Inflazionato è poi l’uso del termine “regime”, per designare tutti gli Stati sulla lista nera Usa,così come dare del dittatore anche a chi come Chavez o lo stesso Ahmadinejad sono stati regolarmente eletti in libere elezioni. Ma questi sono dettagli e fanno parte del copione recitato da oltre un secolo dalle plutocrazie occidentali ogni qualvolta volevano scatenare una guerra d’aggressione,oggi anche affiancate dal “cane da guarda sionista”, che per sopravvivere in un mondo sempre più arabo, e dopo essersi macchiato ripetutamente di “crimini di guerra”, ha l’estrema necessità delle inarrestabili forniture di armi a fondo perduto che la potenza Nord Americana elargisce a piene mani.

E proprio l’entità sionista, dotata di armi nucleari, rappresenta il pericolo più grave per la pace del Vicino Oriente e non certamente la Repubblica Islamica dell’Iran, che cerca solamente di dotarsi di centrali nucleari in prospettiva futura, quando anche l’abbondante petrolio della regione comincerà a scarseggiare.
Israele ha manifestato più volta la precisa volontà di un attacco preventivo volto a distruggere gli impianti nucleari iraniani, la sua aviazione avrebbe già pronti i piani operativi, ma su tutto necessita sempre il disco verde degli Usa e la collaborazione dell’intelligence statunitense ed eventualmente delle sue aereo cisterne strategiche, le sole che possano garantire la riuscita di un attacco ad una distanza maggiore di quello già effettuato dalla Israeli Air Force nel 1981 contro il reattore nucleare di Tammuz in Iraq.
Per funzionare il piano israeliano deve essere pressoché perfetto ed anche per l’allenata macchina bellica sionista la cosa potrebbe presentare qualche problema di troppo, sempre che non ci metta lo zampino il potente alleato di sempre che ha tutt’oggi un interesse primario nel vedere scomparire l’attuale governo iraniano . “Dopo aver distrutto i centri nevralgici della sua economia, ecco pronto qualche doppiogiochista alla Karzai, che consegnerebbe il Paese alle grandi Corporation statunitensi, libere di mettere le mani sulle grandi riserve petrolifere iraniane”. Ma il grande incubo degli Stati Uniti è la possibilità neppure tanto remota, che le future transazioni del petrolio possano essere fatte non più in dollari ma in euro,e la costruenda borsa di Kish potrebbe segnare la svolta.

In questo progetto monetario,l’Iran ha incontrato il favorevole appoggio di Caracas e un domani vicino potrebbe trovare l’assenso della Russia e della Cina, trascinandosi dietro l’India ed altri Stati Latino Americani.” Nel 2003 Giampaolo Caselli esperto di economia politica scriveva:Tutti i contratti petroliferi sono fatturati in dollari, qualora alcuni Stati produttori dovessero preferire l’euro, il tasso di cambio fra le due valute sarebbe sottoposto a ulteriore tensione, e si comincerebbe ad assistere alla sostituzione del dollaro con l’euro come moneta di riserva di molti Paesi produttori di petrolio, ed eventualmente da parte della Cina ,che ha già annunciato un tale movimento di fronte alla perdita di valore del dollaro.”(1)
Nel 2000 fu proprio la decisione di Saddam Hussein di adottare l’euro come moneta per i pagamenti delle forniture del piano Oil for food ad innescare il processo che portò poi alla guerra del 2003. Ora gran parte degli scambi di idrocarburi avviene sulle borse di Londra e New York, in pratica gli angloamericani controllano le maggiori transazioni a livello mondiale, la borsa di Kish, sarebbe un’azione ostile verso gli interessi vitali degli Stati Uniti e il fatto che il dollaro sia l’unica moneta finora utilizzata permette alla sofferente economia Usa di finanziare gran parte del proprio enorme passivo. Nel vertice degli Stati dell’Opec nel 2007 affiorò una linea di pensiero che sinteticamente così recitava:L’Impero del dollaro deve finire”, dissero all’unisono Chavez e Ahmadinejad .
La sfida per i futuri assetti economici non è mai cessata, ma ora stanno entrando in campo diverse variabili a livello geopolitico che potrebbero riservare non poche sorprese nei prossimi anni, con un mondo che potrebbe non essere più unipolare, con la potenza egemone attuale costretta sulla difensiva su vari teatri, anche se i rischi di pericolosi colpi di coda ed annesse guerre di aggressione sono sempre possibili…Ma intanto Mosca ha deciso di giocare da subito la carta del riarmo. Come dicevano i Romani,che di queste cose se ne intendevano “Si vis pacem para bellum”.


Federico Dal Cortivo


1)”I predatori dell’oro nero e della finanza globale”.
Benito Livigni

SISTEMA DI DIFESA ANTIMISSILE IN EUROPA


Il Progetto dell’Amministrazione Bush


L’Amministrazione Bush e la MDA (Missile Defense Agency, Agenzia per la Difesa Antimissile) presentano il sistema di difesa antimissile americano, inclusa la sua componente da basare in Europa, come uno strumento urgente ed essenziale per garantire la protezione del territorio statunitense ed europeo da un attacco missilistico da parte di quelli che essi chiamano “stati canaglia”, quali la Corea del Nord e l’Iran ( eventualità alquanto improbabile).
Il sistema europeo di difesa antimissile, GMD (Ground-based Midcourse Defense, Difesa basata a terra contro i missili in fase intermedia di volo), sarebbe uno degli elementi del più vasto BMDS (Ballistic Missile Defense System, Sistema di difesa contro i missili balistici), analogo alla componente già basata in Alaska e in California. Quest’ultima è costituita, oggi, da una ventina di missili intercettori a tre stadi (diventeranno più di quaranta entro tempi brevi) per proteggere il territorio statunitense da un attacco missilistico da parte di stati come la Corea del Nord.
 

02/01/2010

mercredi, 06 janvier 2010

Next Stop: Yemen - The panty-bomber and US foreign policy

cpmf06war.jpgNext Stop: Yemen

The panty-bomber and US foreign policy

December 30, 2009 / http://original.antiwar.com/ 

The abortive efforts of the "panty-bomber" have inspired the War Party to focus on a new front in our ongoing and seemingly permanent "war on terrorism": Yemen, a godforsaken outpost of medievalism and sun-scorched desert on the northern shores of the Red Sea, is now taking center stage as al-Qaeda’s latest purported stronghold. Taking advantage of the outcry following the panty-bomber’s near-deadly escapade, the Yemeni government is calling on the US for yet more aid and assistance – in addition to the tens of millions already being pumped into that country – to fight "terrorism," and specifically al-Qaeda, which is said to have around 300 fighters hiding somewhere in Yemen’s isolated and virtually inaccessible outback.

Senator Joe Lieberman is calling for "preemptive" military action, averring:

"Somebody in our government said to me in Sana’a, the capital of Yemen, ‘Iraq was yesterday’s war, Afghanistan is today’s war. If we don’t act preemptively, Yemen will be tomorrow’s war.’ That’s the danger we face."

Lieberman never met an Islamic nation that he didn’t want to invade and subjugate, but in the case of Yemen, the misdirection such "preemption" would represent for US policy in the region couldn’t be more deceptive. For the real source of irritation to the US, and its Saudi Arabian ally, isn’t al-Qaeda, but Iran.

Yemen has been embroiled in a civil war since the mid-1990s, one that has little to do with al-Qaeda and everything to do with the historical and religious currents that have swept over this poverty-stricken nation of some 20 million since the end of World War I. The Ottoman empire once claimed suzerainty over the region, but never succeeded in subduing the northern tribes who maintained their independence through all the days of British domination of the south, and then the imposition of Marxist one-party rule in the name of the southern-dominated "Democratic Republic of Yemen," which was a Soviet ally during the cold war era.

The ferociously independent northerners are religiously and ethnically distinct from their fellow countrymen, adhering to a version of Shi’ite Islam, unlike the Sunni majority in the more settled southern provinces. For years the northerners have waged a battle against the central government, under the general rubric of the "Houthi," named after their former leader, Hussein Badreddin al-Houthi, killed by the regime in 2004. For its part, the central government has been dominated by a central figure, Field Marshal Ali Abdullah Saleh, who has ruled since 1978, when the President of the Yemeni Arab Republic (YAR) was assassinated (some say at the instigation of Saleh). Since that time, Saleh has systematically jailed, killed, or otherwise eliminated any who would oppose him.

The Yemeni central government has been none too subtle in its tactics, launching what they themselves called "Operation Scorched Earth" in an effort to defeat the northern rebels. This campaign provoked a refugee exodus from the battlefield in which tens of thousands of displaced persons fled to the south, where they were housed in sprawling camps. Meanwhile, the Saudis were drawn into the conflict, using their air force to bomb and strafe rebel villages, and sending their troops into direct skirmishes with the Houthi. Fearful that the spreading influence of the Houthi Shi’ites would infect their own minority Shi’ite population, particularly in al-Hasa and other oil-producing provinces of the Kingdom, the Saudis are determined to crush the Yemeni insurgency, and have doubtless encouraged their American patrons to get more directly involved.

The Saudis and the Yemeni central government have portrayed the Houthis as Iranian pawns, and the conflict has been defined as a proxy war between Tehran and Riyadh – yet the real roots of the civil war are buried in Yemen’s storied past, where the religious and political divisions that currently bedevil the regime in Sana’a, the capital city, have their origin.

In addition to the Houthi rebellion in the north, the central government faces a secessionist movement in the south, which has, up until now, largely confined its activities to peaceful protests and demonstrations. Yet the government has treated them in the same way it has confronted the Houthis: with violent repression. Recent demonstrations held by the separatists were met with brute force: eight newspapers were closed by the government for daring to report on the secessionists’ activities.

Naturally, the Yemeni government has every interest in portraying the southern secessionists as a conspiracy hatched by al-Qaeda, and the northern rebels as proxies for Iran – and the US is buying into it, big time, with $70 million in US military and "development" aid this year alone, and much more in the pipeline. Now that President Obama has pledged to "use every element of our national power to disrupt, to dismantle and defeat the violent extremists who threaten us, whether they are from Afghanistan or Pakistan, Yemen or Somalia, or anywhere where they are plotting attacks against the U.S. homeland," the road is opened to a deepening US presence in that war-torn country, up to and including the large-scale presence of American troops.

Change? Far from reversing the policies of the Bush era, President Obama – swept into office by war-weary voters who mistook his opposition to the Iraq war as a general tendency towards non-interventionism – is not only continuing but expanding the American offensive, which is now engulfing Pakistan and spilling over into the Arabian peninsula. As for "al-Qaeda on the Arabian peninsula," this fits right into their plans for a general conflagration in the region, which will set Sunni against Shia, Saudis against Yemenis, and everyone against the United States.

Iraq, Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia – nothing is beyond the scope of American ambitions to dominate the region, and apparently nothing short of a voter rebellion at home will deter Obama from this suicidal course. The war begun by Bush, and continued by Obama, is widening. As the showdown over Iran’s nonexistent nuclear weapons program proceeds – from draconian sanctions and American sponsorship of terrorist groups in Iranian Balochistan, to a proxy war in Yemen – the stage is being set for a new world war. Al Qaeda is the pretext – but Iran is the target.

NOTES IN THE MARGIN

I was going to write a New Year’s summing-up column, but the rush of events – the brouhaha surrounding the panty-bomber, and the sudden prominence of Yemen in the administration’s war plans – forced a change of plans. Stuff keeps happening, and I have the distinct – and sinking – feeling that this augurs yet another spate of "interesting times," as the old Chinese proverb would have it. We are saddled with a President who feels compelled to prove that he isn’t "weak" on national security – and a Congress that essentially acts as a chorus to his war cries, echoing and ramping up the bombastic belligerence that has characterized the "national style" since 9/11. Yes, we’re still trapped on Bizarro World, where up is down, war is peace, and this year’s Nobel winner is launching what may very well turn out to be the third world war.

As we hurtle, however unwillingly and fearfully, into 2010, I can say without exaggerating in the least that Antiwar.com is more essential than ever – and now is your last chance to make a contribution that you can deduct from your 2009 tax bill. And what better way to register your protest at a world that, each and every day, seems more irrational and inclined to self-destruction? We may yet prevent the worst from happening: but remember, we can’t do it without your help.

Also: Don’t forget to check out my continuing contributions to The Hill, where my (brief) commentary appears online five days a week. And while you’re at it, check out Chronicles magazine, where I’m writing a monthly column. Last, but very far from least, I continue to contribute to The American Conservative: my latest piece is an essay-review of a book by the conservative philosopher Russell Kirk on the life and career of Robert A. Taft.

Happy New Year!

mardi, 05 janvier 2010

Limes 6/2007 - Pianeta India

Limes 6/2009 in edicola e in libreria dal 31 dicembre

Pianeta India

Sommario






EDITORIALE - IL GIGANTE BUONO





(clicca sulle miniature per andare alle carte)



PARTE I INDIA/INDIE

Francesca MARINO - Esiste l’India?

Quasi nulla accomuna il miliardo e duecento milioni di indiani: né la lingua, né la religione, né l’etnia, né le condizioni socio-economiche. Eppure l’identità nazionale esiste e si propone come modello di convivenza. Una lezione per l’Occidente.

Meghnad DESAI - Un paese di successo che resta molto povero
Le riforme economiche degli ultimi vent’anni hanno prodotto tassi di crescita invidiabili, persino in piena recessione globale. Ma centinaia di milioni di indiani sopravvivono ancora con uno o due dollari al giorno. La stabilità politica e la questione delle caste.
Enrica GARZILLI - Gandhi dinasty
Una grande famiglia per la più grande democrazia del mondo, dove le cariche si tramandano per via parentale. Dal padre del primo capo del governo indiano fino al figlio di Sonia, una storia di potere, influenza e nepotismo.
K.P.S. GILL - La resistibile ascesa dei maoisti nel Bengala senza Stato
Le tappe storiche del movimento naxalita in uno degli Stati più poveri e martoriati della Federazione Indiana. Auge e declino dei ‘nemici’ marxisti. La debole risposta dello Stato. Chi vincerà le prossime elezioni?
Ajai SAHNI - Il cancro maoista si batte con più Stato
La guerriglia naxalita guadagna terreno nelle immense campagne dell’India, escluse dalla modernizzazione. L’ideologia non c’entra niente: a spingere i contadini alla rivolta è la miseria. E decenni di politica corrotta e incompetente.
Kanchan LAKSHMAN - Il Pakistan resta uno Stato canaglia
Malgrado le pressioni americane e i successi dell’intelligence indiana, Islamabad continua a sostenere il terrorismo jihadista. La strage di Mumbai dimostra che, ormai, la minaccia va ben oltre il Kashmir. La mappa del rischio. Le risposte di Delhi.
Daniela BEZZI - Corridoio rosso
Viaggio nel Jharkhand tribale, epicentro di un territorio ingovernabile conteso da etnie, movimenti ribelli, grandi industrie a caccia di materie prime. L’efficienza dei maoisti. Una campagna elettorale tra miseria, corruzione e India Shining.
Francesca MARINO - Il Gujarat è questione di Modi
Lo Stato dell’India occidentale è nelle mani del primo ministro Narendra Modi. Implicato nei massacri del 2002, deve la sua forza al rigore morale e alle capacità amministrative. Strumenti che presto potrebbero portarlo alla guida del paese.
Bhikhu PAREKH - Il dolore di Gandhi se tornasse in India
Lo Stato per il quale il Mahatma si era battuto e che aveva tanto amato oggi calpesta i princìpi del maestro. Corruzione, povertà, indifferenza e ignoranza rispecchiano il fallimento del progetto originario. Le basi del risorgimento gandhiano.
Chitvan GILL - Tutte le strade portano a Delhi
Città dalle mille anime, la capitale dell’India è un concentrato di stranezze e contraddizioni. Nella sua storia tragica e grandiosa è racchiusa l’essenza di una nazione in bilico fra passato e futuro. Che non ha paura del mondo. Ma ha imparato a temere se stessa.
Luca MUSCARÀ - Slums e globalizzazione
In India fioriscono le megalopoli, dove si concentrano in modo stridente le contraddizioni fra le punte ipermoderne dell’industria e la miseria delle baracche. Trecentodieci milioni di anime in cinquemila città: l’urbanizzazione indiana procede senza sosta.
S.D. MUNI - La diaspora indiana: una risorsa strategica emergente
Dai servi per debiti ai grandi manager, l’India ha esportato nel mondo le sue due facce. Dopo esser stati mal considerati, oggi gli emigrati sono premiati con alte onorificenze. I casi della Birmania, dell’Africa Orientale, del Golfo e delle Figi. Le rimesse e il Kerala.
Marco RESTELLI - Se dici cinema dici India
L’industria della cellulosa di Delhi ha saputo negli anni superare i confini nazionali e imporsi nel mondo. Grazie al Middle Cinema, sintesi perfetta tra le pellicole di Bollywood e i film d’autore, e alle cifre d’incasso. Ma l’Italia non se ne èaccorta.
Paola TAVELLA - Nehru e i Mountbatten: amore, sesso e geopolitica
La relazione fra il primo leader indiano e la moglie dell’ultimo viceré britannico sarà al centro di un film che già scatena polemiche internazionali. Un rapporto speciale che favorì l’India nella partizione del Punjab.
Alberto BRACCI TESTASECCA - Il viaggio freak nell’India del velo di Maya


PARTE II NON (ANCORA?) UNA GRANDE POTENZA

Parag KHANNA - Il futuro dell’India è tra i grandi del mondo
Conversazione con Parag KHANNA, direttore della Global Governance Initiative e Senior Research Fellow presso l’American Strategy Program della New America Foundation di Washington, a cura di Fabrizio MARONTA
Beniamino NATALE - La fine di Cindia: venti di guerra sul confine indo-cinese
Negli ultimi mesi sono riesplose le dispute geopolitiche e le antiche rivalità fra Delhi e Pechino. La ricognizione di una frontiera mai definita evidenzia i rischi di un nuovo conflitto fra le due potenze nucleari. Il caso Tibet e la questione dell’Arunachal Pradesh.
P.R. CHARI - A che serve la Bomba
Messi da parte i princìpi gandhiani e considerata la minaccia della coppia Cina-Pakistan, dagli anni Sessanta Delhi ha lavorato al nucleare militare. Il ruolo decisivo di Indira Gandhi. Le ambigue concezioni strategiche delle Forze armate indiane.
Ezio FERRANTE - Oceano nostro
Delhi considera l’Indiano come un vastissimo mare nostrum e sta attrezzando la sua Marina per sostenere tale ambizione. I porti strategici e la produzione in proprio di portaerei. Fantastrategie antiamericane.
Vijay PRASHAD -Tutta colpa dei britannici se ci scanniamo per le frontiere
Le linee tracciate frettolosamente da Londra in Asia meridionale, in specie fra India e Pakistan, sono all’origine dei contenziosi frontalieri nella regione. Conflitti spesso illogici, ma che alimentano potenti warfare States. La disputa sino-indiana.
Raimondo BULTRINI - Dove rinascerà il Dalai Lama?
Il caso del monastero di Tawang, nell’estremo Nord dell’India, dove potrebbe reincarnarsi la guida spirituale tibetana. Un altro motivo di tensione nei rapporti fra Pechino e Delhi. Se l’Oceano di Saggezza si sdoppia.


PARTE III AFPAK: UNA GUERRA INDO-PAKISTANA

Nirupama SUBRAMANIAN e Pervez HOODBHOY - Gemelli diversi
Dopo gli attentati di Mumbai l'Indiasi interroga su quale atteggiamento tenere con il suo turbolento vicino. Spente le luci di una possibile distensione, prevale la prudenza. Meglio un Pakistan democratico ma instabile o la relativa affidabilità dell’esercito? Un’opinione indiana e una pakistana a confronto.
Ayesha SIDDIQA e B. RAMAN - Afghanistan, triangolo a due lati
Solo il concorso di tutti gli attori regionali potrebbe, forse, stabilizzare il baricentro degli equilibri centrasiatici dopo il ritiro definitivo delle truppe Usa. Ma le geometrie immaginate a Islamabad e Delhi, sorrette da paure e ambizioni contrapposte, si elidono l’una con l’altra. Un analista pakistano e uno indiano ci spiegano i rispettivi perché.
Praveen SWAMI - Chi tocca il Kashmir muore
L’assassinio di Fazal Haq Qureshi, leader dei musulmani kashmiri favorevoli al dialogo con Delhi, riapre lo scontro nella regione contesa fra India e Pakistan. Dalla partizione ad oggi, la tormentata storia del conflitto indica che la pace è ancora lontana.


liMesIN PIÙ

John C. HULSMAN - No, he can’t
Dalla disputa israelo-palestinese all’Afghanistan e all’Iran, per il presidente Usa la forbice tra aspettative e risultati si è pericolosamente allargata. Gli eccessi retorici e le aporie strategiche del miglior leader di cui l’America disponga. Qualche suggerimento per far meglio.
Matteo TACCONI - La Bosnia che non esiste entrerà in Europa quando l’Europa sarà morta
La pace fredda, al massimo tiepida, non ha alternative in quel che resta del paese spartito tra croati, serbi e bosgnacchi. Con i soldi altrui e sotto il protettorato internazionale, le tre etnie dominanti si sono arroccate nei rispettivi territori.
Marco ANSALDO - In Corea del Nord non si può passeggiare
Nonostante un certo ammodernamento, il paese asiatico resta isolato dal resto del mondo. Una cortina d’acciaio, fatta di controllo serrato, autocensura e austerità, è stesa con sapienza dal potere che la lascia penetrare solo dagli aiuti umanitari.
Raymond BARRE - Alexandre Kojève, il consigliere del principe (presentazione di Marco FILONI)



Gli articoli del volume elencati in questo sommario sono disponibili solo nella versione di Limes su carta, acquistabile in edicola e in libreria fino all'uscita del volume successivo (e dopo presso l'ufficio arretrati). Sul sito invece è possibile leggere articoli, commenti e (video)carte sul tema della rivista nelle settimane immediatamente successive, oltre poi ai normali contenuti su tutti gli argomenti geopolitici pubblicati quotidianamente su www.limesonline.com.

Barack Obama, Interventionist and Ultimate Jihadi Hero

obama_war_monger.jpgBarack Obama, Interventionist and Ultimate Jihadi Hero

December 31, 2009 : http://original.antiwar.com/

In his less-than-fifteen-minute, 28 December statement on the Detroit airliner attack and Iran, President Obama exhilarated America’s Islamist foes and neatly encapsulated the U.S. governing elite’s absolute inability to see that its full-bore interventionism is leading America to ruin.

In his response to the al-Qaeda attack in Detroit, Obama echoed the identical analytic path blazed by his fellow interventionists George W. Bush and Bill Clinton:  

–The would-be bomber was a lone, extremist Muslim who was acting outside the tenets of his Islamic faith — the religion of peace — and was intent on slaughtering the innocent.  

–We — with our allies — will track down the bomber’s colleagues wherever they are and bring them to justice. 

–We will do the tracking-down gently so as not to undermine our most deeply held values. (And instead of being an adult and quietly firing those who failed to stop the Detroit attacker, I will blame my subordinates, publicly humiliate U.S. intelligence services, terrorize Americans by alleging "catastrophic" and "systemic" failure, and publicly detail the holes in our security system.) 

Obama’s prescription for defeating al-Qaeda and like-minded groups maintains continuity with the failed and stubbornly ignorant approach Washington has adhered to since bin Laden declared war on the United States in August, 1996. (Yes, August 1996 — we have been unsuccessfully fighting this enemy for 13.5 years.)  If the history of America’s al-Qaeda-fight proves anything, it is that 

–Al-Qaeda-ism is not outside the parameters of the Islamic faith.  While not mainstream, the religious justification for fighting U.S. interventionism in the Islamic world is growing in acceptance among the 80 percent of the world’s Muslims who deem U.S. foreign  policy an attack on their faith. In addition, bin Laden’s jihad has an extraordinarily strong positive resonance among always historically minded Muslims. Al-Qaeda’s victories remind them of battles fought by the Prophet and Saladin which produced miraculous victories over far more powerful enemies — like a barely trained kid from Nigeria beating the greatest power the world has ever seen. 

–An obviously failing fight that is now approaching 14-year duration ought to be irrefutable evidence that Clinton’s law-and-order-based strategy — even with Bush’s spasms of vigorously applied military power — has not a prayer of succeeding.  

–Whether we do our tracking/arresting/killing ethically or brutally is irrelevant.  Each al-Qaeda attack on the United States — successful or not — strengthens the hands of those politicians and bureaucrats who will curtail the civil liberties of Americans. The next successful al-Qaeda attack in the United States — because the U.S. military has no telling enemy targets left overseas — will yield civil-rights curtailments that will make President Bush look like Clarence Darrow. 

Besides flogging this dog-eared and bankrupt response to al-Qaeda, Obama likewise followed his predecessors’ refusal to explain our Islamist enemies’ motivation to Americans. This failure is completely attributable to the fact that Obama has aligned himself fully the Bush-Clinton-Bush legacy of interventionism in the Muslim world. 

–By bowing to the Saudi king, accepting the jailer Mubarak’s hospitality, putting U.S. arms at the disposal of the dictator of Yemen (where, by the way, Senator Lieberman is panting for another U.S.-waged war to defend Israel), Obama has reinforced Muslim perceptions that America wants them governed by tyrannical police states that will keep oil flowing to the west. 

–By making an IDF veteran his chief of staff, acquiescing to Israeli settlement expansion, and authorizing billions more in arms for Israel, Obama is convincing Muslims he intends to keep warbling that old American standard:  "Israel, Israel Uber Alles."

–By augmenting the U.S. military force in Afghanistan — in numbers sufficient to tread water and bleed but not to win — and sending the first new forces to southern Afghanistan where al-Qaeda forces are minimal, Obama has reinforced both the general Muslim belief that U.S. policy is meant to destroy Islam, not al-Qaeda, and bin Laden’s certainty that the U.S. military is a paper tiger. 

Then there is Iran.  Listening to Obama as he spoke gave the impression that he was eager to get the Detroit-attack stuff out of the way so he could rhetorically intervene in Iran’s internal affairs.  Joining with our allies — read other Western interventionists and pawns of Israel — Obama said he wanted to condemn the Tehran regime’s at-times-lethal crackdown on opposition demonstrators. He said that Ahmadinejad and the ruling clerics were trampling on the "universal rights" of Iranians, and that such actions must stop. There are, of course, no universal political rights; this idea is the pipedream of Western secular intellectuals and interventionists, and is part and parcel of the interventionist nonsense Obama included in his Nobel speech about the "perfectibility" of the human condition through the efforts of "enlightened" men and women. 

Obama’s mind is emerging as a mind filled with war-causing secular theology of the French Revolution. That revolution was all about enlightened leaders "perfecting" the common man for what the revolutionary elite deemed to be his own good, and using the vehicles of government edict, fanatic secularism, and force to do so. (Sounds a bit like the universal health-care plan, doesn’t it?) The French Revolution went on to father Hitler, Stalin, the Khmer Rouge, and other mass-murdering regimes.  In the American context, the revolution’s impact has been the slow but increasingly complete replacement of the Founders’ sturdy non-interventionism — which recognized the pivotal and necessary role religion plays in all polities — by our current bipartisan elite’s obsession with interfering in other peoples’ internal affairs, especially if those internal affairs are interwoven with religion. For Obama and most members of our governing elite, today’s Iran fairly screams for Western intervention to break the mullahs’ backs and install secularism; to destroy an Israeli foe and ensure AIPAC funds to continue to flow into their pockets; and to make them feel good about themselves, no matter the cost to Americans and their children. 

In a statement of less than a quarter-hour, then, Obama demonstrated how thoroughly he slicked Americans in the last presidential election. The "hope" he offered turns out to be not less but more war-causing interventionism framed by a secularist "moral compass" alien to most non-elite Americans; the "Yes we can" slogan has proven to refer to making Obama’s Washington the agent of forced Westernization from the Congo to Afghanistan, and from Burma to Iran; and the president’s much-touted "audacity" seems nothing more than Obama’s brass in continuing to reassuringly chant the Bush-Clinton-Bush lie to Americans that Islamists attack us because of our way of life not because of our interventionism.  

And thus is how a great republic is being ruined by the littlest of arrogant and willful men.

lundi, 04 janvier 2010

Les 25 mythes russophobes

POUTINE-2-20080506.jpg

Alexandre LATSA :

http://alexandrelatsa.blogspot.com/:

Les 25 mythes russophobes

A l'occasion de l'année de la France en Russie, en 2010, j'ai choisi de terminer l'année 2009 sur une petite synthèse du travail de re-information et de décodage de la scène Russe, effectué via ce blog. 
L'idée de cet article m'a été soufflée par Anatoly de sublime oblivion, qu'il en soit remercié. 


Cet article tombe à point puisque le Figaro vient de publier avec de l'encre "orange" un article qui me permet d'attribuer à son auteur le prix du Russophobe de l'année. J'incite tous mes lecteurs à signaler leur mécontentement au Figaro, soit en contactant directement le journal, soit en postant un commentaire à la suite de l'article. Seul ce travail commun et quantitatif peut avoir une influence sur les contenus des articles, alors manifestez vous !


Voila ce sera tout pour 2009. 


Je souhaite à tous mes lecteurs une bonne fin d'année, je les remercie de leur soutien grandissant et leur confirme ma grande détermination à continuer mon travail en 2010, avec de nombreux projets pour rendre le blog plus populaire, plus interactif, et avec sans doute l'arrivée de nouveaux participants ;)


**


1 - Sous Poutine, la vie ne s’est améliorée que pour les Riches et les Oligarques, et les pauvres n’ont pas vu une augmentation de leur niveau de vie.
Faux, sous le gouvernement Poutine, la pauvreté a considérablement diminué. Le taux de Russe vivant sous le seuil de pauvreté est passé de 35 à 23% de 2000 à 2004 et était tombé à 13,5% en 2008 (avant la crise).
2000 (arrivée de poutine au pouvoir): 35%
2004 (fin du premier mandat Poutine): 23%
2008 (fin du second mandant Poutine): 13,5%
Mémo : Il est à noter que en France en 2007 : 13,7% de la population vivait sous le seuil de pauvreté. 


2 - La spirale démographique Russe devrait voir la population de ce pays diminuer à moins de 100 millions d’habitants contre 142 millions aujourd’hui.
Faux. Il est très fréquent de « lire » en effet que le taux de natalité est bas, que le taux de mortalité est élevé, ainsi que le taux d’avortements et de suicides, et que la Russie perdrait inexorablement 700.000 habitants par an. Pourtant ce n’est pas le cas.
En 2005 la population russe a décrue de 760 000 habitants, ce qui était le record absolu.
En 2006 la baisse n’a été « que » de 520 000 habitants.
En 2007 la baisse n’a été « que » de 280 000 habitants.
En 2008 la baisse est de a peu près 116.000 habitants
En 2009 la population a augmenté de 12.000 personnes, la natalité ayant augmenté de 3% sur l’année 2009 et ce malgré la crise économique. Les mesures Medevedev de 2005 ont donc eu un résultat absolument foudroyant.
Mémo : Aujourd’hui les prévisions démographiques Russes ne sont donc pas plus pessimistes que celles de la Chine ou bien de pays du G7 comme l’Allemagne.


3 - Sous Poutine en Russie il y a une baisse des droits de l’homme, plus de 200 journalistes ont été assassinés et la Russie revient à son passé « totalitaire ».
Pas de chance seulement 3% des Russes sont d’accord avec ce point de vue ! En plus si sous le règne de Poutine 17 journalistes ont malheureusement trouvé la mort, c’est bien moins que sous Eltsine (30 morts).
Selon la CIA elle-même , si la Russie est le 4ième pays au monde pour le nombre de journalistes tués depuis 1992, elle n’est que 14ième au ratio du nombre de journalistes assassinés / nombre d’habitants dans le pays, devant Israël et l’Algérie et juste devant la Turquie qui prétend entrer dans l’UE.
Egalement, au classement des pays ex URSS, la Russie n’est que 5ième (sur 13) derrière un pays membre de l’UE, la lettonie.
Enfin il faut rajouter que en 2009, au classement du nombre de journalistes emprisonnés, la Russie est  au même niveau que le Vietnam ou encore la Turquie, candidat à l’UE.


4 - L’économie Russe est basée uniquement sur les matières premières, et la sévérité de la récession de 2009 l’a bien montré.
Personne n’a jamais nié que la Russie (comme d’autres états) est  extracteur et exportateur de matière première. Néanmoins ce n’est pas cela qui a contribué à ce que la Russie subisse la crise de 2009, puisque son économie est relativement fermée et que la demande intérieure est restée forte, ce qui  permet théoriquement de soutenir l’économie.
Par contre les coupures de crédits par les banques occidentales (chez qui les sociétés russes avaient empruntés) ont grandement contribué à freiner le développement économique du pays. En outre, les  appels du département Américain en 2008 a sanctionner la Russie  après l’affaire Georgienne ont grandement contribué à accroitre l’instabilité économique et faire sortir les capitaux de fin 2008 à fin 2009 (anglo saxons en grande partie).


5 - La Russie a brutalement envahie la Géorgie en aout 2008.
En réalité quelques heures après son discours télévisé promettant à tous les habitants de la Georgie la « paix », les chars ouvraient le feu sur l’Ossétie. Aidé par des conseillers militaires et mercenaires Américains, Ukrainiens et Israéliens, ces attaques allaient tuer des civils et des soldats de maintien de la paix sous mandat de l’ONU. Malgré toute la propagande à vouloir laisser paraitre que c’était la partie Russe l’agresseur, la réponse militaire Russe a été juste et proportionnée. Plus que tout, le gros des infrastructures Georgiennes a été épargné (notamment énergétiques) et la capitale pas touchée.
Le rapport de la mission internationale sur ces événements à rendu un rapport le 01 10 2009 affirmant que la Géorgie était à l’origine du déclenchement des troubles militaires et avait la première ouvert le feu (sur l’Ossétie).
En outre, de nombreux trucages photos à destination des Occidentaux ont été fournis, par exemple ici, la ou ici.
Question : pourquoi personne ne s’émeut des manifestations interdites de l’opposition Georgienne, des arrestations d’opposants et des assassinats d’opposants Georgiens à l’étranger ?


6 - Les « libéraux » Russes sont les défenseurs des libertés individuelles et ne peuvent librement agir politiquement car le Kremlin les en empêche.
Ce n’est pas tout à fait exact, les libéraux Russes ont toujours pu librement participer aux élections et exister politiquement en Russie mais leur influence politique ne cesse de baisser (12 % aux élections législatives de 1993, 7 % aux élections législatives de 1995 et 1999, 4 % en 2003, 2 % en 2006 ..)
En outre le modèle de société calquée sur l’occident n’attire « plus » une population Russe qui a beaucoup voyagé (1/4 des citoyens est déjà allé en Europe) et est consciente de ses intérêts a ne pas brader la souveraineté nationale. Enfin les méthodes des kasparov et consorts à organiser des manifestations coup de poing manifestation déclenchées sans autorisations légales (de façon à être délibérément arrêtés) et avec des banderoles en Anglais (à destination des médias étrangers sans doute) ne le rendent pas du tout crédible aux yeux des Russes.


7 - Les Russes sont des racistes, sexistes et haïssent l’Occident.
Les Russes ne sont pas racistes puisque leur pays est absolument multi ethnique et multi confessionnel. Il n’y a pas plus (sinon moins) de racistes en Russie que dans les autres pays dits civilisés (Amérique, Allemagne, Ukraine ..).
Quand aux femmes, les sociétés Slaves sont matriarcales, les femmes y jouent un rôle économique essentiel, et jouissent du droit de vote et à l’avortement depuis bien longtemps. Pou le droit de vote : 30 ans avant les Françaises !


8 - La Russie est agressive avec ses voisins géographiques proches.
Contrairement aux autres grandes superpuissances, la Russie n’a jamais envahi militairement un autre état. Enfin, de nombreux ressortissants des états voisins seraient d’accord pour que leur état ré-intègre la fédération de Russie .


9 - La Russie est frappé par un SIDA endémique.
On lit partout que la Russie comprendrait une part énorme de sa population séropositive etc En réalité, le scan (test) de la population est presque terminé et le gros des séropositifs à été identifié (donc testé). Le plateau a été atteint en 2002 et la tendance depuis est à la baisse sauf dans certaines populations très identifiés (narcomanes par injections, prostituées, prisonniers..)
Par conséquent l’épidémie de sida si elle reste importante (comme dans tous les pays développés) semble sous contrôle et ne devrait pas prendre une tournure sub-saharienne. 


10 - Une nation avec une natalité de type européenne et une mortalité à l’Africaine ne peut avoir aucun avenir.
Et pourquoi cela ?
La baisse de la natalité post soviétique est due à la situation économique des années 90 et au choc moral et économique créé par l’effondrement de l’URSS, hors depuis cette période la natalité est remontée et de type Européenne aujourd’hui (point 2), rien ne dit qu’elle ne soit pas plus élevée demain ou après demain.
Quand à la surmortalité, elle est aujourd’hui est néanmoins en baisse et ne touche que les hommes âgés de cette période, hors ceux la ne contribuent pas à la natalité Russe (ils sont déjà pères, voir grand pères).


11 - L’inégalité est en Russie très forte, du niveau de la Russie Tsariste et cela est aggravé par une corruption endémique. Tout cela s’est aggravé depuis l’arrivé de Poutine au pouvoir.
L’économie Russe est une économie originale, ni totalement libérale, ni  totalement autoritaire. Elle est une économie mi ouverte, mi fermée, est marquée par un très fort  interventionnisme de l’état et une corruption relativement élevée, ce que personne ne le nie.
Néanmoins depuis l’arrivé au pouvoir de Vladimir Poutine, la guerre contre les « oligarques » a été menée avec succès. La presse Occidentale, qui fustigeait ces oligarques enrichis dans les années 90 s’et mise très curieusement a fustigé Poutine lorsque celui-ci à commencer à les mettre au pas. Pour quelles raisons ?
Plus sérieusement, comme le précisait le président 
d’un groupe de sécurité économique lors d’un forum au sénat Français : «  le temps où de méchants garçons en blouson noir venaient frapper aux portes est révolu depuis les années 1995. Le temps est également révolu -depuis les années 2000- où les acteurs informels « rouges » (c'est-à-dire les administrations telles que la police ou les associations des anciens des Services spéciaux) remplaçaient les acteurs informels « noirs ».  L'époque actuelle est presque celle des relations de marché civilisées en Russie ».



12 - La Russie a réprimée dans la violence la plus terrible l’insurrection tchétchène dont les combattant ne souhaitaient que l’indépendance et sortir du Giron Russe.
Faux, après la première guerre en Tchétchénie (1995) et le retrait Russe, les Tchéchènes vivaient une indépendance de facto. La situation a terriblement dégénèré, des groupes mafieux islamistes sous influence étrangère (wahhabites) ont commencé à terroriser la population et des raids militaires ont été effectués par des milices dans les états voisins pour tenter de déstabiliser le Caucase et établir un califat islamiste, indépendant de la Russie. Hors la Tchétchénie se situe « en » Russie et la grande majorité des Tchétchènes ne veut pas l’indépendance mais la paix.
Depuis la fin de la seconde guerre de Tchétchénie, le pays est dirigé par Ramzan Kadyrov d’une main de fer, mais un état légal existe, le pays est presque pacifié et la reconstruction quasi terminée.


13 - Le programme spatial Soviétique a été développé par des « prisonniers » de guerre Allemands.
Malheureusement pour l’Allemagne, le programme Spatial Soviétique est le fait des Russes (comme Korolev), qui n’ont eux pas bénéficié du plan Marshall pour reconstruire le pays après la seconde guerre mondiale. A l’inverse, de nombreux prisonniers Allemands ont été capturés et utilisés aux Etats-Unis pour contribuer au développement, le plus célèbre étant le savant nazi Von Braun.


14 - La Russie n’a pas permis de transition démocratique, Poutine à mis en place sa marionnette Medevedev.
Poutine est régulièrement mal traduit, volontairement mal interprété et systématiquement présenté comme un « dictateur », un « non  démocrate ». Lorsque Medvedev a été élu, la presse nous a assuré qu’il n’en était rien, que rapidement celui c i allait démissionner, ou changer la loi afin que Poutine soit de nouveau au pouvoir. Au final il n’en a rien été, il ne s’agissait une fois de plus que de dénigrements. Le duo Poutine-Medvedev marche main dans la main depuis les années 2000 (il y a 10 ans). 


15 - La situation est catastrophique en extrême orient, colonisé par les Chinois, demain la Sibérie sera entièrement Chinoise !
Les relations Russo-chinoises n’ont jamais été mauvaises, malgré ce qu’affirment les « spécialistes Occidentaux ».  Tout d'abord il n'y a pas une "invasion" de Chinois comme on aimerait nous le faire croire. Plus surprenant, une étude de 2008 a tracé le portrait d'un "migrant Chinois Typique, en interrogeant 1000 personnes dans toutes les grandes villes de Russie. Voila ce qu'il en ressort : 60% sont des hommes, 20% ont une éducation supérieure (la moyenne Chinoise étant de 12%). 94% travaillent et la grande majorité est issue des villes frontalières de la Russie. Plus de la moitié sont auto entrepreneurs et font du commerce.
La grande question est "combien" sont-ils ? D'après le FMS, 200.000 en 2006 et 320.000 en 2007, dont de nombreux travailleurs saisonniers. Bien sur cela ne compte pas les clandestins mais jusqu'à présent, malgré les hurlements de certains (Golts, Latynina..) pas de ville millionnaire Chinoise n'a été découverte en extrême orient Russe. Néanmoins un chiffre de 500.000 (dont les 2/3 de migrants légaux et saisonniers) semble être un chiffre raisonnable.  " En face" de cela il y a 5 millions de Russes. 


Même si les Chinois devaient abandonner leur « objectif » du sud est asiatique (ce qui est improbable) et chercher un conflit avec la Russie (encore plus improbable), la supériorité militaire Russe (notamment nucléaire) est largement dissuasive.


16 - La Russie à prouvée qu’elle n’était pas un partenaire fiable pour l’oues, notamment pour les approvisionnements énergétiques (cf : les coupures de gaz).
Lorsque l’on regarde en détail  « qui » à réellement agressé l’autre on est en droit de penser l’inverse en fait. S’est t’on posé la question de savoir ce que due doivent penser les Russes de l’extension à l’est de l’OTAN, de l’affaire du Kosovo, du traitement des minorités Russes dans les pays Baltes, de l’agression militaire Georgienne, des révolutions de couleurs financées par la CIA etc) ?
De la même façon, les coupures d’approvisionnements de l’hiver dernier ont été déclenchées par l’Ukraine qui n’a pas payé la Russie pour le gaz qu’elle a acheminée sur « son » territoire.
La Russie alimente depuis très longtemps la Turquie en gaz (depuis 2003 via Blue Stream) et il n’y a jamais eu de tels problèmes, preuve s’il en est que la Russie est un partenaire et un fournisseur fiable.


17 - Les Russes exagèrent les accusations de « discriminations » qui frapperaient leurs ressortissants en Estonie et en Lettonie.
Non, de nombreuses associations des droits de l’homme Européennes ont pointé du doigt la terrible situation de ces minorités Russes, brimées à différents niveaux : administratifs, linguistiques, pour l’accès au travail etc.
La conséquence est que dans ces états ¼ de la population est coupée d’un droit à l’enseignement et n’a même pas accès à la citoyenneté ! Certains n’étant pas Russes (ils ont les passeports Soviétiques), ils se retrouvent « sans » nationalités, apatrides et traités comme des citoyens de seconds rangs, le tout au cœur de l’Europe.
Dans ces mêmes états, des marches de vétérans SS sont tolérés et les monuments Soviétiques sont effacés, des russes sont tués et l’UE ne dit rien.


18 - Le potentiel militaire Russe est totalement obsolète, sa doctrine militaire également et la Russie serait incapable de « tenir » une éventuelle confrontation avec la Chine ou l’OTAN.
La réalité est autre : la Russie développe actuellement une quantité d’armes de toutes sortes et de très hautes technologies, que ce soit les chasseurs militaires, les bombardiers lourds, le matériel de surveillance ou encore les armes de destruction massive (boulava, voivoda).. etc.
La guerre en Géorgie a prouvé la supériorité militaire de l’armée Russe sur une armée entrainée et « aidée » par l’OTAN depuis 5 ans.
La nouvelle doctrine militaire Russe est tout sauf obsolète et liée au « plan 2020 », les propositions récentes du Kremlin sur un « nouvel ensemble de sécurité continental » étant au contraire visionnaires et futuristes.  Enfin, le plan de modernisation de l’armée est considérable.


19 - La société civile a été annihilée par Poutine, et le système judiciaire est « tenu ».
En réalité, le nombre de plaignants allant au tribunal à considérablement augmenté entre 1999 et 2009 puisqu’il a été augmenté par six ! Le système des « jurés » a été introduit en Russie et les plaignants gagnent désormais 71% de leurs procès contre l’état. De plus un système d’aide juridique gratuite existe.
L’image des ONGs brutalisées par le pouvoir vient de l’expulsion de la Freedom House en 2004 pour non paiement de loyer. Mais quand on sait les activités révolutionnaires oranges de telles associations, il est normal que le pouvoir est saisi la « première » occasion pour les faire interdire.


20 - Khodorkovsky  a été injustement arrêté et détenu alors que c’était juste un entrepreneur efficace et ouvert aux idées libérales de l’Ouest.
Khodorkovsky est détenu pour des comportements frauduleux, illégaux (corruption, soudoiement, détournement et évasion fiscale..). Plus de la moitié des Russes jugent normal son arrestation. (54% en 2006).
Khodorkovsky a également mis en péril l’intérêt national Russe puisqu’il avait prévu de céder Youkos à Exxon, cédant ainsi les matières premières Russes (qui ne lui appartenaient pas) à une société Américaine, le tout au lendemain de la guerre froide. En outre, ces avoirs « personnels » ont été après son arrestation été transférés à Rothschild ce qui semble normal finalement, Khodor est lié aux néo conservateurs US et siégeait à Carlyle avec les proches de Bush.


21 - Eltsine a été un vrai démocrate.
Il a même posé sur un tank, comme ceux qui ouvraient le feu sur la Douma dont les députés (communistes) s’opposaient à ces réformes « libérales / corrompues ».
Il a ensuite déclenché une guerre non préparée en Tchétchénie, qu’il a perdue. Il a nommé des ministres incompétents et voleurs, permis aux oligarques de s’enrichir, pendant que le peuple s’appauvrissait et que des mafias caucasiennes prenaient le contrôle du pays.
Il était alcoolique et ridiculisait la Russie. Il était pour tout cela extrêmement apprécié par les occidentaux.


22 - La Russie se sert de l’énergie pour « tenir » ses voisins et utilise son expansion énergétique au profit de projets politiques.
Un fournisseur a le droit de choisir son tarif, et les clients de payer ou non. Le pays au monde qui utilise l’énergie à des fins politiques est l’Amérique qui se permet de bombarder des pays comme l’Irak et l’Afghanistan.


23 - La Russie est dirigée par des néo-communistes, eurasiens, nationalistes et qui sont avant tout contre l’Ouest et l’Europe.  
Le système politique Russe est très différent des systèmes politiques Européens. Le spectre politique est très large même au sein d’un seul parti. Mais oui c’est vrai les Russes sont très patriotes et cela dans les partis de droite comme de gauche.
Lorsqu'il a été demandé à Vladimir Poutine de quelle idéologie il se réclamait celui-ci a répondu : « vous ne trouvez pas que les idéologies ont fait assez de mal ?»  Récemment, Sergueï Lavrov affirmait que la Russie se sentait part de la civilisation Européenne.


24 - La Russie sera un califat islamique en 2050.
La réalité est tout autre, les russes ethniques représentent 80% de la population du pays.  Selon un sondage de 2006 seulement 6% des citoyens de Russie se considèrent comme « musulmans », confortant l’adage que « en Russie la vodka a dissous le Coran ». En outre, même au cœur des zones musulmanes de Russie (tatarstan, bachokorstan..) les « russes de souche slave » représentent plus de 50% de la population.
En outre la fertilité des « Russes de souche » est désormais plus élevée que celle des « musulmans » Russes, hormis dans certaines régions comme la Tchétchénie, mais sa population ne représente que «1% de la population Russe.


25 - Berezovsky a permis l’arrivée de Poutine au pouvoir et est désormais soumis à un harcèlement des autorités Russes, l’empêchant de revenir dans son pays.
Comme le général Lebed disait: “Berëzovski est l’apothéose de cette petite clique au pouvoir qui n’est pas satisfaite par montrer qu’elle vole mais qu’elle le fait en toute impunité. Lebed est mort dans un accident d’hélicoptère.
Le journaliste de Forbes Paul Khlebnikov a écrit un livre sur lui « parrain du Kremlin », en mettant en évidence ces liens avec les mafias, celui-ci est également mort assassiné.
Berëzovski a été mis en cause dans de nombreuses affaires scabreuses et meurtres non résolu. Il a des mandats d’arrêts contre lui en Russie mais également en Amérique du sud.
Il n’est pas surprenant que ce « grand démocrate » soit défendu par nombre d’occidentaux.

dimanche, 03 janvier 2010

Entrevista sovre uma das divisoes infantis do nacionalismo europeu

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Entrevista sobre uma das divisões infantis do nacionalismo europeu

by Rodrigo

Já não deposita esperança, como antes ou como alguns “nacional-revolucionários”, no mundo árabe-muçulmano?

Todas as tentativas anteriores de criar um eixo ou uma concertação entre os dissidentes construtivos da Europa manipulada e os parceiros do mundo árabe considerados “Estados-Pária” saldaram-se por falhanços. Os colóquios líbios da “Terceira Teoria Universal” deixaram de existir aquando da aproximação entre Khadaffi e os Estados Unidos e desde que o líder líbio adoptou políticas anti-europeias, nomeadamente participando recentemente no mobbing (mobilização mediática para fazer pressão política) contra a Suíça, um mobbing em curso desde há uns bons 10 anos e que encontrou novo pretexto para continuar depois da famosa votação sobre os minaretes.

O líder nacionalista Nasser desapareceu para ser substituído por Sadat e depois por Moubarak, que são aliados muito preciosos dos EUA. A Síria participou na perseguição ao Iraque, última potencia nacional árabe, eliminada em 2003, apesar do efémero e frágil eixo entre Paris, Berlim e Moscovo. As crispações fundamentalistas declaram guerra ao Ocidente sem fazer distinção entre a Europa manipulada e o Hegemon americano, com o seu apêndice israelita. Os fundamentalistas opõem-se aos nossos modos de vida tradicionais e isso é inaceitável, como são inaceitáveis todos os proselitismos do mesmo tipo: a noção de jahiliyah (idolatria a destruir) é para todos perigosa, subversiva e inaceitável; é ela que veicula esses fundamentalismos, logo à partida instrumentalizando contra os estados nacionais árabes, contra os resíduos de sincretismo otomano ou persa e depois por parte das diásporas muçulmanas na Europa contra todas as formas de politicas não fundamentalistas, nomeadamente contra as instituições dos Estados de acolhimento e contra os costumes tradicionais dos povos autóctones.

Uma aliança com estes fundamentalismos obrigar-nos-ia a renunciarmos ao que somos, do mesmo modo como exige o Hegemon americano, a exemplo do Grande Irmão do romance 1984 de Georges Orwell, exigem que rompamos com os recursos íntimos da nossa historia. O prémio Nobel da literatura Naipaul descreveu e denunciou perfeitamente este desvio na sua obra, evocando principalmente as situações que prevalecem na índia e na Indonésia. Neste arquipélago, o exemplo mais patente, aos seus olhos, é a vontade dos integristas de se vestirem segundo a moda saudita e imitar os costumes da península arábica, quando estas vestimentas e estes costumes eram diametralmente diferentes dos do arquipélago, onde há muito tempo reinava uma síntese feita de religiosidades autóctones e de hinduísmo, como atestam, por exemplo, as danças de Bali.

A ideologia inicial do Hegemon americano é também um puritanismo iconoclasta que rejeita as sínteses e os sincretismos da “Merry Old England” (1), do humanismo de Erasmo, do Renascimento Europeu e das políticas tradicionais da Europa. Neste sentido partilha bom número de denominadores comuns com os fundamentalismos islâmicos actuais. Os Estados Unidos, com o apoio financeiro dos Wahabitas sauditas, manipularam estes fundamentalismos contra Nasser no Egipto, contra o Xá do Irão (culpado de querer desenvolver a energia nuclear), contra o poder laico no Afeganistão ou contra Saddam Hussein, puxando provavelmente ao mesmo tempo alguns cordelinhos no assassinato do rei Faycol, “culpado” de querer aumentar o preço do petróleo e de se ter aliado, nesta óptica, ao Xá do Irão, como brilhantemente mostrou o geopolitólogo sueco, William Engdahl, especialista de geopolítica do petróleo. Acrescentemos de passagem que a actualidade mais recente confirma esta hipótese: o atentado contra a guarda republicana islâmica iraniana, os problemas ocorridos nas províncias iranianas com o fim de destabilizar o país, são obra de integrismos sunitas, manipulados pelos Estados Unidos e a Arábia Saudita contra o Irão de Ahmadinedjad, acusado de recuperar a política nuclear do Xá! O Irão respondeu apoiando os rebeldes zaiditas/xiitas do Yemen, retomando assim uma velha estratégia persa, anterior ao surgimento do Islão!

Os pequenos fantoches que se gabam de ser autênticos nacional-revolucionários e que se deleitam em todo o tipo de farsas pró-fundamentalistas são, na verdade, bufões alinhados por Washington por dois motivos estratégicos evidentes:

1- Criar a confusão no seio dos movimentos europeístas e fazê-los aderir aos esquemas binários disseminados pelas grandes agencias mediáticas americanas que orquestram por todo o mundo o formidável “soft power” de Washington;
2- Provar urbi et orbi que a aliança euro-islâmica (euro-fundamentalista) é a opção preconizada por “perigosos marginais”, por “terroristas potenciais”, pelos “inimigos da liberdade”, por “populistas fascizantes ou cripto-comunistas”.

Neste contexto encontramos também as redes ditas “anti-fascistas”, agitando-se contra fenómenos assimilados, mal ou bem, a uma ideologia política desaparecida desde há 65 anos. No teatro mediático, colocado em prática pelo “soft power” do Hegemon, temos, de uma parte, os idiotas nacional-revolucionários ou neo-fascistas europeus zombificados, mais ou menos convertidos a uma ou outra expressão do wahabismo e, de outra parte, os anti-fascistas caricaturais, largamente financiados com o propósito de mediatizar os primeiros (…).Todos têm o seu papel a desempenhar, mas o encenador é o mesmo e conduz a comédia com mestria. Tudo isto resulta num espectáculo delirante, apresentado pela grande imprensa, igualmente descerebrada.(…)

(…) Efectivamente, é forçoso constatar que o fundamentalismo judaico-sionista é igualmente nefasto ao espírito e ao politico quanto as suas contra-partes islamistas ou americano-puritanas. Todos, uns como outros, estão afastados do espírito antigo e renascentista da Europa, de Aristóteles, de Tito Lívio, de Pico della Mirandola, de Erasmo ou Justo Lipsio. Perante todas estas derivas, nós afirmamos, em alto e bom som, um “non possumus”!Europeus somos e europeus permaneceremos, sem nos disfarçarmos de beduínos, de founding fathers ou de sectários de Guch Emunim.

Não podemos classificar como anti-semita a rejeição desse pseudo-sionismo ultra-conservador que recapitula de maneira caricatural aquilo em que pensam políticos de aparência mais refinada, quer sejam likudistas ou trabalhistas, constrangidos a rejeitar os judaísmos mais fecundos para melhor desempenharem o seu papel no cenário do Próximo e Médio Oriente imaginado pelo Hegemon. O sionismo, ideologia inicialmente de facetas múltiplas, decaiu para não ser mais que o discurso de marionetas tão sinistras quanto os wahabitas. Todo o verdadeiro filo-semitismo humanista europeu mergulha, pelo contrário, em obras bem mais fascinantes: as de Raymond Aron, Henri Bergson, Ernst Kantorowicz, Hannah Arendt, Simone Weil, Walter Rathenau, para não citar mais que um pequeno punhado de pensadores e filósofos fecundos. Rejeitar os esquemas de perigosos simplificadores não é anti-semitismo, anti-americanismo primário ou islamofobia. Diga-se de uma vez por todas!

Excerto de uma entrevista a Robert Steuckers conduzida por Philippe Devos-Clairfontaine (Bruxelas, 7 de Dezembro de 2009)

samedi, 02 janvier 2010

Presseschau (Januar 2010/1)

Presseschau (Januar 2010/1)
Einige weihnachtliche Links. Zum Anklicken bei Zeit und Muße...

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Zwölfnächte/Rauhnächte

zeitungen_neu.jpgZwölfnächte, Rauhnächte, Rauchnächte, die Nächte zwischen dem 25.12. und 6.1. Sie sind eine Zeit der Wiederkehr der Seelen, der Wilden Jagd und des Erscheinens von Geistern, die bewirtet oder durch Räuchern, Lärmen oder Kreuzeszeichen abgewehrt werden. Jeder dieser Tage soll als Lostag Vorbedeutung für Wetter und Schicksal im betreffenden Monat des folgenden Jahres haben.

(Der Neue Brockhaus in fünf Bänden, 4., neu bearbeitete Aufl., Wiesbaden 1968)

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Zwölf Nächte (Zwölften), im Volksglauben und Brauchtum besonders hervorgehobener Zeitraum, in der Regel (mit landschaftlichen Abweichungen) zwischen Weihnachten und Dreikönigstag; galt als die Zeit von Spukgeistern (Wilde Jagd, Frau Holle, Percht), die mit mancherlei Arbeitsverbot belegt war, sowie als Lostage; zum Schutz vor den Geistern besprengte man in katholischen Gegenden Zimmer und Ställe mit Weihwasser (=>Rauhnächte). Aus dem Wetter der Zwölf Nächte leitete man Voraussagen für das Wetter der 12 Monate des kommenden Jahres ab; auch Träume galten als vorbedeutend.

(Der Brockhaus in fünf Bänden, Leipzig 2000)

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Kopenhagen gescheitert
US-Präsident Obama stürzt vom Klima-Gipfel
Von D. Wetzel und G. Lachmann
Das faktische Scheitern der Klimaverhandlungen in Kopenhagen ist eine schwere Niederlage für US-Präsident Barack Obama auf internationaler Ebene. Nicht nur, daß er und Bundeskanzlerin Angela Merkel vorzeitig abreisten, ohne ein sicherers Ergebnis erzielt zu haben. Er ließ sich zudem von den Chinesen vorführen.
http://www.welt.de/politik/ausland/article5581658/US-Praesident-Obama-stuerzt-vom-Klima-Gipfel.html

Armenien, die Türkei und der Bergkarabach-Konflikt ...
Hundert Jahre Feindseligkeit
http://jetzt.sueddeutsche.de/texte/anzeigen/493977

US-Armee: Iranische Streitkräfte besetzen Bohrturm im Irak
http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5iONNkKSNcihLy5hXhKxCTCKuZuWw
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,668023,00.html

Einfach nur dreist ... (eine Dreistigkeit, der von deutscher Seite kein Halt gesetzt wird)
Nachbarschaftsvertrag
Polen fordern mehr Rechte in Deutschland
Von Gerhard Gnauck
In erster Linie geht es der Regierung in Warschau bei der Verlängerung des deutsch-polnischen Nachbarschaftsvertrages um die Förderung von Polnisch als Muttersprache. Ein Regierungsgutachten kommt darüber hinaus zu dem Schluß, daß der von den Nazis abgeschaffte Minderheitenstatus von Deutsch-Polen weiter Bestand habe.
http://www.welt.de/politik/ausland/article5593463/Polen-fordern-mehr-Rechte-in-Deutschland.html

Generalinspekteur mit Einsatzerfahrung
Von Fritz Friedebold;Thorsten Jungholt
Guttenberg ernennt Volker Wieker zum obersten deutschen Soldaten – Verteidigungsminister weiterhin beliebt
http://www.welt.de/die-welt/politik/article5579050/Generalinspekteur-mit-Einsatzerfahrung.html

ZDF-Bericht über Kämpfe deutscher Truppen in Afghanistan (02:31 min)
http://www.zdf.de/ZDFmediathek/kanaluebersicht/aktuellste/331022#/beitrag/video/927744/Deutsche-Soldaten-unter-Beschuss/

Afghanistanpolitik: Kritik der Bundeswehr wächst
Sie haben sie in den Krieg geschickt und wollen sie jetzt, getrieben von verblendeter Ideologie und poltischem Machtkalkül, am Pranger sehen. Zu Recht werden die Stimmen gegen die Vereinigte Linke aus den Reihen der Bundeswehr immer lauter: „Überspitzt gesagt fragten sich viele Soldaten: Kommt die Öffentlichkeit eher damit klar, wenn wir getötet werden als unsere Gegner?“ teilte jetzt General Volker Bescht mit.
http://www.pi-news.net/2009/12/afghanistanpolitik-kritik-der-bundeswehr-waechst/#more-107806

Ex-Verteidigungsminister
Rupert Scholz verteidigt Luftangriff von Kundus
Der Staatsrechtler und frühere Verteidigungsminister Rupert Scholz ordnet den Einsatz der Bundeswehr in Afghanistan den Rechtskategorien des Kriegsvölkerrechts zu. Sie erlauben das „gezielte Töten“, sagt Scholz, und damit auch den von Oberst Georg Klein ausgelösten Luftangriff, der Talibanführer „vernichten“ sollte.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5574082/Rupert-Scholz-verteidigt-Luftangriff-von-Kundus.html

Wo bleibt mein Geld, Mr. Brown?
Von Ronald Gläser
Die Kampagne gegen Karl-Theodor zu Guttenberg hört nicht auf. Dabei war der Mann noch nicht einmal Verteidigungsminister, als amerikanische Piloten ihren Angriff bei Kundus ausgeführt haben.
Was also wirft die linke Presse dem Franken überhaupt vor? Es habe eine „gewaltige Vertuschungs-, Verheimlichungs- und Beschönigungsaktion“ gegeben, schreibt der SPIEGEL  in seiner neuesten Ausgabe. Die „deutsche Demokratie“ habe „ein Desaster“ erlebt. Drunter macht’s der SPIEGEL nicht. An Fakten hat er aber nur die spannende Frage, wer wann welches Dossier zu lesen bekommen hat. Gähn. Wenn das ein Skandal sein soll, dann lachen doch die Hühner. Diese rot-grüne Diffamierungskampagne stinkt bis nach Kabul.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M59b60f06747.0.html

Bundeswehr
Guttenberg entwirft neue Afghanistan-Strategie
Von T. Jungholt und T. Krauel
Verteidigungsminister Karl-Theodor zu Guttenberg (CSU) weist alle Vorwürfe im Zusammenhang mit dem Luftangriff bei Kundus von sich. Derzeit läßt er eine neue Afghanistan-Strategie erarbeiten. Sie könnte eine Aufstockung der Truppen zur Folge haben. Unter Umständen will er auch mit den Taliban sprechen.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5584812/Guttenberg-entwirft-neue-Afghanistan-Strategie.html


Zuerst! Deutsches Nachrichtenmagazin
Von Götz Kubitschek
Am vergangenen Freitag sah ich am Naumburger Bahnhof die erste Ausgabe des neuen Nachrichtenmagazins Zuerst! ausliegen. Zuhause fand ich sie im Briefkasten: 84 Seiten, Focus-Style, ein paar lesenswerte Artikel und die übliche Werbung. Ich las und blätterte mit Vorkenntnissen zu Planung und Positionierung des Magazins und prüfte, inwiefern der Anspruch, das rechte Milieu zu überspringen, eingelöst wird.
http://www.sezession.de/10135/zuerst-deutsches-nachrichtenmagazin.html#more-10135

Zuerst! – zum zweiten
Von Götz Kubitschek
Ich habe die Diskussion auf meinen Beitrag zum Nachrichtenmagazin Zuerst! nun einmal laufen lassen, ohne groß moderierend oder kommentierend einzugreifen. Ich will diesen Eingriff jetzt vornehmen, indem ich einzelne Kommentare herausgreife und einiges dazu sage.
http://www.sezession.de/10226/zuerst-zum-zweiten.html


Klimaskeptiker
Die letzten Fortschrittsgläubigen
Von Lorenz Jäger
http://www.faz.net/s/RubC5406E1142284FB6BB79CE581A20766E/Doc~EE604428F360A4BE18ADB54220443B8B6~ATpl~Ecommon~Scontent.html

Wir haben’s ja ...
Entwicklungshilfe: China bekommt Millionen für den Klimaschutz
http://www.handelsblatt.com/politik/deutschland/entwicklungshilfe-china-bekommt-millionen-fuer-den-klimaschutz;2501310

Schäuble spart später
Kommentar: Merkels Terminator
Ein unrühmlicher Platz in den Geschichtsbüchern ist ihm so sicher wie weiland Theo Waigel: Im nächsten Jahr wird Wolfgang Schäuble sich als neuer Schuldenkönig inthronisieren, erst von 2011 an will er eisern sparen. Von Ulrich Kaiser
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/merkels-terminator-566993.html

Arbeitsrecht
SPD will Kündigung wegen Kleindiebstählen verbieten
Die SPD will den Arbeitnehmerschutz ausweiten. Im Januar will die Fraktion einen Gesetzentwurf in den Bundestag einbringen, demzufolge sofortige Kündigungen wegen Bagatellvergehen künftig verboten werden sollen.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,668299,00.html

Racheakt in Mexiko
Drogenmafia richtet Familie eines Soldaten hin
Die mexikanische Drogenmafia hat auf grausame Art und Weise Rache genommen: Auftragskiller ermordeten die Familie eines der Elitesoldaten, der an der Jagd auf den Drogenboß Arturo Beltrán Leyva beteiligt gewesen und dabei getötet worden war.
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/0,1518,668889,00.html#ref=nldt

BKA warnt
Drei rechte Gewalttaten am Tag
http://www.fr-online.de/in_und_ausland/politik/aktuell/2150712_BKA-warnt-Drei-rechte-Gewalttaten-am-Tag.html

Zahl rechtsextremer Straftaten auf neuem Höchststand
http://nachrichten.rp-online.de/article/politik/Zahl-rechtsextremer-Straftaten-auf-neuem-Hoechststand/62033
http://www.welt.de/die-welt/politik/article5568034/Rund-20-000-rechtsextreme-Straftaten.html

Und deshalb sind ja auch dauerhafte finanzielle Zuwendungen für „Gegen Rechts“-Projekte nötig ...
Daueraufgabe
Studie: Rechte Gewalt lässt sich nicht beseitigen
http://www.morgenpost.de/printarchiv/berlin/article1216683/Studie-Rechte-Gewalt-laesst-sich-nicht-beseitigen.html


Kriminalität
Linksextreme Gewalt stark angestiegen
http://www.focus.de/politik/weitere-meldungen/kriminalitaet-zeitungsbericht-linksextreme-gewalt-stark-angestiegen_aid_463669.html
http://www.stern.de/politik/deutschland/linksextreme-straftaten-das-linke-milieu-schlaegt-zu-1527896.html

Liebe Zündler!
Von Martin Böcker
Danke für Eure Aktivität. Danke, daß Ihr Euch zeigt: Wer Ihr seid, was Ihr macht, wie Ihr Probleme lösen wollt. Ein Stück Grillanzünder auf einem Autoreifen reicht, um fünf bis hunderttausend Euro „abzufackeln“. Benzin, eine Pfandflasche und ein wenig Lust auf Krawall reichen auch für anderthalb Tage „Oh“ und „Ah“ in der Medienlandschaft. Wenig Aufwand, viel Leistung.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5e21903dace.0.html

Generalsekretär der NRW-CDU, Hendrik Wüst:
„SPD mitverantwortlich für linksextreme Gewalt“
http://nachrichten.rp-online.de/article/politik/SPD-mitverantwortlich-fuer-linksextreme-Gewalt/61920

ERFURT: Debatte über Links- und Rechtsextremismus
http://www.thueringer-allgemeine.de/ta/ta.thueringenticker.volltext.php?kennung=ontaTICRatgeberMantel1261067711&zulieferer=ta&kategorie=TIC&rubrik=Ratgeber®ion=Mantel&auftritt=TA&dbserver=1

„Arbeit macht frei“-Klau in Auschwitz
„Das ist eine Kriegserklärung“
http://www.spiegel.de/panorama/0,1518,668002,00.html

60 Millionen Euro
Berlin gibt Geld für Auschwitz
http://www.fr-online.de/in_und_ausland/politik/aktuell/2150631_60-Millionen-Euro-Berlin-gibt-Geld-fuer-Auschwitz.html

Aktion Sühnezeichen: Der Schuldprotestantismus rekrutiert seinen Nachwuchs ...
Cathérine Schilling verbringt ein Jahr in Polen als kleinen Beitrag zur Verständigung
„Polen ist wirklich ein tolles Land“
http://www.op-online.de/nachrichten/rodgau/polen-wirklich-tolles-land-567601.html

TU Wien ehrte Holocaust-Leugner
Ein goldenes Diplom für einen amtsbekannten Revisionisten stellte die TU Wien aus. Der Geehrte zweifelte am Massenmord in Auschwitz.
http://www.kurier.at/nachrichten/1964006.php

Sinti und Roma: Bundesrat prangert Diskriminierung an
http://www.jesus.de/blickpunkt/detailansicht/ansicht/161081bundesrat-prangert-diskriminierung-an.html

Musikwissenschaftler Eggebrecht an nationalsozialistischen Verbrechen beteiligt?
http://www.klassik.com/aktuell/news/teaser.cfm?ID=7620&nachricht=Musikwissenschaftler%20Eggebrecht%20an%20nationalsozialistischen%20Verbrechen%20beteiligt%3F

Angewandte will Lueger-Statue umgestalten
Die Universität für angewandte Kunst hat einen internationalen Wettbewerb zur Umgestaltung des Lueger-Denkmals in der City in ein Mahnmal gegen Antisemitismus ausgelobt. FPÖ und ÖVP lehnen die Idee ab, die Grünen sind dafür.
http://wien.orf.at/stories/408595/

1973: DER SPIEGEL über die „Invasion der Türken“
Um die Islamisierung Deutschlands besser zu verstehen, lohnt sich zuweilen ein Blick zurück, zum Beispiel ins Jahr 1973. Die Ölkrise, die Watergate-Affäre, der Jom-Kippur-Krieg bestimmen das Weltgeschehen. In Deutschland aber wird – frei von jeder political corrrectness und Neusprech-Terminologie – über die „Invasion der Türken“ diskutiert. Sogar im SPIEGEL, wie nachfolgender Auszug der Ausgabe 31/1973 beweist.
http://www.pi-news.net/2009/12/1973-der-spiegel-ueber-die-invasion-der-tuerken/

Türkische Gemeinde: „Integrations-Agenda“ 2010
Die Türkische Gemeinde in Deutschland fordert ein Integrationsgesetz. Die Debatte um das Zusammenleben mit Migranten sei zunehmend kontrovers, sagte der Bundesvorsitzende Kenan Kolat. In einer Integrations-Agenda 2010 könnte man die unterschiedlichen Ansätze bündeln.
http://www.stern.de/politik/tuerkische-gemeinde-integrations-agenda-2010-1531586.html
http://www.pi-news.net/2009/12/kolat-fordert-integrationsgesetz/#comments

Vorbild Balkanländer
Türkei fordert Aufhebung von Visumspflicht für EU
Serben, Mazedonier und Montenegriner können seit diesem Wochenende ohne Visum in die Europäische Union einreisen. Nun hat auch die Türkei von der EU die Aufhebung der Visumspflicht für ihre Bürger gefordert. Begründung: Die Türkei sei in EU-Fragen schon viel weiter als die Balkan-Länder.
http://www.welt.de/politik/ausland/article5587949/Tuerkei-fordert-Aufhebung-von-Visumspflicht-fuer-EU.html

Prognose für 2010
Asylbewerberzahl steigt zum dritten Mal in Folge
Deutschland muß sich nach Einschätzung des Bundesamtes für Migration und Flüchtlinge (BAMF) im Jahr 2010 zum dritten Mal in Folge auf einen Anstieg der Asylbewerberzahlen einstellen. Die meisten Flüchtlinge werden auch im kommenden Jahr aus muslimischen Ländern erwartet.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5620972/Asylbewerberzahl-steigt-zum-dritten-Mal-in-Folge.html

Ausländer
2010 mehr Asylbewerber erwartet
Nürnberg/Berlin (dpa) – Deutschland muß sich nach Einschätzung des Bundesamtes für Migration und Flüchtlinge (BAMF) im Jahr 2010 auf einen leichten (?) Anstieg der Asylbewerberzahlen einstellen.
http://www.zeit.de/newsticker/2009/12/23/iptc-bdt-20091223-169-23381956xml

Mehr als 2000 Irak-Flüchtlinge in Deutschland
http://www.greenpeace-magazin.de/index.php?id=55&tx_ttnews%5Btt_news%5D=69506&tx_ttnews%5BbackPid%5D=23&cHash=15d00da830

Abiturientin (18) in Dresden ermordet
Schock in Dresden: Wenige Tage vor Weihnachten ist die Abiturientin Susanna (18) tot aufgefunden worden. Jetzt sucht die Polizei mit Hochdruck nach einem Pakistani (32). Er soll der Freund der jungen Frau gewesen sein.
http://www.bild.de/BILD/news/2009/12/17/dresden-abiturientin/tot-aufgefunden-worden.html
http://www.bild.de/BILD/regional/dresden/aktuell/2009/12/18/mord-an-gymnasiastin/ihr-freund-soll-sie-erwuergt-haben.html
http://nachrichten.lvz-online.de/nachrichten/mitteldeutschland/tod-von-dresdner-schuelerin-polizei-sucht-32-jahre-alten-pakistaner/r-mitteldeutschland-a-6356.html
http://www.pi-news.net/2009/12/dresden-18-jaehrige-tot-in-asylheim-aufgefunden/

Gießen
Wechsel an der Uni-Spitze
Indischstämmiger Anglistik-Professor Joybrato Mukherjee neuer Uni-Präsident
http://www.fr-online.de/frankfurt_und_hessen/nachrichten/hessen/2147587_Giessen-Wechsel-an-der-Uni-Spitze.html

Ethnomorphose-Propaganda
http://edoc.hu-berlin.de/histfor/5/PHP/mietzner-pil-abb-1.jpg

76jährige Geschäftsfrau beleidigt und bespuckt
Mit 76 Jahren (!) betreibt die tüchtige Geschäftsfrau noch ihren Fischhandel. Doch in letzter Zeit gibt es Probleme mit schwarzafrikanischen Dealern. Sie wird gedemütigt, beleidigt und bespuckt. Ein Polizeibeamter kann dazu nur noch achselzuckend feststellen: „Wenn wir einen Schwarzafrikaner festnehmen, läßt ihn die Justizbehörde schon nach kurzer Zeit wieder laufen. Dann steht er wieder da, verkauft weiter seinen Stoff und zeigt uns den Stinkefinger. Wir sind da genauso hilflos wie sie.“
http://www.pi-news.net/2009/12/76-jaehrige-geschaeftsfrau-beleidigt-und-bespuckt/

Überfall: Polizei erschießt 19jährigen Türken
Im baden-württembergischen Leimen wurde in der Nacht zum Heiligen Abend ein 19jähriger Täter türkischer Nationalität nach einem bewaffneten Raubüberfall auf eine Esso-Tankstelle von Polizeikugeln tödlich getroffen. Zwei Mittäter konnten festgenommen werden.
http://www.pi-news.net/2009/12/ueberfall-polizei-erschiesst-19-jaehrigen-tuerken/

Langsame Veränderungen im kulturellen Gefüge ...
Wenn Muslime Geburtshelfer niederschlagen
http://www.tagesanzeiger.ch/ausland/europa/Wenn-Muslime-Geburtshelfer-niederschlagen/story/24584619

Skateboard-Todesfahrer als Straftäter verurteilt
Der Türke, der nach dem tödlichen Skateboard-Unfall in Frankfurt als Halter des Unfallwagens verhaftet worden war, war wohl doch nicht der Fahrer. Verdächtigt wird jetzt sein Sohn, ein verurteilter Straftäter, den ein verständnisvoller Richter zur besseren Wiedereingliederung in die Gesellschaft auf freien Fuß gesetzt hatte. Er ist untergetaucht.
http://www.pi-news.net/2009/12/skateboard-todesfahrer-als-straftaeter-verurteilt/

Migranten verprügeln am liebsten den Schweizer
Viele Ja-Stimmen zum Schweizer Minarettverbot stammten von jungen Bürgern, die sich sonst für Politik wenig interessieren. Sie beteiligten sich an der Volksabstimmung, weil der Islam sie persönlich betrifft: Sie sind die Lieblingsopfer der jugendlichen Migranten mit islamisch-kulturellem Hintergrund. Gemäß Angaben der Polizei sinkt die Hemmschwelle für Gewaltakte, die Brutalität nimmt zu. Die Angriffe erfolgen oft grundlos und ohne Vorwarnung. Sogar wenn die Opfer am Boden liegen, werden sie noch getreten, mit Vorliebe gegen den Kopf.
http://www.pi-news.net/2009/12/migranten-verpruegeln-am-liebsten-den-schweizer/

Vergewaltiger erhält Haftentschädigung
Vom Tatbestand der Vergewaltigung nicht nur freigesprochen wurde in der Schweiz ein Afrikaner, sondern er erhielt auch noch eine ordentliche Haftentschädigung. Grund: Das Opfer war betrunken und hätte sich seine Verletzungen auch anderweitig zuziehen können. Außerdem hatte der Verdächtige von einvernehmlichen Geschlechtsverkehr gesprochen, was angesichts der Tatumstände sehr wahrscheinlich erscheint.
http://www.pi-news.net/2009/12/vergewaltiger-erhaelt-haftentschaedigung/#more-105824

Weihnachtliche Massenschlägerei auf Schulparty
Was letzte Nacht eine Weihnachtsparty an einem Luzerner Gymnasium hätte werden sollen, endete in einer brutalen Massenschlägerei zwischen zwei „rivalisierenden Gruppen von Jugendlichen“. Lucas Berger, der DJ aus dem Aargau, der Mittwoch nacht auf der „X-Mas-Party 2009“ die Scheiben auflegte, ist geschockt. Was mit einer „echt coolen“ Schülerfete begann, wurde auf einmal bereichert: „Die Leute kletterten zu den Fenstern rein, drängten durch die Türe – es wurde immer aggressiver.“
http://www.pi-news.net/2009/12/weihnachtliche-massenschlaegerei-auf-schulparty/#more-107764

Trebur (Hessen)
Schwarzarbeiter in Kebab-Haus erwischt
http://www.bild.de/BILD/regional/frankfurt/dpa/2009/12/16/schwarzarbeiter-in-kebabhaus-erwischt.html

Vom Wäschetrocknen, der Wilden Jagd und Goethes Einsicht
Von Karlheinz Weißmann
Wenn früher jemand im ländlichen Niedersachsen gefragt wurde, was er zwischen Weihnachten und Dreikönig keinesfalls tun dürfe, so lautete die Antwort: „Wäsche zum Trocknen aufhängen“. Faßte man nach und wollte den Grund wissen, hieß es: „Weil sonst jemand im Hause stirbt.“
Meine Urgroßmutter und meine Großmutter haben sich streng daran gehalten, meine Mutter auch, oder doch beinahe: sie brachte die Wäsche auf den Trockenboden unseres Wohnblocks, – aber es blieb ein Unbehagen. Die jungen Frauen heute kennen nicht einmal mehr das.
http://www.sezession.de/9929/vorweihnachtlich-i-vom-waeschetrocknen-der-wilden-jagd-und-goethes-einsicht.html

Die deutsche Weihnacht
Von Karlheinz Weißmann
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M52c20cd7236.0.html

Friede auf Erden
Von Heinrich Rieker
Sie legten die Waffen nieder, spielten Fußball und rauchten Zigaretten. Zu Weihnachten 1914 verbrüderten sich Deutsche, Briten und Franzosen an der Westfront. Was sie damals erlebten, notierten die Soldaten in Tagebüchern und Feldpostbriefen
http://www.welt.de/print-welt/article359965/Friede_auf_Erden.html

Abstimmung
Wird Guttenberg der „Sprachwahrer des Jahres“?
Er liest Platon im Original, kann eine mitreißende Bierzeltrede halten und spricht das Wort „Krieg“, wenn es um Afghanistan geht, unumwunden aus: Verteidigungsminister zu Guttenberg. Der CSU-Politiker ist jetzt für die Auszeichnung „Sprachwahrer des Jahres“ vorgeschlagen worden.
http://www.welt.de/kultur/article5610205/Wird-Guttenberg-der-Sprachwahrer-des-Jahres.html
http://www.deutsche-sprachwelt.de/berichte/pm-2009-12-22.shtml

Kunstschatz
Kulturstaatsminister will Nofretete behalten
Nofretete bleibt in Berlin, daran lässt Kulturstaatsminister Bernd Neumann keinen Zweifel. Auch wenn Ägypten die Rückgabe der Büste fordert. Der CDU-Politiker will die Königin, die im Neuen Museum zu Hause ist, nicht einmal leihweise herausgeben.
[Wäre ja auch noch schöner. Die Orientalen haben sich doch ursprünglich einen Dreck um ihr Erbe geschert. Und wären die Europäer nicht gewesen, wäre das wohl auch heute noch so ...]
http://www.morgenpost.de/kultur/berlin-kultur/article1227760/Kulturstaatsminister-will-Nofretete-behalten.html

Evolution: Koala-Urahnen verschmähten Eukalyptus
Koalas und Eukalyptusbäume sind praktisch unzertrennlich. Doch das war nicht immer so, wie Forscher jetzt herausgefunden haben: Schädel von Koala-Urahnen beweisen, daß die Beutelbären früher abwechslungsreicher fraßen – bis die Kontinentaldrift dazwischenkam.
http://www.spiegel.de/wissenschaft/natur/0,1518,668249,00.html

Denkmalschutz und Stuttgart 21
Was ist die Stuttgarter Denkart?
http://www.stuttgarter-nachrichten.de/stn/page/1789197_0_2147_denkmalschutz-und-stuttgart-21-was-ist-die-stuttgarter-denkart-.html

Jagdbomber zu Backformen
Von Ellen Kositza
Die Klage über die Profanierung der weihnachtlichen Sitten ist seit Jahren – oder länger? – ins Brauchtum eingemeindet. Als wir vor sieben Jahren nach Mitteldeutschland gezogen sind, war manches für uns ein Schock. Bis dahin hatte ich den Offenbacher Weihnachtsmarkt für einigermaßen häßlich gehalten, hier wurde der Rummel an manchen Orten noch übertroffen.
http://www.sezession.de/10238/jagdbomber-zu-backformen.html

Wintergetränke
Der Glühwein ist nicht schuld an seinem Elend
Billiger Glühwein sorgt schon viel zu lange für Kopfschmerzen. Dabei haben heiße Mischgetränke eine längere Tradition als Cocktails – sie sind im Grunde ihres Wesens einfach und gut. Und: Jeder kann sie zu Hause selber machen. Lorraine Haist hat nach Alternativen zum Heißgetränke-Proletariat geforscht.
http://www.welt.de/lifestyle/article5575054/Der-Gluehwein-ist-nicht-schuld-an-seinem-Elend.html
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jeudi, 31 décembre 2009

Geopolitica tras la falsa guerra de EE.UU en Afganistan

gal_1786.jpgGeopolítica tras la falsa guerra de EE.UU. en Afganistán

Uno de los aspectos más notorios del programa presidencial de Obama es que, en Estados Unidos, pocos han cuestionado, en los medios de difusión o por otras vías, la razón del compromiso del Pentágono con la ocupación militar de Afganistán. Existen para ello dos razones fundamentales, y ninguna de ellas puede ser revelada abiertamente a la opinión pública.

Los engañosos debates oficiales sobre la cantidad de soldados que se necesita para «ganar» la guerra en Afganistán, si basta con 30 000 hombres más o si se requieran por lo menos 200 000, no son más que la cortina de humo que está sirviendo para esconder el verdadero objetivo de la presencia militar de Estados Unidos en ese estratégico país de Asia central.


Durante su campaña presidencial del año 2008, el candidato Obama afirmó incluso que es en Afganistán, no en Irak, donde Estados Unidos está obligado a hacer la guerra. ¿Por qué? Porque, según Obama, es en Afganistán donde se ha atrincherado Al Qaeda, que constituye a su vez la «verdadera» amenaza para la seguridad nacional.

Las razones de la implicación estadounidense en Afganistán son en realidad muy diferentes.
El ejército estadounidense ocupa Afganistán por 2 razones: principalmente para restablecer y controlar la principal fuente mundial de opio de los mercados internacionales de heroína y utilizar la droga como arma contra sus adversarios en el terreno de la geopolítica, especialmente contra Rusia. El control del mercado de la droga afgana es capital para garantizar la liquidez de la mafia financiera en bancarrota de Wall Street.

Geopolítica del opio afgano

Según un informe oficial de la ONU, la producción de opio afgano aumentó de forma espectacular después del derrocamiento del régimen talibán, en 2001. Los datos del Buró de Drogas y Crímenes de las Naciones Unidas demuestran que en cada una de las cuatro últimas estaciones de crecimiento (desde 2004 y hasta 2007) hubo más cultivos de adormidera que en todo un año bajo el régimen talibán. En este momento hay en Afganistán más tierra dedicada a la producción de opio que al cultivo de la coca en toda América Latina. En 2007, el 93% de los opiáceos del mercado mundial venían de Afganistán.

No son simples coincidencias. Se ha demostrado que Washington seleccionó cuidadosamente al muy controvertido Hamid Karzai, señor de la guerra de origen pashtún con una larga hoja de servicios en la CIA, especialmente traído de su exilio en Estados Unidos, a quien se le fabricó todo una leyenda hollywodense sobre su «valiente autoridad sobre su pueblo». Según fuentes afganas, Hamid Karzai es actualmente el «Padrino» del opio afgano. No por casualidad Karzai ha sido, y sigue siendo hoy en día, el preferido de Washington en Kabul. A pesar de ello, y también a pesar de la masiva compra de votos, del fraude y de la intimidación, los días de Karzai como presidente pudieran estar contados.

En momentos en que el mundo casi ni se acuerda ya del misterioso Osama Ben Laden ni de Al Qaeda –su supuesta organización terrorista–, o se pregunta incluso si tan siquiera existen, la segunda razón de la larga presencia de las fuerzas armadas de Estados Unidos en Afganistán parece más bien un pretexto para crear una fuerza militar de choque estadounidense permanente con una serie de bases aéreas permanentes en Afganistán.
El objetivo de dichas bases no es acabar con los grupos de Al Qaeda que puedan quedar aún en las cuevas de Tora Bora ni acabar con un mítico «talibán» que, según informes de testigos oculares, se compone actualmente en su mayoría de pobladores afganos comunes y corrientes que nuevamente luchan por expulsar de su tierra una fuerza ocupante, como hicieron en los años 1980 frente a los soviéticos.

Para Estados Unidos, la razón de ser sus bases afganas es mantener en la mirilla y tener la posibilidad de golpear a las dos naciones que, juntas, constituyen hoy en día la única amenaza seria para el poderío supremo de Washington o, como lo llama el Pentágono, America’s Full Spectrum Dominance (el predominio estadounidense en todos los aspectos).

La pérdida del «Mandato Celestial»

El problema de las élites* que detentan el poder en Wall Street y en Washington reside en el hecho que se encuentran hoy empantanados en la más profunda crisis financiera de toda su historia. Esa crisis es un hecho irrefutable para el mundo entero y el mundo está actuando en aras de salvarse a sí mismo. Las élites estadounidenses han perdido así lo que en la historia de la China imperial se conoce como el Mandato Celestial.
Se trata del mandato que se concedido a un soberano o a una élite reinante a condición de que dirija a su pueblo con justicia y equidad. Cuando el que gobierna lo hace de forma tiránica y como un déspota, oprimiendo al pueblo y abusando de él, se expone con ello a la pérdida del Mandato Celestial.

Si las poderosas élites de las firmas y las empresas privadas que han controlado las políticas fundamentales, financiera y exterior, durante la mayoría del tiempo, por lo menos durante el siglo pasado, tuvieron alguna vez en sus manos el mandato celestial, hoy resulta evidente que lo han perdido.

La evolución interna hacia la creación de un Estado policiaco injusto, con ciudadanos que se ven privados de sus derechos constitucionales, el ejercicio arbitrario del poder por personas que nunca obtuvieron un mandato electoral –como el ex secretario estadounidense del Tesoro Henry Paulson y el actual ocupante de ese mismo cargo Tim Geithner– y que roban miles de millones de dólares del contribuyente, sin consentimiento de éste, para sacar de la bancarrota a los principales bancos de Wall Street, bancos que se creían «demasiado grandes para hundirse», son hechos que demuestran al mundo que esas élites han perdido el «Mandato Celestial».

Ante tal situación, las élites que ejercen el poder se desesperan cada vez más por mantener su control sobre un imperio mundial de carácter parasitario que su máquina mediática falsamente llama «globalización». Y para lograr mantener su dominación resulta vital que Estados Unidos logre destruir toda forma naciente de cooperación, en el plano económico, energético o militar, entre las dos grandes potencias de Eurasia que, en teoría, pudieran representar una amenaza para el futuro control de la única superpotencia. Esas dos potencias son China y Rusia, cuya asociación Washington trata de evitar a toda costa.

Ambas potencias euroasiáticas completan el panorama con elementos esenciales. China es la economía más fuerte del mundo, con mano de obra joven y dinámica y una clase media educada. Rusia, cuya economía no se ha recuperado aún del destructivo final de la era soviética y del descarado saqueo que caracterizó la era de Yeltsin, sigue presentando sin embargo cartas esenciales para una asociación. La fuerza nuclear de Rusia y sus fuerzas armadas, aún siendo en gran parte remanentes de la guerra fría, representan en el mundo actual la única amenaza de consideración para la dominación militar estadounidense.

Las élites del ejército ruso en ningún momento han renunciado a ese potencial.
Rusia posee también el mayor tesoro del mundo en gas natural así como inmensas reservas petrolíferas, indispensables para China. Estas dos potencias convergen cada vez más a través de una nueva organización que crearon en 2001, conocida como la Organización de Cooperación de Shanghai (OCS). Además de China y Rusia, los países más extensos del Asia central –Kazajstán, Kirguiztán, Tayikistán y Uzbekistán– también forman parte de la OCS.

El objetivo que alega Washington para justificar la guerra de Estados Unidos, a la vez contra los talibanes y Al Qaeda, consiste en realidad en instalar su fuerza militar directamente en Asia central, en medio del espacio geográfico de la naciente OCS. Irán no es más que un pretexto. El blanco principal son Rusia y China.

Por supuesto, Washington afirma oficialmente que estableció su presencia militar en Afganistán desde el año 2002 para proteger la «frágil» democracia afgana. Sorprendente argumento cuando se analiza la realidad de la presencia militar estadounidense en ese país.
En diciembre de 2004, durante una visita a Kabul, el secretario de Defensa Donald Rumsfeld dio los toques finales a sus proyectos de construcción de 9 nuevas bases militares estadounidenses en Afganistán, en las provincias de Helmand, Herat, Nimruz, Balh, Khost y Paktia.

Esas 9 bases estadounidenses de nueva creación se agregan a las 3 bases militares principales ya instaladas inmediatamente después de la ocupación de Afganistán, durante el invierno de 2002, supuestamente con el fin de aislar y eliminar la amenaza terrorista de Osama Ben Laden.
Estados Unidos construyó sus 3 primeras bases militares en los aeródromos de Bagram, al norte de Kabul, su principal centro logístico militar; de Kandahar, en el sur de Afganistán; y de Shindand, en la occidental provincia de Herat. Shindand, la mayor base militar estadounidense en Afganistán, se encuentra a sólo 100 kilómetros de la frontera iraní, y a distancia de ataque si se trata de Rusia y China.

Afganistán ha estado históricamente en el centro de la gran pugna anglo-rusa, la lucha por el control del Asia central en el siglo 19 y a principios del siglo 20. La estrategia británica consistió entonces en impedir a toda costa que Rusia controlara Afganistán, lo cual hubiese representado una amenaza para la perla de la corona británica: la India.

Los estrategas del Pentágono también ven en Afganistán una posición altamente estratégica. Ese país constituye un trampolín que permitiría al poderío militar estadounidense amenazar directamente a Rusia y China, así como a Irán y a los demás países ricos productores de petróleo del Medio Oriente. En más de un siglo de guerras, las cosas no han cambiado mucho.

La situación geográfica de Afganistán como punto de confluencia entre el sur de Asia, Asia central y el Medio Oriente, es de vital importancia. Afganistán se encuentra además precisamente en el itinerario previsto para la construcción del oleoducto que debe llevar el petróleo de las zonas petrolíferas del mar Caspio hasta el océano Índico, donde la petrolera Unocal, así como Enron y la Halliburton de Cheney, estuvieron negociando los derechos exclusivos del gasoducto para conducir el gas natural de Turkmenistán a través de Afganistán y Pakistán hacia la enorme central eléctrica de gas natural de la Enron en Dabhol, cerca de Mumbai (Bombay). Ante de convertirse en presidente afgano títere de Estados Unidos, Karzai había sido cabildero de Unocal.

Al Qaeda no existe como amenaza

La verdad sobre todo este engaño alrededor del verdadero objetivo en Afganistán aparece claramente cuando se analiza más atentamente la supuesta amenaza de «Al Qaeda» en ese país. Según el autor Erik Margolis, antes de los atentados del 11 de septiembre de 2001, la inteligencia estadounidense proporcionaba asistencia y apoyo tanto a los talibanes como al propio Al Qaeda. Margolis señala que «la CIA proyectaba utilizar [la organización] Al Qaeda de Osama Ben Laden para incitar a los uigures musulmanes a rebelarse contra la dominación china y a los talibanes contra los aliados de Rusia en Asia central.»

Es evidente que Estados Unidos encontró otras vías para manipular a los uigures musulmanes contra Pekín en julio pasado, a través del apoyo estadounidense al Congreso Mundial Uigur. Pero la «amenaza» de Al Qaeda sigue siendo el principal argumento de Obama para justificar la intensificación de la guerra en Afganistán.

Sin embargo, el consejero de seguridad nacional de presidente Obama y ex general de Marines James Jones hizo una declaración, oportunamente enterrada por los amables medios de prensa estadounidenses, sobre la evaluación del peligro que actualmente representa Al Qaeda en Afganistán. Jones declaró al Congreso: «La presencia de Al Qaeda es muy reducida. La evaluación máxima es inferior a 100 ejecutores en el país, ninguna base, ninguna capacidad de lanzar ataques contra nosotros o nuestros aliados.»

Lo cual significa que Al Qaeda no existe en Afganistán. ¡Diablos! Incluso en el vecino Pakistán, lo que queda de Al Qaeda es ya prácticamente imperceptible. El Wall Street Journal señala: «Perseguidos por los aviones sin piloto estadounidenses, con problemas de dinero y con más dificultades para atraer a los jóvenes árabes a las oscuras montañas de Pakistán, Al Qaeda ve reducirse su papel allí y en Afganistán, según los informes de la Inteligencia y de los responsables pakistaníes y estadounidenses. Para los jóvenes árabes que son los principales reclutas de Al Qaeda “no resulta romántico pasar frío y hambre y tener que esconderse”, declaró un alto responsable estadounidense en el sur de Asia.»

Si entendemos bien las consecuencias lógicas de esa declaración no queda más remedio que llegar a la conclusión de que la razón por la cual los jóvenes alemanes y de otros países de la OTAN están muriendo en las montañas afganas no tienen nada que ver con «ganar la guerra contra el terrorismo». Muy oportunamente la mayoría de los medios de prensa prefieren olvidar el hecho que Al Qaeda, en la medida en que esa organización existió alguna vez, fue creada por la CIA en los años 1980.

Se dedicaba entonces a reclutar musulmanes radicales provenientes de todo el mundo islámico y a entrenarlos para la guerra contra las tropas rusas en Afganistán en el marco de una estrategia elaborada por Bill Casey, jefe de la CIA bajo la administración Reagan, entre otras, con el objetivo de crear un «nuevo Vietnam» para la Unión Soviética, lo cual debía conducir a la humillante derrota del Ejército Rojo y el derrumbe final de la Unión Soviética.

James Jones, jefe del National Security Council, reconoce ahora que no hay prácticamente nadie de Al Qaeda en Afganistán. Quizás sea un buen momento para que nuestros dirigentes políticos proporcionen una explicación más honesta sobre la verdadera razón del envío de más jóvenes a Afganistán, a morir protegiendo las cosechas de opio.

F. William Engdahl

Extraído de Red Voltaire.

~ por LaBanderaNegra en Diciembre 22, 2009.

mercredi, 30 décembre 2009

Turquia-Israel: una "alianza estrategica"

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Turquía-Israel: una “alianza estratégica”

Turquía fue el primer país musulmán que reconoció al Estado de Israel y el primero también en establecer relaciones diplomáticas con él. Sin embargo, más acusadamente tras el bombardeo de Gaza, dichas relaciones se encuentran deterioradas por una escalada de gestos ofensivos que las han tensado. ¿Significa esto el fin de una de las relaciones diplomáticas más estables, con altibajos, de Oriente Próximo?

La “alianza periférica”

El régimen republicano turco reconoció al Estado de Israel en 1949 y estableció relaciones diplomáticas con él en 1952. De ese modo, Turquía escenificaba su opción prioritaria por Occidente, al tiempo que daba la espalda a la antigua porción árabe del Imperio otomano, corroborando la ruptura con el pasado imperial que había comenzado con el triunfo de Atatürk. Por otra parte, las relaciones entre el sionismo y el Imperio en la época en que Palestina formaba parte de éste nunca habían sido malas, y de algún modo los otomanos habían mantenido como mínimo una neutralidad benévola durante las dos primeras aliyot [olas de inmigración judía a Israel].


Para Israel, estas relaciones tenían un interés fundamental, pues suponían una ruptura del cerco árabe. Ben Gurion, el fundador del Estado, ya había desarrollado la teoría de la “periferia estratégica”, que suponía anudar relaciones con entidades no árabes de Oriente Próximo (Turquía, Irán, maronitas libaneses, kurdos de Irak…) Uno de sus frutos fue un pacto secreto (“pacto periférico”) de 1958 entre ambos Estados. Sus términos no se conocen exactamente (incluso los signatarios niegan su existencia), pero se supone que su núcleo era el intercambio de información de seguridad y militar, así como el compromiso por parte turca de actuar de portavoz de Israel ante Estados Unidos y la OTAN.

Este pacto tuvo escasa duración, pues en torno a 1960 Ankara inició un acercamiento a la Unión Soviética y los países árabes de Oriente Próximo, hacia los que Turquía mantuvo una posición de apoyo, no muy enérgico, en su conflicto con Israel, tanto con ocasión de la nacionalización del canal de Suez y la guerra de los Seis Días como recibiendo a Yasir Arafat y autorizando la apertura de una oficina de la OLP en Ankara (1979). De hecho, desde la proclamación de la capitalidad de Jerusalén, Turquía disminuyó la actividad de su representación diplomática con Israel (1980-1985).
Con todo, no cesó la cooperación militar, sobre todo desde el golpe de Estado de 1980. Es preciso tener en cuenta que los militares turcos, que se consideran depositarios del legado de Atatürk, son los principales valedores de las relaciones con Israel, sea por razones ideológicas –Israel está firmemente anclado en Occidente– como prácticas: el israelí es el primer Ejército de la región en los planos armamentístico, de cualificación profesional y de servicios de inteligencia.

La “alianza estratégica”

Esta relación se profundizó y adquirió nuevas dimensiones a partir del colapso de la Unión Soviética (1990). Para Turquía supuso un cambio de paradigma, pues si por una parte su posición estratégica como defensora del flanco sur de la OTAN había perdido buena parte de su valor, la disolución de la URSS abría nuevos terrenos a su actuación política y económica en dirección a las repúblicas ex soviéticas de los Balcanes y, sobre todo, las turcófonas de Asia Central. Ello significaba asimismo mejorar su capacidad militar para cubrir sus propios flancos: con Grecia, con la que mantenía un antiguo contencioso aún latente a pesar de los acuerdos de buena vecindad; con Chipre, con la presencia militar en la República Turca del Norte; y con Siria, que mantenía una política de apoyo al PKK kurdo.

Parcialmente liberada de las servidumbres de la guerra fría, Turquía estaba en condiciones de ejercer de potencia regional. Israel, por su parte, tenía mucho que ganar en su alianza con Turquía: la profundidad estratégica que le daba contar con el espacio aéreo turco para entrenamiento de su aviación y como corredor hacia Siria, Irán e Irak, un excelente mercado, especialmente para su industria militar, y un proveedor de materias primas.
El instrumento de esta nueva situación fue la elevación al rango de embajadas de las representaciones diplomáticas en 1991. De ese modo, a partir de 1992 se prodigaron las visitas bilaterales de alto nivel: las de los presidentes israelíes Herzog (1992) y Weizmann (1994, 1996) y las del turco Demirel (1996, 1999), así como las de los primeros ministros Tansu Çiller (1994) y Barak (1999).
Estas visitas hablan de unas relaciones de particular densidad, que quedaron plasmadas en una catarata de acuerdos, iniciados en 1992 con un protocolo de cooperación de defensa, precedente del Acuerdo Secreto de Seguridad de 1994, y de los más amplios y decisivos Acuerdos de Cooperación y Capacitación Militares de febrero de 1996 y Acuerdo de Cooperación de Industria Militar de agosto, así como un acuerdo de libre comercio a finales del mismo año, ratificado en los primeros meses de 1997. El seguimiento de estos instrumentos se realiza a través de encuentros bimestrales.

Estos acuerdos, que contaron con el beneplácito de Estados Unidos y con la crítica de los países árabes de la región e Irán, dieron lugar a una relación de interdependencia asimétrica que colocaba a Israel en mejores condiciones, como proveedor de tecnología militar para la modernización de las fuerzas armadas turcas (1) y de seguridad avanzada para la lucha contra el PKK (es sabido que agentes del Mossad actúan en el Kurdistán), con capacidad de entrenar en el uso de ambas y con la fuerza que le da su íntima alianza con Estados Unidos, que a través de Israel ha hecho llegar armamento moderno a Turquía, superando de ese modo las limitaciones parlamentarias debidas a la mala situación de los derechos humanos en el país euroasiático.
En este sentido, son ilustrativas las declaraciones de un portavoz del Departamento de Estado de EE UU en mayo de 1997, de que era un “objetivo estratégico” de Estados Unidos que Turquía e Israel ampliaran sus relaciones políticas y su cooperación militar.
Aun siendo las más relevantes, la cooperación militar no es la única: a ella debe unirse la política, que implica un apoyo mutuo. En ese sentido, Israel y el lobby judío de Estados Unidos, por ejemplo, impidieron en todos los foros posibles una condena de Turquía por el genocidio armenio, y Turquía ha actuado de interlocutor para Israel en distintas instancias internacionales, comenzando por la OTAN y haciendo un hueco al Estado sionista en la política regional a través de la Iniciativa de Cooperación de Estambul, promovida por la OTAN para mejorar el diálogo mediterráneo, especialmente en materia de seguridad.
En el aspecto económico ha habido logros significativos: las transacciones comerciales entre ambos países han pasado de 2.000 millones de dólares en 2000 a 3.300 en 2008, el volumen más elevado de la región. Por otra parte, el capital israelí ha encontrado en Turquía una nueva tierra de promisión y, asociado al capital local, se ha embarcado en un ambicioso programa de conquista de los mercados centroasiáticos, con especial hincapié en el campo de la energía. Turquía es asimismo el destino predilecto del turismo israelí, con 700.000 visitas anuales.

Dos aspectos de esta colaboración destacan nítidamente: la busca por Israel de nuevas fuentes de energía exteriores. El petróleo y el gas encontrarían un vehículo idóneo en los dos oleoductos, procedentes del Caspio y de Asia Central, que se dirigen al puerto turco de Cehyan y que podrían tener un ramal que llegara hasta Ashkelon (sur de Israel). La otra es el agua, bien escaso y controvertido en Israel (buena parte de los acuíferos se encuentran en los territorios ocupados). En 2004 se firmó un acuerdo por el que Turquía aportaría 50 millones de metros cúbicos de agua anuales durante veinte años.

Síntomas de desapego

A partir de fines de 2000, coincidiendo con la segunda Intifada, esta luna de miel en cierto modo contra natura empezó a mostrar síntomas de agotamiento: incluso los mismos militares comenzaron a mostrar su preocupación por el hecho de que el alto nivel de intercambio pudiera debilitar a Turquía en una situación de cambio de alianzas, por ejemplo, un acuerdo entre Israel y Siria. Este cambio, que ya detectó Arabic News, órgano de la Liga Árabe, en marzo de 2001, se plasma en la suspensión del acuerdo de modernización de los carros de combate turcos por parte de Israel, en visitas y maniobras conjuntas, así como en el aumento del tono de la prensa turca respecto a la violación por parte de Israel de los derechos humanos en Gaza y Cisjordania. Para los militares turcos, no se trataba tanto de una ruptura como de una “congelación” de las relaciones estratégicas entre ambos países. Lo cierto es que, según los politólogos Kessler y Kochlender, «el sector industrial militar israelí reconoce que las exportaciones a Turquía disminuyen… reemplazadas por otras de Estados Unidos y de Europa, especialmente italianas».

Las contradicciones se agudizaron a partir de la subida al poder del AKP postislamista. El AKP mantenía desde hacía tiempo buenas relaciones con Hamas, organización a la que defendió en instancias internacionales con el argumento nada complicado –para alguien que no sea un político occidental– de que Hamas era indispensable para avanzar en la paz en Oriente Próximo. Con todo, la política de Tayyip Erdogan no está pensada tanto “contra” Israel como a favor de estrechar los lazos con los árabes, lo que, no cabe duda, conlleva un alejamiento, siquiera retórico, de un Israel excesivamente prepotente. Este juego se manifestó en 2004: mientras se firmaba el acuerdo sobre el agua citado anteriormente, el Gobierno turco protestaba airadamente por el asesinato “selectivo” del dirigente de Hamas Ahmed Yasin en Gaza.

Con todo, no debe dejar de señalarse que durante estos años se produjo un acercamiento entre Turquía y diversos países árabes, como Siria, una vez resuelta la discrepancia sobre el PKK y encarrilado el asunto de los recursos hídricos; Egipto, con el que se ha firmado un acuerdo de libre cambio, y Arabia Saudí. Actualmente los hombres de negocios turcos están presentes en todas las áreas de las economías de la región, incluida Palestina: en 2005 se constituyó el llamado Foro de Ankara, que reúne a hombres de negocios turcos, israelíes y palestinos con el propósito de canalizar inversiones hacia zonas industriales instaladas en Gaza y Cisjordania.
Esta proyección regional permitió a Turquía proponerse como mediadora entre Israel y Siria, una iniciativa que el Estado sionista aceptó de mala gana a pesar de su plausibilidad.

El invierno de Gaza: ¿un punto de inflexión?

El 17 de noviembre de 2008 se celebró la séptima reunión del Foro de Ankara en la capital turca. La ocasión estuvo revestida de particular solemnidad, pues el presidente israelí, Shimon Peretz, se dirigió al Parlamento turco; era el primer mandatario de ese país que lo hacía. En diciembre, el primer ministro israelí, Ehud Olmert, era recibido calurosamemnte en Ankara.
Pocos días más tarde de esta última visita, Israel lanzó sobre Gaza la operación Plomo Fundido, una invasión de la franja precedida de una meticulosa destrucción, no ya de la estructura militar, sino de todo el país. La brutalidad y el desprecio a las leyes de la guerra e incluso a la más elemental humanidad levantó un clamor universal de repulsa. Estas manifestaciones fueron particularmente masivas en Turquía, donde a la presencia en las calles se unieron tomas públicas de posición, ciberataques e incluso suspensiones de partidos de baloncesto.

La diplomacia turca se mostró muy activa en la búsqueda del fin de la agresión: se destacó a un alto funcionario en Israel mientras se multiplicaban los contactos con Egipto, Damasco e incluso la Conferencia Islámica, así como las presiones en las Naciones Unidas. Como primera medida, Ankara canceló su mediación con Damasco.
El 29 de enero de 2009 se reunía el Foro de Davos. Durante él se produjo un violento choque dialéctico entre Shimon Peretz y Tayyip Erdogan, que abandonó la reunión.
En la reacción de Erdogan se reflejan distintas circunstancias: el sincero horror ante lo que él mismo había calificado de «crimen contra la humanidad» y «salvajada», más cuando afectaba a una organización de algún modo «hermana»; el rechazo a una actitud discriminatoria hacia él por parte del moderador del encuentro, David Ignatius; la sensibilidad hacia la opinión pública de su país, y sobre todo la sensación de que los israelíes –hacía poco que se había celebrado la séptima sesión del Foro de Ankara y que Olmert había sido recibido con solemnidad en la capital turca– habían actuado sin prevenirlos de sus proyectos, menospreciando a los turcos y dando al traste con sus esfuerzos mediadores.

A partir de entonces se han producido una escalada de declaraciones y gestos que no han hecho sino enrarecer el ambiente, cuyo mejor exponente ha sido la suspensión por parte de Turquía de las maniobras Águila Anatolia, por la presencia, junto a Italia y Estados Unidos, de la aviación israelí, que debían celebrarse en septiembre de 2008.
Por parte israelí se multiplicaron las declaraciones hostiles: cancelación de viajes turísticos a Turquía con ocasión de las vacaciones del Pésaj (segunda pascua), protestas oficiales por la proyección en Turquía de un filme en el que se veía a soldados israelíes matando a un niño palestino («se pretende dar la impresión de que los soldados israelíes asesinan a niños», afirmó hipócritamente el portavoz israelí). La situación llegó al extremo de que el Ministerio de Exteriores turco se vio obligado a pedir a los funcionarios israelíes que «actuaran con sentido común en sus declaraciones y actitudes».

Lampedusa en el Levante

Esta escalada, aún fundamentalmente verbal, ¿significa el preludio de un cambio en las relaciones entre Ankara y Tel Aviv? Sí y no: sí en cuanto que ha roto la unidad de acción entre ambas capitales de forma definitiva («Turquía [no] se privará de hablar duramente de los errores cuando se cometan», en palabras de Abdullah Gül, presidente de Turquía), hasta el punto de que el ministro turco de Exteriores, Ahmet Davutoglu, afirmó que las relaciones entre ambos países dependían del «cese de la tragedia humanitaria» en Gaza. Las recientes visitas de Erdogan a Irak, y sobre todo a Irán –donde llegó a acusar a Israel de querer «devastar» el país y afirmó que Ahmadineyah era un «pacifista»–, así como la normalización de las relaciones con Armenia, parecen sugerir una mayor autonomía en las opciones diplomáticas.

Por parte israelí, la nueva actitud de Turquía, más que producir una autocrítica por los errores propios, ha servido para definir una nueva actitud de Ankara. Así, el Jerusalem Post afirmaba el 14 de agosto: «Como Rusia con Putin, Turquía… ha escondido su rápida transformación desde una democracia imperfecta pero prooccidental bajo los anteriores Gobiernos hacia un régimen antioccidental y, en el caso de Turquía, islamista».
Esta idea de un cambio en la política exterior turca aparece también en un reciente artículo del prestigioso ex director de Le Monde Jean-Marie Colombani, en el que habla de «deriva» para definirla. El diplomático Shlomo Ben-Ami sugiere en un artículo en El País (septiembre de 2008) que los «serios dilemas de identidad» de Turquía suponen para Israel que «su futuro en Oriente Medio no reside en alianzas estratégicas con las potencias no árabes de la región, sino en la reconciliación con el mundo árabe».
Sin embargo, a pesar de ello y de la torpeza diplomática israelí (2), no han faltado por ambas partes las declaraciones apaciguadoras, que, en última instancia, reflejan los límites del enfrentamiento: Israel sabe que no puede ir más lejos («Turquía es muy importante para el entrenamiento de nuestra aviación en espacios abiertos», según el ex comandante de la fuera aérea israelí Ben Eliyahu); en ese sentido, Ehud Barak, ministro de Defensa del anterior Gobierno de Tel Aviv, afirmó: «A pesar de los altibajos, Turquía sigue siendo un elemento central en nuestra región. No podemos dejarnos llevar por declaraciones encendidas». Y el influyente ministro de Industria, Ben Eliécer, aseguró: «Tenemos un conjunto de intereses estratégicos comunes de gran importancia. Debemos actuar con gran sensibilidad para que no se materialicen los pronósticos más sombríos».

Ankara, en cambio, ha optado por un tono más firme, lo que pone de manifiesto un mayor equilibrio en la relación de fuerzas entre ambos: «Turquía es el único país amigo de Israel en la región… Por ello se debe dar mucha importancia a que el Estado judío busque el apoyo de Ankara para sus políticas regionales» (el politólogo Erçan Citioglu en declaraciones a al-Yazira). Según el ministro de Exteriores, Davotuglu, «tenemos la esperanza de que mejore la situación en Gaza y que eso cree un nuevo ambiente para las relaciones turco-israelíes» (Hurriyet, 13 de octubre de 2008).

Conclusión: entre el republicanismo y el neootomanismo

Muchos observadores de la política exterior turca han hablado de una supuesta tensión en las relaciones exteriores turcas entre el republicanismo –anclaje firme en Occidente, desdén por la política regional– y el neootomanismo, o tendencia a convertirse en protagonista de la política próximo oriental, como había sucedido en el pasado. Los garantes de la primera opción serían los militares y el aparato del Estado; los de la segunda, los islamistas –tanto en la etapa de Erbakan, bruscamente interrumpida por los militares, como en la del AKP– y los proislamistas de Gobiernos anteriores.

Desde mi punto de vista, se trata de un falso debate: ni los militares han dejado de apoyar una menor interdependencia con Israel, por ejemplo, ni los islamistas han abandonado el eje fundamental de su política exterior: el ingreso en la Unión Europea y la OTAN; de algún modo, la nueva política exterior en relación con Oriente Próximo es una forma de hacer valer su nuevo papel estratégico ante sus aliados occidentales; los islamistas, por otra parte, son lo suficientemente conscientes de la profundidad de las relaciones turco-israelíes como para causarles un daño irreparable. Además, una excesiva dureza con Israel pondría en cuestión su papel mediador, por mucho que le mereciera simpatías entre la opinión árabe.
El nuevo Gobierno israelí ¿puede ahondar las actuales diferencias? No es fácil saberlo, teniendo en cuenta la escasa sutileza de su diplomacia. Sin embargo, es de suponer que terminará imponiéndose la cordura: en estos momentos, Israel es importante para Turquía. Pero sin duda Turquía lo es mucho más para Israel.

Alfonso Bolado

Notas:
(1) Turquía gastará 150.000 millones de dólares hasta 2020 en la modernización de su Ejército. Una parte importante de este dinero está destinada a Israel: modernización de los aviones F-4, F-5 y F-16, así como de los carros M-60; producción conjunta de misiles de medio alcance (Arrow y Delilah) y compra de otros (Popeye I), adquisición de 150 helicópteros estadounidenses (que se llevaría a cabo por intermediación israelí).
(2) La rudeza de la diplomacia israelí, consecuencia en parte de su carácter militante, en parte del complejo de superioridad moral característico del sionismo, es proverbial. El episodio turco no es único: los desplantes a políticos extranjeros que no son de su agrado –como sucedió con el enviado de la Unión Europea, Miguel Ángel Moratinos–; la sistemática denuncia de cualquier actitud, real o supuesta, de antisemitismo; la altanería con la que se dirige a las autoridades de los países huéspedes en estos casos (el Gobierno español y el catalán la han padecido con ocasión de los bombardeos de Gaza); la agresividad de las comunicaciones con la prensa internacional… la hacen antipática. Sorprende por ello la debilidad de las respuestas, que no hace sino retroalimentar esos comportamientos.

Extraído de CSCA.

~ por LaBanderaNegra en Diciembre 22, 2009.

lundi, 28 décembre 2009

L'Ecosse deviendra-t-elle indépendante?

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Dr. PETERSEN :

 

 

 

L’Ecosse deviendra-t-elle indépendante ?

 

Un chapitre nouveau dans une longue lutte pour l’indépendance et la liberté !

 

L’histoire ne fait jamais de sur-place. On le constate en observant les efforts que font actuellement les Ecossais pour devenir plus indépendants de l’Etat britannique et pour se poser comme une entité autonome en des domaines de plus en plus diversifiés.

 

Pour comprendre les événements qui secouent aujourd’hui l’Ecosse, il faut se livrer à une brève rétrospective : le 1 mai 1707, l’Ecosse et l’Angleterre fusionnent pour former le Royaume-Uni, dont la capitale, Londres, devient le centre d’où émanent tous les pouvoirs. Depuis les Romains, on avait l’habitude de considérer les deux pays comme deux îles distinctes, dotées de quelques « ponts de terre ferme ». A partir de 1707, ces deux « îles » et ces deux peuples, désormais fusionnés, seront considérés comme un bloc uni à tous les points de vue : formel, juridique, administratif et territorial. L’histoire de l’Ecosse avait commencé pendant les « siècles obscurs », entre 400 et 800 de l’ère chrétienne, où elle avait subi diverses attaques ennemies comme le reste de la Grande-Bretagne, pendant l’époque romaine et après le départ des légions de l’Urbs. L’Ecosse, au 7ème siècle avait été partagée entre quatre royaumes, souvent en querelle pour des questions territoriales ou pour savoir lequel jouirait d’une supériorité sur les autres. Finalement, les divers peuples qui composaient l’Ecosse de ces « siècles obscurs » vont fusionner pour former, en bout de course, un royaume unique d’Ecosse. Les étapes suivantes sont mieux connues : on se souvient tous de la lutte de l’Ecosse pour conserver sa liberté, sous l’égide de William Wallace qui s’était opposé avec énergie à la rude mainmise anglaise sur le pays.

 

L’Ecosse : mise hors jeu par des techniques raffinées

 

Au 17ème siècle, la voie vers l’unité de la Grande-Bretagne semblait déjà tracée avec les Stuarts qui étaient rois d’Angleterre et, par union personnelle, aussi rois d’Ecosse. Cependant, après les Stuarts, l’annexion de l’Ecosse par l’Angleterre allait se faire par des techniques raffinées, mettant hors jeu les Ecossais. D’abord, les Anglais menacent de proclamer l’ « Alien Act », par lequel tous les Ecossais vivant en dehors d’Angleterre auraient été considérés comme étrangers et exclus de tout commerce avec l’Angleterre et ses colonies. Ensuite, les Anglais appliquent une technique financière, en créant la « Company of Scotland », une société commerciale écossaise, laquelle était flanquée d’un projet, dit « Projet Darien » ; dans le cadre de cette société, on envisageait de créer une colonie exclusivement écossaise à Panama. Le projet échoua de manière catastrophique et ruina complètement les finances du royaume d’Ecosse. Acculés à la misère et à la banqueroute, les Ecossais n’avaient plus qu’une issue, pour redonner de la stabilité à leur pays : accepter l’Union complète, l’ « Act of Union ».

 

Depuis lors, plus de 300 ans se sont passés et voilà que les héritiers de Wallace remettent en question ce « mariage de raison » entre les deux pays. Il y a déjà de nombreuses années que le processus d’émancipation vis-à-vis du « grand frère anglais » est en cours et constitue un objet de querelle entre les « époux », avec pour corollaire, que la partie écossaise du contrat matrimonial revendique de plus en plus souvent un franc divorce. Fer de lance de cette revendication, le SNP (Scottish National Party) d’Alex Salmond avait fait de celle-ci le point numéro 1 de son programme électoral de 2007. Tony Blair avait senti passer le vent du boulet, en perdant des voix dans une Ecosse traditionnellement travailliste, sans compter le ressac qu’il avait subi pour avoir trop manifestement soutenu la politique belliciste américaine en Irak. La défaite de Blair et le pacifisme écossais ont donc contribué à renforcer toutes les tendances favorables à l’indépendantisme en Ecosse.

 

Les tirades de Blair

 

McConnell, un des leaders du parti travailliste en Ecosse, avait pourtant adopté un profil fort différent de celui de Blair lors de la campagne électorale calédonienne, mais avait tout de même émis l’opinion que l’Ecosse retirait d’énormes avantages de son union avec l’Angleterre. Blair, lui, lança force tirades pour démontrer que les Ecossais devraient payer leur éventuelle indépendance fort cher. Mais ni les admonestations de McConnell ni les tirades de Blair n’ont pu modifier l’opinion des Ecossais. Taylor, journaliste de la BBC, a commenté la victoire du SNP : « La plupart des Ecossais veulent que leur fierté nationale et leur identité se reflètent dans les structures politiques. Beaucoup d’entre eux traduisent ce désir par une volonté d’indépendance ».

 

La marche vers l’indépendance a commencé en 1999, lors de la fameuse « dévolution », qui a permis aux Ecossais d’avoir leur propre parlement. Les compétences dont bénéficie ce parlement écossais comprennent, pour l’essentiel, tous les aspects de la « domestic policy », de la « politique intérieure ». Dont, notamment, les politiques de l’enseignement, de l’environnement, du transport, du tourisme et de la région proprement dite. Le 30 novembre 2009, exactement le jour de la fête nationale écossaise, ce parlement présente enfin le « livre blanc », qui résume les desiderata des Ecossais, cherchant à obtenir l’indépendance vis-à-vis de toutes les autres composantes du Royaume-Uni. Ce « livre blanc » recadre le processus d’indépendance, tel que l’envisage le SNP, dans un contexte plus vaste, et avance quatre options :

1.     Le statu quo.

2.     Un élargissement des droits et compétences de l’actuel parlement régional écossais.

3.     Une forme d’autonomie qui laisserait aux Ecossais presque toutes les compétences d’un Etat normal, y compris la souveraineté financière et monétaire, à l’exception de la défense et de la sécurité. En avançant ce projet d’autonomie, les Ecossais parlent de « dévolution max » (le maximum en matière de dévolution) ou d’ « indépendance light » (l’indépendance ‘light’).

4.     Se détacher complètement de la Grande-Bretagne. Dans ce dernier cas, le SNP veut conserver la monarchie et la livre sterling.

 

Le problème : la crise financière

 

Le processus vers l’indépendance est toutefois freiné en Ecosse aujourd’hui parce que le gouvernement d’Alex Salmond est minoritaire. Toutefois en janvier prochain, un projet de loi sera présenté au parlement écossais, visant l’organisation d’un référendum sur la constitution future de l’Ecosse. Deuxième frein au processus d’indépendance : la récession actuelle et la situation financière tendue. Dans ce contexte économique peu favorable, les sondages les plus récents montrent qu’une bonne part de la population écossaise craint que la puissance financière d’une Ecosse indépendante, détachée du Royaume-Uni, serait battue en brèche. Ainsi, en 2008, deux grandes banques, la « Royal Bank of Scotland » (RBS) et la « Halifax Bank of Scotland » n’ont pu être sauvées que par des injections de capitaux fournis par le trésor britannique.

 

Avec cette situation financière considérablement fragilisée pour arrière-plan, on assiste en Ecosse aujourd’hui à l’émergence d’une dualité politique. On peut ainsi tracer un parallèle avec la situation d’il y a 300 ans. A l’époque, l’Ecosse s’était embarquée dans une aventure financière à Panama, où les risques financiers étaient considérables. La suite ne s’est pas fait attendre : les finances du royaume ont été mises en banqueroute complète. La seule issue avait donc été de s’unir à l’Angleterre. Aujourd’hui, nous devons constater que les finances sont à nouveau ébranlées, conséquence de la crise financière et bancaire mondiale, dans le déclenchement de laquelle la « City » londonienne porte une très lourde responsabilité. C’est pourquoi beaucoup d’Ecossais, même s’ils ont un jour aspiré à un maximum d’autonomie voire à l’indépendance, voient leur salut dans un maintien de l’union avec l’Angleterre. Les conservateurs écossais, par exemple, dans les eaux troubles de l’omniprésente crise financière, préfèrent encore et toujours naviguer sous pavillon britannique.

 

Malgré cette réticence sur fond de crise, les « dévolutionnistes » ne baissent pas les bras. La majorité des Ecossais ne cessera pas de vouloir bientôt vivre le vieux rêve de l’indépendance. Sur le long terme, les angoisses générées par la crise financière ne pourront pas faire taire les aspirations d’un peuple à la liberté. La voie vers l’indépendance de l’Ecosse est tracée et rien, me semble-t-il, ne pourra plus l’arrêter.

 

Dr. PETERSEN.

(article paru dans DNZ, Munich, n°51/2009 ; trad. franc. : Robert Steuckers).  

 

 

dimanche, 27 décembre 2009

Yémen: ripostes saoudiennes

yemen-map.jpgYémen : ripostes saoudiennes

 

Un nouveau chapitre dans le conflit séculaire entre Perses et Arabes

 

L’aviation saoudienne a attaqué les rebelles chiites du Yémen : cette action musclée revêt une grande importance géopolitique et historique. Elle prouve la volonté saoudienne de s’imposer aujourd’hui. Si l’on creuse un peu la problématique pour comprendre ses motivations, on s’apercevra bien vite que l’enjeu dépasse de loin celui d’un conflit régional. Nous voyons s’ouvrir un nouveau chapitre dans l’histoire pluriséculaire de la rivalité, aujourd’hui en phase de réactivation, entre Arabes et Perses. Les troubles qui agitent le Yémen aujourd’hui ne sont pas une nouveauté. Les rebelles chiites du Nord du pays ne constituent qu’une des nombreuses difficultés que doit affronter le gouvernement yéménite. Grâce au soutien que leur apporte l’Iran, les rebelles al-Houthi (que nous appellerons plus simplement les « Houthis ») sont devenus plus virulents. Tout comme d’ailleurs les autorités yéménites, dont l’armée est entrainée par d’anciens officiers irakiens, exilés depuis la chute de Saddam Hussein. Mais ces autorités yéménites ne parviennent pas, toutefois, à stabiliser la situation, ce qui provoque une inquiétude croissante chez leurs voisins saoudiens. La problématique a des racines religieuses. Les Houthis sont chiites, donc des hérétiques aux yeux des wahhabites qui dominent l’Arabie Saoudite. Des hérétiques qui, de surcroît, opèrent dans les régions frontalières. Les Houthis sont d’ailleurs très fiers d’avoir conquis certaines zones frontalières, arrachées aux Saoudiens. Ceux-ci ont vérifié si les Houthis disaient vrai. En constatant la véracité de leur affirmations, les Saoudiens ont donné l’ordre à leur aviation d’intervenir. Au cours de ces derniers mois, les Saoudiens ont donc lancé des opérations terrestres et aériennes, parfois sur territoire yéménite. Les rebelles en concluent que l’Arabie Saoudite cherche à créer une zone tampon sur le territoire du Yémen.

 

Une situation unique

 

On sait dorénavant que les Saoudiens utilisent leur puissance économique dans la région pour exercer une influence sur leurs voisins, ou du moins essayer… Sur le plan militaire, ils font montre de réticence. Or c’est précisément à cause de cette réticence que la réalité actuelle revêt un caractère absolument unique. Le véritable motif de ce conflit apparaît de plus en plus évident. Pour Ryad, il ne s’agit pas simplement de mettre au pas une brochette de dissidents religieux. Car les Houthis sont considérés à Ryad comme l’instrument du rival héréditaire : l’Iran. Les Saoudiens sont de plus en plus inquiets du poids croissant de l’Iran au Moyen Orient : Téhéran, en effet, entretient des rapports étroits avec le Hizbollah, a des contacts avec le Hamas, ce qui permet aux Iraniens d’influencer les événements de Palestine, et joue un rôle non négligeable dans le chaos qui secoue l’Irak. Depuis toujours, l’Irak est le pays où sunnites et chiites s’affrontent. Sous Saddam Hussein, la majorité chiite tenait un rôle de second plan, était parfois opprimée, mais après la disparition du leader nationaliste arabe, les choses ont changé. Dans le nouvel Irak, les Chiites sont dans le camp des vainqueurs et cela, les Saoudiens le ressentent avec angoisse. D’où ils refusent de voir se développer de nouvelles agitations, téléguidées par Téhéran, sur les frontières mêmes de leur royaume. Des bruits courent que des membres du Hizbollah sont au Yémen et combattent aux côtés des Houthis. C’est plausible mais il se peut bien que ces bruits aient été répandus par les autorités yéménites, afin de faire mousser la situation. Mais qu’il existe des liens financiers et logistiques avec Téhéran, c’est une chose acquise.

 

Une ligne dans le sable du désert

 

Pour les Saoudiens, l’objectif à court terme est aussi clair que l’eau de roche. Pour les Iraniens, chercher à amplifier leur influence en soutenant des rebelles est une stratégie ancienne et éprouvée. Pour les Saoudiens, il est donc d’une importance cruciale qu’aucun précédent ne se crée sur le territoire de la péninsule arabique. Au propre comme au figuré, ils envisagent de tracer une ligne sur le sable du désert. Une ligne qui doit devenir la limite de toute expansion iranienne. Ce qui se passe dans les sables du Yémen n’a jamais constitué une priorité pour les Etats-Unis. Jusqu’il y a peu. Car à Washington également, le climat a changé. Quelque part, c’est logique : pour les Américains aussi, l’Iran  —et surtout son programme nucléaire—  est un gros souci.

 

Tandis que Ryad cherchait à se profiler sur le plan militaire, les Etats-Unis signaient un accord de coopération militaire avec le gouvernement yéménite. Une attention toute particulière est consacrée à la lutte « contre le terrorisme ». On le voit, l’arrivée de la superpuissance américaine indique qu’un nouveau chapitre dans la longue histoire du conflit entre Arabes et Perses vient de s’ouvrir. Le scénario est lié étroitement au recul subi par les Saoudiens au Moyen Orient. Un diplomate résumait clairement la situation : « Au cours de ces dix dernières années, l’influence du pays dans la région n’a cessé de reculer ». « Par conséquent, les dirigeants saoudiens cherchent à ramener la couverture de leur côté ». Les Saoudiens, de concert avec les Egyptiens, se sont efforcés, au cours de ces dernières années, de soutenir les processus de paix entre Israéliens et Palestiniens. La Syrie et l’Iran ont opté pour une politique opposée, en allant soutenir le Hizbollah et aussi le Hamas. Aujourd’hui, c’est clair, la paix n’est pas prête d’être conclue, ce qui n’empêche pas qu’il y ait déjà des vainqueurs et des vaincus. Ceux qui spéculent sur la paix ont le vent en poupe si celle-ci n’est pas conclue. Ryad veut donc fermement reprendre le contrôle de la situation. D’abord sur le plan diplomatique, notamment en tentant d’améliorer ses relations difficiles avec la Syrie. Ensuite, sur le plan militaire : les Saoudiens veulent montrer leur puissance. Mais cette volonté doit nécessairement se heurter aux initiatives incessantes des Iraniens pour augmenter l’influence perse au Moyen Orient et dans la péninsule arabique.

 

« M. ».

(article paru dans « ‘t Pallieterke », Anvers, 18 novembre 2009 ; trad.. franc. : Robert Steuckers).     

samedi, 26 décembre 2009

Réflexions sur l'interdiction du parti kurde DTP

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Andreas Mölzer :

Réflexions sur l’interdiction du parti kurde DTP

 

Une fois de plus, les provinces kurdes de l’Est de l’Anatolie sont entrées en ébullition. Le motif de cette agitation est l’interdiction du parti kurde DTP, qui était pourtant représenté au parlement d’Ankara. Ainsi en a décidé la Cour constitutionnelle turque. Le verdict des juges de cette Cour constitutionnelle nous montre, encore une fois, que la Turquie, pays d’Asie Mineure, est bien éloignée de l’Europe. D’abord, il faut rappeler que le parti kurde a été interdit uniquement parce qu’il était un parti qui défendait une minorité, opprimée depuis des siècles, et qu’une telle démarche est impensable en Europe. Ensuite, force est de constater que la lutte pour le pouvoir entre islamistes et kémalistes revient tout à l’avant-plan de la politique intérieure turque. La Cour constitutionnelle est, avec l’armée, le dernier bastion kémaliste : elle a donc tenté d’indiquer au gouvernement d’Erdogan quelles limites il ne pouvait pas franchir, en interdisant le DTP.

 

Tous ces événements récents sont symptomatiques de l’état actuel de la Turquie. On y fait de temps en temps un tout petit pas en avant, qui est bien vite suivi d’un grand pas en arrière. Dans un premier temps, le Premier Ministre Erdogan avait annoncé, en grande pompe, en faisant sonner trompettes et buccins, son plan en quinze points pour résoudre la question kurde et voilà que maintenant la plus grande minorité ethnique du pays se voit confisquer toute représentation politique ! D’abord, ce jeu du chat et de la souris au détriment des Kurdes est indigne, ensuite, cette interdiction du DTP démontre que la Turquie n’est pas un Etat européen.

 

Dans ce jeu, la « communauté des valeurs » qu’entend être l’Union Européenne, joue un bien triste rôle. Parce que des forces politiques importantes et dominantes veulent absolument faire adhérer la Turquie à l’UE, Euro-Bruxelles se dissimule lâchement derrière les belles paroles diplomatiques habituelles et exprime son « souci »… Le comportement inacceptable de la Turquie n’amène pas les responsables de l’UE à tirer les conclusions qui s’imposent : l’interdiction du DTP aurait dû conduire à une rupture immédiate de toutes les négociations en vue de l’adhésion turque. Mais pour oser cela, il manque à l’UE, qui rêve pourtant de devenir un « acteur global », une solide dose de courage.

 

Mais il n’y a pas que l’interdiction du DTP kurde : il y aurait encore beaucoup d’autres raisons pour mettre un terme rapidement à cette folie de vouloir élargir l’Europe en direction de l’Orient : ne mentionnons, à titre d’exemple, que les discriminations auxquelles les chrétiens de Turquie sont soumis, ou encore le refus d’Ankara de reconnaître Chypre, Etat membre de l’UE, ou, enfin, les nombreuses entorses à la liberté d’opinion que commet l’Etat turc.

 

Andres MÖLZER.

(article paru dans « zur Zeit », Vienne, n°51/2009)

vendredi, 25 décembre 2009

La nouvelle feinte d'Erdogan

moelzer_fabry.jpgAndreas Mölzer:

 

La nouvelle feinte d’Erdogan

 

Début novembre 2009, le Premier Ministre turc Erdogan a présenté son plan en quinze points pour résoudre la question kurde. Parmi ces quinze points, nous découvrons qu’il serait dorénavant permis d’enseigner la langue kurde dans les écoles, à titre de branche en option. Les villages recevraient à nouveau leurs anciens noms kurdes. Toutes choses qui devraient pourtant être évidentes. Le plan d’Erdogan prouve une chose: que la Turquie, jusqu’ici, a foulé aux pieds les droits les plus élémentaires de la principale de ses minorités ethniques.

 

Mais ce plan ne s’adresse pas en premier lieu aux Kurdes, mais à l’Union Européenne. En donnant le plus grand impact médiatique à son plan, Erdogan cherche à gruger les eurocrates bruxellois, à leur jeter de la poudre aux yeux, pour qu’ils ne voient plus les vices de fonctionnement de l’Etat turc, qui s’étalent pourtant au grand jour. La petite minorité chrétienne qui subsiste dans le pays subit toujours autant de discriminations et rien, dans le plan du premier ministre islamiste, ne laisse entrevoir que leur sort sera amélioré. En outre sur le plan des droits de l’homme, surtout au niveau de la liberté d’opinion et de la liberté de la presse, la situation demeure déplorable; ensuite, Ankara refuse toujours, avec un entêtement consommé, de reconnaître un Etat membre de l’UE: Chypre.

 

En gros, on peut se poser la question: les discriminations subies par la minorité kurde en Turquie prendront-elles véritablement fin? A l’évidence, on peut annoncer beaucoup de choses mais ce qui importe, en ultime instance, c’est la traduction des promesses dans les faits. Le meilleur exemple que l’on puisse citer est le rapprochement avec l’Arménie, qu’avait promis, il y a peu, le gouvernement turc actuel. Rappelons-nous: il y a quelques semaines, l’annonce de ce rapprochement avait fait la une des quotidiens et des agences de presse dans le monde entier. Aujourd’hui, au bout de quelques semaines seulement, nous constatons que la reprise des relations diplomatiques entre Ankara et Erivan sont loin d’être devenues une réalité. La Turquie tente, par tous les moyens, de dicter ses conditions à l’Arménie, et, au Parlement d’Ankara, une résistance virulente se constitue contre la signature de tout traité avec l’Arménie voisine.

 

Il y a tout lieu de croire que le nouveau plan d’Erdogan s’enlisera de la même façon, car le chef du gouvernement turc sait trop bien quelles oppositions il suscitera en politique intérieure. Car, d’une part, les partis d’opposition en Turquie entrent en ébullition chaque fois qu’il est question d’élargir la palette des droits pour les Kurdes et, d’autre part, le gouvernement d’Erdogan n’a plus le vent en poupe, au contraire, il bat de l’aile. Les sondages lui attribuent 32%, ce qui constitue 15% de moins que lors de la victoire électorale qui l’a porté au pouvoir, il y a deux ans. Si cette tendance persistait et si l’opposition en venait encore à gagner du terrain, alors Erdogan n’aura aucun scrupule à lâcher les Kurdes.

 

Andreas MÖLZER.

(article paru dans “zur Zeit”, n°47-48/2009).

 

jeudi, 24 décembre 2009

Entrevista al especialista en geopolitica y mundo arabe Mohemmed Hassan

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Entrevista al especialista en geopolítica y mundo árabe Mohammed Hassan

Somalia: De cómo las potencias coloniales mantienen al país sumido en el caos

Somalia tenía todo lo necesario para salir adelante: una situación geográfica privilegiada, petróleo, minerales y, algo raro en África, una sola religión y una única lengua para todo el país. Somalia hubiera podido ser una gran potencia regional. Pero la realidad es muy diferente: hambrunas, guerras, pillaje, piratas, atentados… ¿Cómo se ha desmoronado este país? ¿Por qué no existe un gobierno somalí desde hace casi veinte años? ¿Qué escándalos se ocultan tras los piratas que secuestran nuestros barcos? En esta nueva entrega de la serie “Comprender el mundo musulmán”, Mohammed Hassan nos explica por qué y cómo las potencias imperialistas han aplicado a Somalia la teoría del caos.

¿Cómo se ha desarrollado la piratería en Somalia? ¿Quiénes son los piratas?

Desde 1990, no existe un gobierno en Somalia y el país se encuentra en manos de los señores de la guerra. Los barcos europeos y asiáticos se han aprovechado de la situación caótica para pescar en las costas somalíes sin licencia alguna y sin respetar unas normas elementales. No han respetado las cuotas vigentes en sus países de origen para preservar las especies, y han empleado técnicas de pesca- en especial, dinamita- que han producido graves daños a la riqueza pesquera de los mares somalíes.


Pero eso no es todo. Aprovechándose, asimismo, de esta falta de autoridad política, las empresas europeas, ayudadas por la mafia, han vertido residuos nucleares a lo largo de las costas de Somalia. Europa estaba al corriente, pero ha cerrado los ojos porque esta solución presentaba ventajas prácticas y económicas para el tratamiento de los residuos nucleares. Por otra parte, el tsunami de 2005 depositó gran parte de esos residuos nucleares en las tierras somalíes, lo que ha ocasionado la aparición de enfermedades desconocidas entre la población de Somalia. Este es el contexto en el que se ha desarrollado, esencialmente, la piratería somalí. Los pescadores de Somalia, con técnicas rudimentarias, no estaban en condiciones de faenar, por lo que han decidido protegerse y proteger sus mares. Es exactamente lo mismo que hizo Estados Unidos en su guerra civil contra los británicos (1756-1763): al no disponer de fuerzas navales, el presidente Georges Washington llegó a un acuerdo con los piratas para proteger la riqueza de las costas estadounidenses.

¿Cómo es posible que desde hace casi veinte años no exista un Estado somalí?

Es la consecuencia de una estrategia estadounidense. En 1990, el país estaba conmocionado por los conflictos, el hambre y el pillaje, y el Estado se vino abajo. Ante la situación, Estados Unidos, que había descubierto unos años antes las reservas de petróleo de Somalia, lanzó en 1992 la operación Restore Hope [Restaurar la Esperanza], y por primera vez, los marines estadounidenses intervinieron en África para controlar el país. También por vez primera, una invasión militar se llevó a cabo en nombre de la injerencia humanitaria.

¿Se refiere a los famosos sacos de arroz exhibidos en una playa somalí por Bernard Kouchner?

Sí, todo el mundo recuerda las imágenes, cuidadosamente preparadas. Pero las verdaderas razones eran estratégicas. Un documento del departamento de Estado estadounidense preconizaba que, tras la caída del bloque soviético, Estados Unidos se mantuviera como la única super potencia mundial y, para conseguir este objetivo, recomendaba ocupar una posición hegemónica en África, muy rica en materias primas

Sin embargo la operación Restore Hope fue un fracaso. La película La chute du faucon noir [La caída del halcón negro] impactó a los estadounidenses con sus pobres soldados “asaltados por los perversos rebeldes somalíes”…

Ciertamente, la resistencia nacionalista somalí derrotó a los soldados estadounidenses y desde entonces, la política de Estados Unidos ha sido mantener Somalia sin un verdadero gobierno, es decir, balkanizarla. La antigua estrategia británica, ya aplicada en numerosos lugares: establecer Estados débiles y divididos para manejar mejor el tinglado. Esa es la razón de que no exista un Estado somalí desde hace casi veinte años: Estados Unidos mantiene su teoría del caos para impedir la reconciliación de los somalíes y mantener así al país dividido

En Sudán, tras la guerra civil, Exxon tuvo que abandonar el país después de descubrir la existencia de petróleo. ¿Dejar que Somalia se suma en el caos no es contrario a los intereses de Estados Unidos que no pueden explotar el petróleo hallado?

La explotación del petróleo somalí no es su objetivo prioritario. Estados Unidos sabe que las reservas están ahí y no tienen una necesidad inmediata de ellas. Para su estrategia, son otros dos los factores más importantes. Ante todo, impedir a sus competidores negociar ventajosamente con un Estado somalí rico y fuerte. Ustedes hablan de Sudán, y la comparación resulta interesante. El petróleo que las compañías petroleras descubrieron hace treinta años, ahora se vende a los chinos. Podría ocurrir lo mismo en Somalia. Cuando Abdullah Yussuf era presidente del gobierno de transición se fue a China, a pesar de estar apoyado por Estados Unidos, y los media estadounidenses criticaron ferozmente la visita. El hecho cierto es que EE.UU. no tiene garantía alguna en este tema: si mañana se estableciera un gobierno somalí, con independencia de su color político, podría adoptar una estrategia independiente de la estadounidense y comerciar con China. Así que los Estados occidentales imperialistas no quieren en modo alguno un Estado somalí unido y fuerte. El segundo objetivo, buscado mediante la teoría del caos, está relacionado con la situación geográfica de Somalia, estratégica para los imperialistas de Estados Unidos y Europa.

¿Por qué es estratégica?

Miren el mapa, para controlar el océano Índico. Tal como he dicho antes, las potencias occidentales tiene una gran responsabilidad en el desarrollo de la piratería en Somalia. Pero en lugar de decir la verdad y pagar indemnizaciones por lo que han hecho, criminalizan el fenómeno con el fin de justificar sus actuaciones en la región. Con el pretexto de combatir la piratería, la OTAN sitúa su marina de guerra en el océano Índico.

¿El verdadero objetivo?

Controlar el desarrollo económico de las potencias emergentes, en especial de India y China: la mitad de la flota mundial de transporte de contenedores y el 70% del tráfico total de productos petroleros pasa por el océano Índico. Y, desde el punto de vista estratégico, Somalia ocupa un lugar importante: el país tiene la costa más grande de África (3.300 kilómetros) y se encuentra frente al golfo Árabe y el estrecho de Ormuz, dos de los centros neurálgicos de la economía de la región. Además, si se llegara a una solución pacífica al problema somalí, las relaciones entre África e India y China podrían desarrollarse a través del océano Índico y los competidores de Estados Unidos podrían entonces influir en esta zona de África. Mozambique, Kenia, Madagascar, Tanzania, Zanzíbar, Sudáfrica…, todos ellos unidos por el océano Índico tendrían un fácil acceso al mercado asiático y podrían desarrollar unas relaciones económicas beneficiosas. Nelson Mandela, cuando era presidente de Sudáfrica, ya aludió a la necesidad de una revolución en el Índico con nuevas relaciones económicas. Proyecto que tanto Estados Unidos como Europa no quieren. Y esa es la razón por la que prefieren que Somalia siga sumida en el caos.

Usted afirma que Estados Unidos no quiere la reconciliación en Somalia, pero ¿Cuáles han sido los orígenes de las divisiones somalíes?

Para comprender la actual situación caótica, es preciso remontarse a la historia de Somalia, un país dividido por las fuerzas coloniales. En 1959, Somalia consigue la independencia con la unión de las colonias italiana del sur y británica del norte. Pero los somalíes viven además en ciertas zonas de Kenia, de Etiopía y de Djibuti. El nuevo Estado somalí, en principio, adopta como bandera una estrella, en la que cada punta representa una de las partes de la Somalia histórica. El lema que se incluye tras este símbolo es el siguiente: “Se han reunificado dos Somalias pero todavía quedan tres que siguen colonizadas”.

Ante la legimitidad de sus reivindicaciones, los británicos- que controlaban Kenia- organizaron un referéndum en la región del país que reivindicaba Somalia. El 87% de la población, originaria esencialmente de etnias somalíes se pronunció por la unión con Somalia. Pero al hacerse públicos los resultados, Jomo Kenyatta, líder de un movimiento nacionalista keniano, amenazó a los británicos con la expulsión de sus colonos si cedían una parte del territorio a Somalia. Y Gran Bretaña decidió entonces no tener en cuenta el resultado del referéndum y, todavía hoy, una importante comunidad de somalíes vive en Kenia. Hay que entender que estas fronteras coloniales han sido una verdadera catástrofe para Somalia. Es una cuestión que, por otra parte, ya ha sido motivo de un debate importante sobre el continente africano.

¿Qué estaba en juego en el debate?

En los años sesenta, mientras muchos países africanos alcanzaban la independencia, un debate enfrentó a los países pertenecientes a los grupos de Monrovia y de Casablanca. Este último, formado entre otros por Marruecos y Somalia, aspiraba a que se replantearan las fronteras heredadas del colonialismo, que en su opinión no tenían legitimidad alguna, ya que la mayoría de los países africanos y sus fronteras son producto del colonialismo. Finalmente, la Organización de la Unidad Africana (OUA), antecesora de la actual Unión Africana, puso fin al debate al decidir que las fronteras eran intocables, y volver a sus delimitaciones provocaría guerras civiles en todo el continente. Con posterioridad, uno de los promotores de la OUA, el tanzano Julius Nyerere, confesó que esta decisión fue la mejor pero que se arrepentía de ella en el caso somalí.

¿Cuál fue el impacto de las divisiones coloniales en Somalia?

Produjeron tensiones con los países vecinos. Durante los años en que Somalia reclamaba la revisión de las fronteras, Etiopía se había convertido en un bastión del imperialismo estadounidense que, asimismo, tenía bases militares en Kenia y en Eritrea. Fue entonces cuando Somalia, joven democracia de nómadas, expresó el deseo de tener su propio ejército, con el fin de no ser demasiado débil frente a sus vecinos armados, de ayudar a los grupos somalíes en Etiopía e incluso de recuperar mediante la fuerza algunos territorios. Pero las potencias occidentales se opusieron a la creación de un ejército somalí.

En aquella época, Somalia tenía relaciones tensas con sus vecinos. ¿No era razonable oponerse a la idea de un ejército somalí? ¿No hubiera provocado guerras?

A occidente no le preocupaban los conflictos entre países africanos sino sus propios intereses. Estados Unidos y Gran Bretaña equipaban y formaban a los militares en Etiopía, en Kenia y en Eritrea, países que todavía vivían bajo el yugo de sistemas feudales muy represivos. Pero se trataba de gobiernos neocoloniales sometidos a los intereses de occidente. En Somalia, por el contrario, el poder era mucho más democrático e independiente, por lo que los occidentales no tenían interés alguno en armar a un país que podía escapar a su control.

Por consiguiente, Somalia decidió volverse hacia la Unión Soviética, lo que produjo una gran preocupación entre las potencias occidentales, temerosas de que la influencia de la URSS se extendiera por África. Temores que se acentuaron con el golpe de Estado de 1969.

¿Qué quiere decir?

La ideología socialista se había extendido por el país y, en efecto, una comunidad importante de somalíes vivía en Adén, al sur del Yemen. Es decir, la ciudad a la que Gran Bretaña acostumbraba a enviar al exilio a todas las personas que consideraba peligrosas en la India: comunistas, nacionalistas, etc., que eran arrestadas y enviadas a Adén, donde se desarrollaron rápidamente las ideas nacionalistas y revolucionarias que afectaron después a los yemeníes y también a los somalíes. Con la presión de civiles de ideología marxista, los militares organizaron un golpe de Estado que llevó al poder en Somalia a Siad Barré.

¿Qué motivó el golpe de Estado?

El gobierno somalí era un gobierno corrupto que, sin embargo, tenía en sus manos todos los requisitos para convertir al país en una gran potencia de la región: situación estratégica, una lengua única, una sola religión y demás elementos culturales comunes. Algo que resulta muy raro en África. Pero al fracasar en el desarrollo económico del país, el gobierno creó un clima favorable a la división en clanes. Con el pretexto de dedicarse a la política, las élites somalíes se dividieron y crearon cada una su propio partido sin auténtico programa y reclutando sus electorados según los clanes existentes, lo que acentuó las divisiones y resultó totalmente inviable. Una democracia de tipo liberal no se adaptaba a Somalia: ¡en un momento dado hubo 63 partidos políticos en un país de tres millones de habitantes! Y el gobierno se sintió incapaz, incluso, de establecer una lengua oficial, lo que produjo graves problemas en la Administración. El nivel educativo era muy bajo, pero a pesar de ello se creó una burocracia, una policía y un ejército, que por otra parte, jugaron un papel fundamental en el golpe de Estado progresista.

¿“Progresista” con el ejército?

El ejército era la única institución organizada en Somalia. Como aparato para la represión, se suponía que debía proteger al supuesto gobierno civil y a las élites. Pero para muchos somalíes procedentes de familias de regiones distintas, el ejército era también un lugar de encuentros y de intercambios, en el que no existían fronteras, ni tribus ni división entre clanes… Y así las ideas marxistas traídas desde Adén empezaron a propagarse en el seno del ejército. El golpe de Estado lo prepararon oficiales ante todo nacionalistas que, sin tener buenos conocimientos del socialismo, sentían simpatía por sus ideas. Además, estaban al corriente de lo que ocurría en Vietnam y abrigaban sentimientos anti-imperialistas. Los civiles, buenos conocedores de Marx y Lenin, pero carentes de un partido político de masas, apoyaron el golpe y se convirtieron en asesores oficiales cuando los militares tomaron el poder.

¿Que cambios aportó el golpe de Estado a Somalia?

Un importante aspecto a resaltar fue que el nuevo gobierno adoptó de inmediato una lengua oficial. Además, tenía el apoyo de la Unión Soviética y China; los estudiantes y el pueblo se movilizaron; se mejoraron la educación y la situación social… los años inmediatos al golpe de Estado fueron así los mejores que Somalia haya conocido. Hasta 1977.

¿Qué cambió entonces?

Somalia, dividida por las potencias coloniales, atacó Etiopía para recuperar el territorio de Ogadén, donde los somalíes eran mayoritarios. Pero, en aquella época, Etiopía también era un Estado socialista apoyado por los soviéticos. El país había estado dirigido por el emperador Selassie, pero durante los años setenta la movilización para derrocarle había sido muy intensa y los movimientos estudiantiles- en los yo participé personalmente- planteaban cuatro reivindicaciones principales. La primera, resolver las tensiones con Eritrea de forma democrática y pacífica. En segundo lugar, llevar a cabo una reforma agraria que distribuyera la tierra entre los campesinos. La tercera, establecer el principio de igualdad entre las diversas nacionalidades: Etiopía, era todavía un país multinacional dirigido por una élite no representativa de la diversidad. Por último, abolir el sistema feudal y establecer un Estado democrático. Al igual que en Somalia, el ejército era la única institución organizada en Etiopía, y los civiles se unieron a los oficiales para derrocar a Selassie en 1974.

¿Cómo fue posible que dos Estados socialistas apoyados por la Unión Soviética se enfrentaran bélicamente?

Tras la revolución etíope, una delegación de representantes de la Unión Soviética, Cuba y Yemen del Sur organizó una mesa redonda, con la participación de Etiopía y Somalia, para resolver sus diferencias. Castro fue a Addis Abeba y a Mogadiscio y, según él, las reivindicaciones de Somalia estaban justificadas. Finalmente, la delegación etíope aceptó estudiar seriamente las peticiones de su vecino somalí y ambos países firmaron un acuerdo en el que se estipulaba que no habría provocación alguna mientras se tomaba una decisión. Las cosas parecían bien encarriladas pero Somalia no respetó el acuerdo…

Dos días después del regreso a su país de la delegación etíope, Henry Kissinger, ex ministro del presidente Nixon, desembarcó en Mogadiscio. Kissinger representaba a una organización no oficial: el Safari Club, que agrupaba al Irán del Shah, al Congo de Mobutu, Arabia Saudí, Marruecos y los servicios secretos franceses y paquistaníes. El objetivo de la organización era combatir la supuesta infiltración soviética en el Golfo y en África. Movido por las presiones y las promesas de ayuda del Safari Club, Siad Barré iba a cometer un desastre, un grave error estratégico: atacar Etiopía.

¿Cuáles fueron las consecuencias de esta guerra?

Los soviéticos abandonaron la región, y Somalia, todavía presidida por Siad Barré, se integró en la red neocolonial de las potencias imperialistas. El país había quedado gravemente afectado por el conflicto, y el Banco Mundial y el FMI se encargaron de su “reconstrucción”, lo que iba a agravar las contradicciones en el seno de la burguesía somalí. Cada una de las élites regionales aspiraban a tener sus propios mercados, lo que acentuó las divisiones entre clanes y contribuyó al desmembramiento progresivo del país hasta la caída de Siad Barré en 1990. Desde entonces, no ha habido ningún otro jefe de Estado.

Pero, treinta años después de la guerra de Ogaden, la situación se invierte: Etiopía, apoyada por Estados Unidos, ataca a Somalia…

Sí, tal como ya he dicho, desde el fracaso de la operación Restore Hope, Estados Unidos ha preferido mantener Somalia sumida en el caos. Sin embargo, en 2006, se desarrolló un movimiento espontáneo, que enarbolaba la bandera de los tribunales islámicos, para combatir a los señores de la guerra locales y rehacer la unidad del país. Fue una especie de Intifada. Para impedirlo, Estados Unidos decidió de repente apoyar al gobierno de transición somalí al que nunca había querido reconocer. De hecho, se dieron cuenta de que su plan de una Somalia sin un Estado real ya no era posible, y que un movimiento estaba a punto de conseguir la reconciliación del país, ¡y además era islámico! Con el propósito de sabotear la unidad del país, decidieron entonces apoyar al gobierno de transición. Pero como éste no disponía ni de una base social ni de un ejército, fueron las tropas etíopes, dirigidas por Washington las que atacaron Mogadiscio para acabar con los tribunales islámicos.

¿Lo consiguieron?

No. El ejército etíope fue derrotado y debió abandonar Somalia. Por su parte, los tribunales islámicos se disgregaron en diversos movimientos que todavía hoy controlan buena parte del país. En lo que respecta al gobierno de transición de Abdullah Yussuf, se desmoronó y Estados Unidos lo ha sustituidos por Sheik Sharif, antiguo portavoz de los tribunales islámicos.

¿Entonces Sheik Sharif se ha pasado al “otro bando”?

Él era el portavoz de los tribunales islámicos porque es un buen orador pero no tiene experiencia política, ni idea alguna de qué es el imperialismo o el nacionalismo. Por eso lo han recuperado las potencias occidentales. Era el eslabón más débil de los tribunales islámicos y hoy preside un pseudo gobierno, establecido en Djibuti. Un gobierno sin base social ni autoridad en Somalia y que se mantiene en la escena internacional porque le apoyan las potencias occidentales.

En Afganistán, Estados Unidos dice estar dispuesto a negociar con los Talibán. ¿Por qué no trata de dialogar con los grupos islámicos de Somalia?

Porque estos grupos pretender expulsar a los ocupantes extranjeros y conseguir una reconciliación nacional del pueblo somalí. Así que Estados Unidos quiere acabar con esos grupos, porque una reconciliación – bien sea a través de los movimientos islámicos o bien sea por medio del gobierno de transición- no sirve a los interese de las fuerzas imperialistas. Quieren el caos. El problema es que hoy este caos se extiende también a Etiopía, muy debilitada tras la guerra de 2007. Allí ha aparecido un movimiento de resistencia nacional que lucha contra el gobierno pro-imperialista de Addis Abeba. Con su teoría del caos, Estados Unidos ha provocado problemas en toda la región. Y ahora la emprenden con Eritrea.

¿Por qué?

Este pequeño país mantiene una política nacional independiente. Eritrea tiene también una perspectiva global de la región: el cuerno de África (Somalia, Djibuti, Etiopía, Eritrea) no necesita la injerencia de las potencias extranjeras, y sus riquezas deben permitirles establecer unas relaciones económicas nuevas, basadas en el respeto mutuo. Para Eritrea, esta región debe ponerse a la tarea y sus miembros deben discutir sus problemas. Pero está claro que esa política asusta a Estados Unidos que teme que otros países sigan el ejemplo. Por eso, acusan a Eritrea de enviar armas a Somalia y de promover disturbios en Etiopía.

En su opinión, ¿Eritrea no envía armas a Somalia?

¡Ni un solo cartucho! Eso es propaganda pura y dura, como la que se montó contra Siria en relación con la resistencia iraquí. La visión global de Eritrea se ajusta al proyecto de revolución para el océano Índico de la que hemos hablado antes. Las potencias occidentales no lo aceptan y aspiran a meter a Eritrea en el círculo de los Estados neocoloniales que controlan, como Kenia, Etiopía o Uganda.

¿No hay terroristas en Somalia?

Las potencias imperialistas siempre califican de terroristas a los pueblos que luchan por sus derechos. Los islandeses eran terroristas hasta que firmaron un acuerdo. [Mahmud]Abbas era un terrorista, ahora es un amigo.

Sin embargo se habla de la presencia de Al Qaeda

Al Qaeda está por todas partes, ¡desde Bélgica a Australia! Esta Al Qaeda invisible es un logotipo destinado a justificar ante la opinión pública las operaciones militares. Si Estados Unidos dijera a sus ciudadanos y a sus soldados: “ Vamos a enviar nuestras tropas al océano Índico por si hay que enfrentarse a China”, por supuesto que la gente tendría miedo. Pero si dicen que se trata de luchar contra los piratas y contra Al Qaeda, no les plantea problemas. En realidad, el auténtico objetivo es otro. Se trata de desplegar fuerzas en la región del Índico que va a ser el escenario de conflictos de más importancia en los próximos años. Pero eso lo analizaremos en el capítulo siguiente…

Gregoire Lalieu y Michel Collon

Traducido por Felisa Sastre, extraído de Rebelión.

~ por LaBanderaNegra en Diciembre 13, 2009.

Obama accepte le Prix Nobel de la Paix et plaide pour la guerre permanente

zbigobam2.jpgObama accepte le prix Nobel de la paix et plaide pour la guerre permanente

 

Article rédigé le 16 déc 2009, par Mecanopolis / http://www.mecanopolis.org/

Dans le discours de réception du prix Nobel de la paix le plus belliqueux jamais entendu, le président américain Barak Obama argumenta le 10 décembre à Oslo en faveur d’une extension permanente de la guerre et de l’occupation coloniale, faisant savoir au monde que l’élite dirigeante américaine avait bien  l’intention de poursuivre sa campagne de domination du globe.

Obama défendit l’envoi de dizaines de milliers de soldats supplémentaires en Afghanistan et évoqua de façon menaçante l’Iran, la Corée du Nord, la Somalie, le Darfour, le Congo, le Zimbabwe et la Birmanie, chacun de ces pays pouvant devenir la cible d’une prochaine intervention militaire américaine.

Cette cérémonie de remise de prix Nobel tenait de la farce sinistre, Obama admettant qu’il était « commandant en chef de l’armée d’une nation plongée dans deux guerres ». Il présenta la guerre comme un moyen légitime de poursuivre des intérêts nationaux.

Dans un langage orwélien il déclara que « les instruments de la guerre [avaient] un rôle à jouer dans la préservation de la paix » que « toutes les nations responsables [devaient] approuver le rôle que des armées munies d’un clair mandat [pouvaient] jouer pour maintenir la paix » et qu’il fallait honorer des troupes impérialistes « non pas comme ceux qui font la guerre, mais comme ceux qui font la paix ».

Recevant un prix sensé, prétendument, promouvoir la paix mondiale, Obama parla en faveur d’actions militaires passées, présentes et futures. Le président américain communiqua cette « dure vérité » à son auditoire que « nous n’éradiquerons pas les conflits violents de notre vivant ». Il promit que les nations continueraient de « trouver que l’usage de la force est non seulement nécessaire, mais aussi moralement justifié » et il souligna le fait que des populations douillettes allaient devoir vaincre leur « profonde ambivalence quant à l’action militaire » et leur « réflexe soupçonneux vis-à-vis de l’Amérique, la seule superpuissance militaire du monde ».

Il admit que des masses de gens dans le monde entier étaient hostiles à la guerre impérialiste, remarquant avec regret que « dans de nombreux pays, il existe un hiatus entre les efforts de ceux qui servent et les sentiments ambivalents du grand public ». Mais au diable volonté populaire et démocratie ! « la croyance que la paix est désirable est rarement suffisante pour parvenir à la réaliser. La paix requiert de la responsabilité. La paix implique le sacrifice ».

Obama articula avec arrogance la croyance de Washington qu’elle peut intervenir en défense des intérêts américains où et quand elle veut, peu importe le coût humain.

Le tout était enrobé, de façon peu convaincante, dans le langage de l’élévation morale, de la « loi de l’amour » et, inévitablement, de « l’étincelle divine ». Il indiqua, bien que le discours et son mode de présentation ne l’indiquent en rien, qu’il avait un « sens aigu du coût d’un conflit armé ». Obama fit au contraire ses remarques sur la guerre et la paix avec la profondeur de sentiment mis par un administrateur d’université à informer d’un règlement de parking.

Obama fut encore plus direct lorsqu’il répondit aux questions posées par des journalistes norvégiens avant la cérémonie. Parlant des onze premiers mois de son administration, il expliqua : « Le but n’a pas été de gagner un concours de popularité ou de recevoir un prix, même prestigieux comme le prix Nobel. Le but a été de faire avancer les intérêts de l’Amérique. »

Il gratifia son auditoire – qui comprenait la famille royale et des hommes politiques norvégiens ainsi que des célébrités d’Hollywood —  d’un historique sommaire et misanthropique de la civilisation humaine (« La guerre … est arrivée avec le premier être humain… le Mal existe dans le monde ») avant de se lancer dans une défense emphatique et mensongère du rôle international de l’Amérique.

Il présenta la période de l’après-guerre comme une période de paix et de prospérité octroyée par des Etats-Unis bienveillants. « L’Amérique a conduit le monde dans la construction d’une architecture destinée à maintenir la paix… les Etats-Unis d’Amérique ont aidé à garantir la sécurité planétaire pendant plus de six décennies avec le sang de nos concitoyens et la force de nos bras… Nous n’avons pas porté ce fardeau parce que nous essayons d’imposer notre volonté ». L’hypocrisie et la falsification atteignent ici un degré époustouflant.

Plus tard, Obama fit cette assertion extraordinaire que « l’Amérique n’a jamais mené de guerre contre une démocratie, et nos plus proches amis sont des gouvernements qui protègent les droits de leurs citoyens ». Mis à part le fait historique que les Etats-Unis on mené des guerres avec l’Angleterre, l’Allemagne et l’Autriche-Hongrie, alors que tous ces pays avaient des systèmes parlementaires, Obama a délibérément escamoté la longue et sordide histoire des interventions américaines contre les peuples de pays opprimés allant du Mexique, de l’Amérique centrale et des Caraïbes dans la première moitié du 20e siècle, au Vietnam, à l’Iran, au Guatemala, au Congo, à l’Indonésie, au Chili, et au Nicaragua dans la période d’après-guerre.

Quant aux « très proches amis de Washington », leur liste comprend actuellement des régimes brutaux et corrompus comme, entre autres, ceux d’Arabie saoudite, du Pakistan, d’Israël, d’Egypte, du Maroc, et d’Ouzbékistan (sans parler des gouvernements fantoches d’Irak et d’Afghanistan), tous régimes pratiquant la torture et une répression généralisée.

Après avoir évoqué le concept de la « guerre juste », associé à une nation qui agit pour se défendre, et affirmé, ce qui est faux, que l’invasion américaine de l’Afghanistan à la suite du 11 septembre 2001 était fondée sur ce principe, Obama dit nettement que Washington n’avait pas besoin d’une telle légitimité.

Il parla en faveur d’une action militaire dont le but « [allait] au-delà de l’autodéfense ou de la défense d’une nation vis-à-vis d’un agresseur ». « Les raisons humanitaires », définies bien sûr par Washington, étaient suffisantes pour justifier « la force » qui pouvait être utilisée contre une bonne partie de l’Afrique, de l’Asie, de l’Amérique latine et de l’Europe de l’Est. Cela n’est rien d’autre que du colonialisme recouvert du manteau de la « guerre juste ».

Obama défendit une version de la doctrine de la guerre préventive de Bush teintée de multilatéralisme et s’efforçant d’affermir le soutien des puissances européennes aux guerres conduites par les Etats-Unis au Moyen-Orient et en Asie centrale. « L’Amérique ne peut pas y arriver seule » dit le président américain.

Les élites dirigeantes européennes, dont les intérêts trouvent une expression dans les décisions du comité Nobel, étaient contentes de rendre service à Obama en lui donnant une tribune qui lui permette de défendre ces guerres et de présenter l’agression impérialiste comme un acte humanitaire. Elles espèrent qu’Obama, contrairement à Bush et Cheney, offrira à l’Europe un rôle (et un partage du butin) dans l’imposition de la « sécurité globale » dans des « régions instables pour de nombreuses années à venir ».

Obama mentionna le discours de prix Nobel prononcé il y a 45 ans par Martin Luther King, afin de répudier son contenu oppositionnel. King, contrairement à Obama, avait prononcé un bref discours attirant l’attention sur la répression continue des noirs et des opposants au racisme dans le sud des Etats-Unis. Il avait insisté pour dire que « la civilisation et la violence sont des concepts antithétiques ».

Avant son assassinat, King était devenu un adversaire déclaré de la guerre du Vietnam. C’est l’assimilation par King du militarisme à l’oppression et à la barbarie qu’Obama et l’ensemble de l’establishment américain trouvent dangereux et tentent de discréditer.

Le discours de réception du prix Nobel d’Obama est une nouvelle étape dans un processus au cours duquel celui-ci perd son masque. Le candidat du « changement » s’avère non seulement être le continuateur, dans tous ses aspects importants, de la politique de Bush et Cheney, mais encore un personnage profondément réactionnaire et répugnant en soi. Son enthousiasme évident pour l’armée et pour la guerre n’est pas feint, il est le résultat de ce qu’Obama est devenu au cours de sa carrière politique.

Jabir Aftab, un ingénieur de 27 ans de Peshawar au Pakistan dit à l’Agence France-Presse le jour de la remise du prix, « Le prix Nobel est pour ceux qui ont accompli quelque chose, Obama lui, est un tueur ». La pensée d’un grand nombre de gens dans la période à venir sera pénétrée de cette compréhension.

David Walsh, Mondialisation.ca

mercredi, 23 décembre 2009

Erdogans neue Finte

erdogan_1203110466.jpgErdogans neue Finte

Der Premier will von den Mißständen in der Türkei ablenken

Von Andreas Mölzer

Ex: http://www.zurzeit.at

Vergangene Woche hat der türkische Ministerpräsident Erdogan seinen 15-Punkte-Plan zur Lösung der Kurdenfrage vorgestellt. Unter anderem soll es künftig erlaubt sein, daß in Schulen Kurdisch als Wahlfach angeboten wird, und Dörfer sollen ihre alten kurdischen Namen zurückbekommen – also Dinge, die eigentlich selbstverständlich sein sollten. Daher ist Erdogans Plan vor allem das Eingeständnis, daß die Türkei die Rechte ihrer größten ethnischen Minderheit bislang mit Füßen getreten hat.

Eigentlicher Adressat sind aber nicht die Kurden, sondern ist die Europäische Union. Denn mit seiner medial inszenierten Ankündigung beabsichtigt Erdogan, Brüssel von all den Mißständen abzulenken, welche in der Türkei den Alltag prägen. Die kleine christliche Minderheit etwa wird weiterhin diskriminiert, und es ist nicht davon auszugehen, daß der islamistische Premier medienwirksam einen Plan zur Verbesserung ihrer Lage vorstellen wird. Außerdem liegen im Bereich der Menschenrechte, vor allem bei der Meinungs- und Pressefreiheit, die Dinge nach wie vor im Argen, und Ankara weigert sich stur, das EU-Mitglied Zypern endlich anzuerkennen.

Insgeamt ist es mehr als fraglich, ob es tatsächlich zu einem Ende der Diskriminierung der kurdischen Minderheit durch Ankara kommen wird. Bekanntlich kann man ja vieles ankündigen, aber nur auf die Umsetzung kommt es an. Bestes Beispiel dafür ist die angebliche Annäherung der Türkei an Armenien, die vor wenigen Wochen die internationalen Schlagzeilen beherrscht hatte. Heute aber steht fest, daß die Aufnahme diplomatischer Beziehungen zwischen Ankara und Eriwan alles andere als sicher ist. Denn die Türkei versucht mit allen Mitteln, Armenien die Bedingungen zu diktieren, und im Parlament in Ankara regt sich heftiger Widerstand gegen den angekündigten Vertrag mit dem Nachbarland.

Ähnlich verhält es sich mit Erdogans Plan, von dem der Regierungschef nur allzu gut wußte, welche unüberwindbaren innenpolitischen Hürden warten. Denn einerseits laufen die türkischen Oppositionsparteien gegen eine Ausweitung der Rechte für die Kurden Sturm und andererseits befindet sich Erdogans Regierungspartei im Sinkflug. Meinungsumfragen bescheinigen ihr 32 Prozent, das sind um 15 Prozent weniger als beim Wahlsieg vor zwei Jahren. Und sollte sich diese Entwicklung fortsetzen und die Opposition weiter an Boden gutmachen, dann wird es Erdogan nicht schwerfallen, die Kurden zu opfern.

Andreas Mölzer ist fraktionsloser Abgeordneter des Europäischen Parlaments. Die hier zum Ausdruck gebrachte Meinung liegt in der alleinigen Verantwortung des Verfassers und gibt nicht unbedingt den offiziellen Standpunkt des Europäischen Parlaments wieder.

mardi, 22 décembre 2009

La hiperimpotencia americana

UNCLE_SAM_by_Mr_Vengence.jpgLa hiperimpotencia americana

Ex: http://www.lademocracia.es/

Sábado 29 de marzo de 2008, por Jorge Verstrynge


Es la gran diferencia entre el nuevo rico por una parte y el venido a menos por otra. El primero puede pagar; el segundo va endeudándose hasta la quiebra final. ¡Ah! Esta el tercero: los paganinis de siempre. El 1º, los primeros, son -por supuesto- los emergentes: China y la India, mas otros bien dotados en materias primas y los re-emergentes como Rusia, también bien dotada; el segundo, los U.S.A; y los terceros los europeos y algunas petromonarquías… Como verán se trata de dos «ejes»: el «de las finanzas» y el «de las materias primas», y en el cruce de ambos, podemos hallar el meollo de la actual crisis económica.

Pues claro que hay nuevos ricos: «El primer choque es el basculamiento del Mundo desde el Oeste hacia el Este. El motor único americano [1] esta agotado, y China y Asia han tomado el relevo. El segundo choque es consecuencia del primero: la sed china [2] de materias primas ha disparado los precios… y la inflación.

El tercer choque reside en la crisis financiera que se prolonga, se amplifica y termina en el final del crédito fácil, demasiado fácil» [3].

Que los nuevos ricos consuman más ¡ya era hora!. Que muchos poseedores de materias primas se beneficien de esa nueva demanda, también era ya hora. En una situación económica normal, equilibrada, ninguna de esas dos noticias seria mala en sí. Si el «motor-consumo» flaquea aquí, mejor que se dispare allá; si el precio del petróleo, del cobre, del gas, pero también el del trigo, del maíz y de la colza se disparan [4], pues buena noticia que proporciona más países con posibles para mantener-relanzar el consumo. Como además dichos países no eran hasta hace poco grandes consumidores, se desencadenan en ellos verdaderos tsunamis consumistas [5].

Pero vayamos a lo que Le Boucher llama el «tercer choque» [6] y paseémonos por lo que aquí hemos llamado el «eje de las finanzas».

Señala Slvain Cypel [7] que la recesión «ya ha llegado claramente» y cual es su mecanismo: «El empleo ha quedado tocado porque la inversión disminuye. Ésta disminuye porque las condiciones del crédito han sido endurecidas. Los banqueros prestan menos porque la implosión de la «burbuja» de los préstamos hipotecarios no sólo afecta a los resultados, (si no que) también afecta a su capital fijo, (ya que) al derrumbarse el valor de la propiedad inmobiliaria, se derrumba también el valor de la vivienda que recuperan vía los embargos». En el origen hallamos ciertamente la mencionada burbuja: las concesiones de crédito enloquecieron porque «apenas comprada la vivienda, se revalorizaba, lo cual permitía refinanciarse y reendeudarse»(8).

¿Y ahora? Pues lo sencillo seria:

1º relanzar la maquinaria económica inyectando liquidez (o sea poner a funcionar la maquina de hacer billetes), o/y aumentar el déficit publico, o/y aflojando las condiciones de concesión de créditos, o/y bajando los tipos de interés, o/y estableciendo moratorias varias…

2º y apretar el culo hasta sortear la próxima nueva oleada de crisis cuando «aquellos que se han dedicado a endeudarse masivamente para comprar empresas a crédito [8] se encuentren con que no podrán hacer frente al reembolso del crédito, y cuando los bancos tengan que proceder a nuevos embargos…» [9].

O sea chapucear, sorteando sacudidas que serán cada vez más fuertes. Porque la cuestión real es otra: se trata de una degeneración de la variante anglosajona del sistema capitalista, degeneración hiperfinanciarizada a la que propende, naturalmente, la variante antes mencionada; pero que pueda afectar a las otras variantes dada la interrelación y los flujos planetarios.

«Hipercapitalismo» anglosajón. Explica Pierre Larrouturou [10], creador de la expresión, que dicha variante anglo-sajona «nace en los años Reagan-Thatcher cuando es bloqueada la progresión de los salarios, y el paro masivo provoca la precarización de los trabajadores mientras son privilegiados los accionistas. El descenso de la parte de los salarios en la redistribución de las riquezas que arrancó en el mundo anglo-sajón, pasa después a todos los países desarrollados, y fue acentuado por la irrupción de China y de su mano de obra barata.

Pero claro: para que la maquina siguiera funcionando, había que hacer que los trabajadores consumieran por lo que se les incitó a endeudarse, y a sobre endeudarse, y ello, mientras se disparaban las desigualdades. El neoliberalismo necesita estructuralmente un endeudamiento creciente para prosperar» [11]. A la vista de esto, no sirve de mucho cruzar los dedos mientras se relanzaría el crédito interno y externo para relanzar el consumo. Hay en efecto dos palabras claves en toda esta problemática de crisis: la primera el crédito; la 2ª, la mundialización.

De que el crédito constituye un acelerador económico de 1ª magnitud, pueden dar cuenta sin ninguna duda las clases medias europeas y anglosajonas durante los 30 años gloriosos de crecimiento económico post 1945. Pero hay un caso aún más arquetípico: el de un país, los USA, que históricamente, ha hecho su agosto tras pasar a vivir del crédito después de haberlo hecho mediante el expolio. Fue Jacques Rueff, el asesor económico del General De Gaulle [12], quien primero describió las circunstancias que le permitieron a los USA pasar de una modalidad a otra de vivir a costa de los demás: fue gracias a respaldar el dólar y su masiva emisión, también con las reservas de oro y de divisas de países aliados (los cuales, ante el avance alemán, las habían trasladado a los USA en 1914). El resultado final de esa burbuja financiera destinada a financiar una guerra exterior y el ascenso del «American Way of life» fue… la crisis de 1929, cuando las «fuerzas vivas» económicas, de pronto, se «percataron», con pánico, de que vivían, financieramente, sobre un castillo de naipes.

La historia de los USA es la de un país carroñero que esperaba heredar de imperios agonizantes: le bastaba con tender los brazos y esperar, que algo caería… La II Guerra Mundial, al hincar de rodillas a Alemania, aceleró el proceso. Los acuerdos de Bretton Woods «legitimaron» el primero de los mas increíbles golpes de Estado monetarios: el dólar (y accesoriamente la «colega Libra Esterlina») fue consagrado moneda de cambio por excelencia: podía sustituir al oro y a las demás divisas. Es más: se había tornado él mismo, en el oro y las demás divisas. Pero (y no es un «pero» cualquiera), al tiempo que era la divisa internacional por excelencia, seguía siendo la moneda interior del país; el cual podía financiar guerras anticomunistas al igual que potenciar un consumo y un nivel de vida internos destinados no sólo a evitar la tentación comunista en las clases populares [13] sino también a la puesta en entredicho de cómo una elite muy restringida sobreexplotaba a una población inculta, muy influenciable y moldeable. Con dos garantías: una política monetaria y de cambio impuesta a los demás países [14] y que permitía, a través de un dólar fuerte, no sólo hacer frente a unos déficit comerciales y de la balanza de pagos, sino también drenar el ahorro de los demás para compensar la falta de ahorros y los déficit presupuestarios.

Insuficiente: cuando los franceses suben el tono, se ponen a denunciar que los USA viven muy por encima de sus posibilidades, y amenazan con pedir la conversión de sus (muchas) reservas de dólares en oro, se produce el segundo genial golpe de Estado monetario: Nixon suspende unilateralmente la convertibilidad del dólar en oro.

A partir de ese momento, los gobiernos europeos, japonés y otros, se encontraron ante el dilema de, o bien reconocer que sus reservas en dólares poco valían, o bien acordar entre todos mirar para otro lado y apencar… Conforme la productividad de los USA bajaba y su desindustrializacion se disparaba, su economía se financiarizaba. Pero ello fue compensado por el entusiasmo del capital y, sobre todo, por la rendición de los demás gobiernos ante una mundialización sobre todo destinada

1) A permitir al capital, sobre todo el anglosajón, instalarse, casi instantáneamente, allá donde el beneficio es mayor y… repatriable.

2) A favorecer una mayor libertad de circulación de capital (o sea del ahorro) hacia los centros financieros (sobre todo norteamericanos o dominados por). Hoy, pasada ya la euforia que provocó el que los dólares excedentarios pasaran a engrosar enormemente las reservas de los demás países y dopar durante años el crecimiento mundial, el sistema ha demostrado que se está llegando al final del camino. Excepto que los paganinis sigan siendo los imbéciles de la historia, ya va siendo hora de que los USA rebajen su «way of life» a la altura de su capacidad productiva y financiera reales y dejen que otros tomen sus propias decisiones y sus propios modelos de desarrollo. Porque otros pueden ser el motor del consumo, pero también de la producción en un mundo que no sólo en lo militar y en lo político, sino también en lo económico y en lo financiero, no tiene otra salida que la multipolaridad.

Vayámonos al análisis de Thomas Cantaloube [15]: Bush «en ningún caso les dirá a los americanos la verdad. Ni tampoco les dirá que ya es hora de amarrarse el cinturón y de ahorrar más. De

renunciar a los regalitos fiscales y de reducir su consumo energético. No: los americanos creen aún que son los reyes del petróleo cuando en realidad viven del crédito de los chinos. El problema reside en que la negativa de los norteamericanos de mirar la realidad de frente, puede arrastrar al mundo a una espiral infernal… Los chinos, otra vez, van a ser puestos a contribución para comprar Bonos del Tesoro americano. Pero esos empréstitos van a agravar aún más la deuda americana y depreciar al dólar. ¿Hay que aceptar la jugada? No, porque la depreciación del dólar va a restar competitividad a Europa y depreciar nuestras reservas de cambio, así como las chinas, las japonesas y las rusas. Dicho de otra manera, los anglosajones se disponen de nuevo a «mantener la cabeza fuera del agua» haciendo que sean los demás los que paguen por sus errores y su modo de vida» [16].

Las soluciones, a plazo, son otras que las hasta ahora propuestas. Claro que supondrían una independencia de las clases políticas europeas en relación con el Imperio -y el capital- de los que sólo se ven atisbos. Por ejemplo: antaño se pedía a las economías no norteamericanas pero sólidas ser algo así como las «supletorias» del «big one». Se trataba de que tomaran el relevo (eso si, momentáneo) del motor norteamericano hasta que éste recuperara su capacidad de crecimiento. Hoy, sin embargo, se reza por un «desemparejamiento» (un «decouplaje») de dichas otras economías en relación con la norteamericana. ¡La risa que debe darle a un gran economista como Samir Amin partidario de la «desconexión» cuando ha sido denigrado, o al menos obviado, por tanto colegas «economistas»!

Y se reza también por la multipolaridad económica. Un liberal como Le Boucher apuesta por China: «Las economías en desarrollo han crecido vertiginosamente: ya representan el 50% del PIB mundial (en paridad de poder adquisitivo)». El «dragón» (chino), se traga la mitad de la producción de carne de cerdo, ídem para el cemento, y un tercio del acero. Su consumo del petróleo se triplicara de aquí al 2030» [17].

Pero el problema es que China es demasiado dependiente de los USA: «El déficit norteamericano tiene su otro platillo en el excedente asiático. China se ha transformado en el taller de Norteamérica y, al acumular reservas monetarias (en dólares) es su acreedor» [18]. Dicho en Román Paladino: ambos se tienen agarrados por las partes...

¿Y Europa en esto? A pesar de la división política (por cierto fomentada por los USA y la Gran Bretaña), somos en torno al «plátano azul» [19] un mercado de casi 400 millones de consumidores (y más si se suman Turquía y el Maghreb), un mercado lo suficientemente grande como para poder sobrevivir por si mismo con una capacidad expansiva notable (el grado de endeudamiento de un francés es el tercio del de un norteamericano)… si se le protege (por ejemplo, restableciendo ya el control de cambios, esta vez en beneficio del Euro) . En todo caso no hay salvación para nosotros en lo que ya es la hiperimpotencia U.S.

Notas

[1] Si es que en algún momento histórico fue «único»…

[2] el indú

[3] Eric Le Boucher: «Triple choc sur l’economie mundiale» ; Le Monde 17-03-08.

[4] En el caso de estos tres últimos productos, también contribuye al alza de precios la estupidez de los bio-carburantes. Por cierto, que una subida del precio del petróleo suele redundar en mayores proporciones, y en más petróleo…

[5] El consumo es «la madre del cordero» del crecimiento económico: en una sociedad industrial, paradójicamente, producir es lo más fácil. Pero otra cosa es colocar lo producido, algo esencial en una economía capitalista, dado que sin «realización» (es decir que te paguen por lo que produces) no cabe beneficio.

[6] Op.cit.

[7] En «Aux Etats Unis les signes d’une récession proche se multiplient», Le Monde 10-03-08.

[8] Cypel ; Op.cit.

[9] Véase la revista Marianne del 17-03-08 «la segunda crisis del capitalismo del endeudamiento avecina y será tan fuerte (como la de los prestamos hipotecarios). Mismas causas, mismos efectos: los bancos que fueron generosos e inconscientes concediendo prestamos hipotecarios de alto riesgo a las parejas norteamericanas, hicieron lo propio con los grupos de invasores privados deseosos de comprar empresas endeudándose (LBO)… los bancos tienen ahora en sus cuentas centenares de miles de millones de créditos LBO. Pero ya nadie quiere adquirirlos…».

[10] In «Le livre noir du liberalisme», Paris 2007.

[11] Ver también, en Marianne del 01-02-08 «L’hypercapitalisme marche avec la dette».

[12] En «L’ere de l’inflation» Paris 1964 ; y en «Le peché monetaire de l’Occident» Paris 1974.

[13] Un día se reconocerá que la ideología central del siglo XX fue el Comunismo: todo se hizo o se deshizo en función del mismo.

[14] Por ejemplo, se obligaba a los alemanes a reevaluar el marco para evitar una devaluación del dólar.

[15] In «L’Asie et l’Europe vont payer pour l’Amerique, Marianne 01-02-08.

[16] Thomas Cantalouche, Op Cit.

[17] Op. Cit.

[18] Le Boucher Op. Cit.

[19] La mayor concentracion industrial del planeta, en torno al eje.

lundi, 21 décembre 2009

Presseschau (Dezember 4)

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(Dezember / 4)

Einige Links. Bei Interesse anklicken...

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Untersuchungsausschuß
Guttenberg fordert Fairneß für seine Frontkämpfer
„Transparenz und Aufklärung“ hat Verteidigungsminister Guttenberg bei seinem Überraschungsbesuch in Afghanistan versprochen. Der Bundestags-Untersuchungsausschuß dürfe die Soldaten aber nicht diskreditieren, mahnte er. Zugleich sagte er den Opfern des Bombardements schnelle Hilfe zu.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,666564,00.html

Bundeswehr in Afghanistan
Luftangriff galt gezielter Tötung von Taliban-Chefs
Immer neue Details des Luftangriffs auf zwei Tanklastzüge in Kundus belasten nun auch Bundeskanzlerin Angela Merkel. Ihr Amt soll die gezielte Liquidierung von Taliban-Führern durch die Bundeswehr gebilligt haben. Darauf habe auch der Luftschlag in Kundus gezielt. Der Angriff galt demnach nicht den Fahrzeugen [„nicht nur“ wäre wohl die korrektere Formulierung!].
http://www.welt.de/politik/ausland/article5506968/Luftangriff-galt-gezielter-Toetung-von-Taliban-Chefs.html

Kunduz-Augenzeuge
„Es sah aus, als ob die Erde Feuer spuckt“
Waren die Bomben auf die Tanklaster bei Kunduz gerechtfertigt? Waren die Menschen um die LKW wirklich Taliban? Zum ersten Mal spricht im SPIEGEL-ONLINE-Interview ein Augenzeuge über die Nacht des Bombardements bei Kunduz – Tanklastwagenfahrer Abdul Malek.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,666825,00.html

Kunduz-Affäre
Guttenberg rechnet mit seinen Gegnern ab
Verteidigungsminister Guttenberg geht in die Offensive: Im Bundestag warf der CSU-Politiker der Opposition bei der Aufklärung der Kunduz-Affäre schlechten Stil vor – und kritisierte die gefeuerten Spitzenbeamten Schneiderhan und Wichert. Die SPD lästert über den „Minister der Selbstverteidigung“.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,667496,00.html

Kunduz-Bombardement
Guttenberg lehnt Rücktritt ab
Verteidigungsminister Guttenberg will im Amt bleiben - trotz immer schärferer Vorwürfe, in der Affäre um den Luftangriff bei Kunduz die Unwahrheit gesagt zu haben. Die SPD stellt wegen des fatalen Einsatzes inzwischen offen den Fortbestand der Elitetruppe KSK in Frage.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,666858,00.html

Hierzu ein Kommentar von Generalleutnant a. D. Hans-Heinrich Dieter, der selbst einmal Kommandeur des KSK war
http://www.md-office-compact.de/BeschranktePolitik.htm
http://www.sondereinheiten.de/forum/viewtopic.php?f=10&t=15697&start=2130

Afghanistan
Nato fordert deutlich mehr deutsche Soldaten/Rückendeckung für Oberst Klein durch deutschen Vier-Sterne-General
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,667058,00.html

Schreiben aufgetaucht
So bat Schneiderhan Guttenberg um Entlassung
Welche Umstände führten zur Entlassung des Generalinspekteurs der Bundeswehr? Um diese Frage tobt seit Tagen ein heftiger Streit. Jetzt ist Wolfgang Schneiderhans Schreiben, in dem er Verteidigungsminister Karl-Theodor zu Guttenberg um die Entlassung bittet, an die Öffentlichkeit gelangt.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5557581/So-bat-Schneiderhan-Guttenberg-um-Entlassung.html

Konflikte
Taliban planten angeblich Sturm auf Feldlager
Der deutsche Oberst Georg Klein soll den Luftschlag in Kundus unter dem Eindruck von Geheimdienstinformationen über Pläne der Taliban zur Erstürmung des Bundeswehrfeldlagers befohlen haben.
http://www.focus.de/politik/ausland/konflikte-taliban-planten-angeblich-sturm-auf-feldlager_aid_463568.html

Afghanistan
Taliban-Attacken auf Bundeswehr nehmen stark zu
Mehr als 60 Mal haben in diesem Jahr Kämpfer der Taliban die Bundeswehr angegriffen. Die Zahl der Attacken im Norden Afghanistans hat sich damit sprunghaft erhöht – im Jahr 2008 waren es lediglich 31. Verteidigungsminister Guttenberg mahnte eine offene Darstellung der Situation an.
http://www.welt.de/politik/ausland/article5534152/Taliban-Attacken-auf-Bundeswehr-nehmen-stark-zu.html

Und so sieht das dann aus ...
Deutsche Soldaten im Feuerkampf (Video und Fotos)
Germany at war: New offensive in North-Afghanistan
http://www.militaryphotos.net/forums/showthread.php?t=170712

Bundeswehrverband
„Wir müssen auch töten, um uns zu schützen“
Von Thorsten Jungholt
Die Bürger und sogar weite Teile des Parlaments wissen nicht, wie ernst die Lage der Bundeswehr in Afghanistan ist, glaubt der Chef des Bundeswehrverbands, Ulrich Kirsch. Die Regierung habe den Einsatz absichtlich beschönigt. Mit WELT ONLINE sprach Kirsch über den Luftangriff von Kundus und das Versagen der Politik.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5539544/Wir-muessen-auch-toeten-um-uns-zu-schuetzen.html

„No Parade for Hans“
Von Martin Böcker
Von Zeit zu Zeit ist es die Sicht eines Außenstehenden, welche dem Selbstbild zu nötigen Korrekturen verhelfen kann. Es bietet vielleicht einen Anhaltspunkt für das, was normal, nicht normal oder auch seltsam ist. Einen Blick auf das deutsche Verhältnis zum Soldaten gibt uns die New York Times: „No Parade for Hans“. Ein Titel, der Spott vermuten läßt.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5454c0d5031.0.html

Vorratsdatenspeicherung
Die größte Verfassungsbeschwerde aller Zeiten
Von Thorsten Jungholt
Prävention ist wichtig, Bürgerrechte sind wichtiger: Fast 35.000 Bürger haben Verfassungsbeschwerde gegen die Massenspeicherung von Telefon- und Internetdaten eingereicht. Die Kläger – unter ihnen Bundesjustizministerin Sabine Leutheusser-Schnarrenberger – haben gute Chancen auf Erfolg.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5540937/Die-groesste-Verfassungsbeschwerde-aller-Zeiten.html

Brüssel
Machtkampf um Gehaltserhöhung für EU-Beamte
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,665746,00.html
http://diepresse.com/home/politik/eu/527064/index.do?_vl_backlink=/home/politik/eu/index.do
http://www.welt.de/die-welt/debatte/article5483035/Bruesseler-Elfenbeinturm.html

Gesundheitsfonds fehlen weitere 2,1 Milliarden
http://www.zeit.de/newsticker/2009/12/11/iptc-hfk-20091211-82-23264128xml

Sozialversicherung
Junge Generation verabschiedet sich vom Sozialstaat
Von der gesetzlichen Sozialversicherung erwarten die 30jährigen nichts mehr, daran ändert auch die neue Regierung nichts. Die junge Generation reagiert auf ihre Weise: Still und leise verabschiedet sie sich aus dem Sozialstaat.
http://www.wiwo.de/politik-weltwirtschaft/junge-generation-verabschiedet-sich-vom-sozialstaat-414604/

Die Klasse und die Abdankung des Staates
Von Felix Menzel
Dieses Jahr lief in einigen kleinen Kinos der Film „Die Klasse“ nach dem gleichnamigen Roman von François Bégaudeau. Der Autor verarbeitet darin seine Erfahrungen als Lehrer in den Pariser Problemvierteln, den banlieues, und schildert die ethnischen und sozialen Bruchlinien, die durch seine Klasse verlaufen und ein Lernen unmöglich machen.
http://www.sezession.de/9984/die-klasse-und-die-abdankung-des-staates.html#more-9984

Schäuble vs. Schönbohm
Von Martin Lichtmesz
Am Montag abend besuchte ich eine Buchpräsentation in der Landesvertretung Brandenburg / Mecklenburg-Vorpommern in Berlin. Vorgestellt wurden die Erinnerungen Jörg Schönbohms mit dem schönen Titel „Wilde Schwermut“, erschienen im Landt-Verlag. Am Podium neben dem Autor: Bundesfinanzminister Wolfgang Schäuble (CDU) und als Moderator der ehemalige FAZ-Redakteur Karl Feldmeyer.
http://www.sezession.de/10027/schaeuble-vs-schoenbohm.html#more-10027

FPÖ und Kärntner BZÖ fusionieren
BERLIN. Die FPÖ und der Kärntner BZÖ-Landesverband haben mit sofortiger Wirkung eine politische Kooperation beschlossen. Ziel dieser Zusammenarbeit sei „die Bündelung der politischen Kräfte rechts der Mitte“ als Kampfansage an die „Versagenspolitik von SPÖ und ÖVP“.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M56c9923b945.0.html

Oberstaatsanwalt Walch belastet Mannichl
Der Passauer Oberstaatsanwalt Helmut Walch hat in einem Gespräch mit stern.de erstmals öffentlich bestätigt, daß es im Fall Mannichl jede Menge Widersprüche gibt und es immer unwahrscheinlicher werde, daß es sich „um einen gezielten Anschlag aus der rechtsradikalen Szene“ gehandelt habe. Mannichl übte sich zuletzt in der BILD in Polizistenschelte. Diese hätten bei den Ermittlungen geschlampt.
http://www.pi-news.net/2009/12/oberstaatsanwalt-walch-belastet-mannichl/#more-105519

Uniformierte Heulsuse
Von Thorsten Hinz
Kommt doch noch Licht in die Mannichl-Affäre? Durch die Hintertür und gegen den Willen von Politik und Medien? Was der zuständige Oberstaatsanwalt Walch gegenüber stern.de äußerte, pfeifen zwar längst die Spatzen von den Dächern, aber aus dem Mund eines hohen Justizbeamten erhält es zusätzliche Plausibilität. Ein taz-Interview, in dem der ehemalige Polizeichef von Passau Ermittlungspannen bei der erfolglosen Tätersuche nicht ausschließen wollte, muß bei Polizei und Staatsanwaltschaft das Faß zum Überlaufen gebracht haben.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M53cb866512e.0.html

Neue Neonazi-Strategie
Wie Rechtsextreme ihre Gegner drangsalieren
Von Christoph Ruf
Angesichts knapper Kassen und häufiger Demo-Verbote hat die rechtsextreme Szene im Südwesten eine neue Strategie entwickelt: Die Neonazis kapern Veranstaltungen politischer Gegner. Nun ist ein baden-württembergischer SPD-Landtagsabgeordneter ins Visier der NPD geraten. [Gemeint ist der berüchtigte JF-Hasser Stephan Braun. Zitat Braun: „Die haben sich gleich in größeren Gruppen im Raum verteilt und die ganze Zeit über versucht, die Diskussion in ihrem Sinne zu steuern.“ Wie undemokratisch ... ;-)]
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,666440,00.html

Punk durch Bestellschein
Von Claus Wolfschlag
Auf der „Zeitgeist“-Seite der „Jungen Freiheit“ vom 11. Dezember 2009 erschien eine kleine Notiz aus meiner Feder zu einem Versandshop für „Punk“-Utensilien, also für Musik, Bekleidung, Schmuck und Devotionalien. Darin wurde die Verbindung dieses Ladens zur Szene der „autonomen Antifa“ hervorgehoben. So bietet der aus der Politband S.I.K. hervorgegangene „Nix Gut“-Versand, dies sei nur als ein Beispiel genannt, ganz offen Kapuzenpullis und Hosen der recht eindeutigen Serie „autonom streetsports“ an.
http://www.sezession.de/10001/punk-durch-bestellschein.html#more-10001

Immer wieder montags in Potsdam ...
Ungefähr 500 Teilnehmer versammelten sich gestern [14.12.09] um 18 Uhr im Halbdunkel vor dem Nauener Tor in Potsdam, um am zweiten Montag hintereinander gegen die Regierung aus SPD und Linke in Brandenburg zu demonstrieren, deren Start seit Wochen von immer neuen Stasi-Enthüllungen überschattet wird. Viele Menschen trugen brennende Kerzen in den Händen oder hatten selbstgemalte Transparente mitgebracht. „Stasi in die Produktion“ hieß es darauf oder „Wer hat uns verraten? Sozialdemokraten!“
http://www.pi-news.net/2009/12/immer-wieder-montags-in-potsdam/

Silvio Berlusconi bei Kundgebung attackiert und verletzt
http://www.welt.de/die-welt/politik/article5522684/Silvio-Berlusconi-bei-Kundgebung-attackiert-und-verletzt.html

Neonazis bei der Bundeswehr
Braune Flecken auf der Uniform
Von Joachim F. Tornau und Carsten Meyer
Von einer „bodenlosen Denunziation“ spricht Axel von Baumbach. Der Bundeswehrmajor der Reserve steht in Treue fest zum Vorsitzenden seiner Reservistenkameradschaft. An dessen langjährigem rechtsextremen Engagement stört sich der adelige Forstassessor aus dem nordhessischen Kirchheim nicht: „Er ist eine der anständigsten Personen, die ich kenne.“
Der so Gepriesene heißt Wolfram M. und ist Chef der Kameradschaft in Großropperhausen, einem Ortsteil von Frielendorf im Schwalm-Eder-Kreis.
http://www.fr-online.de/top_news/2147863_Neonazis-bei-der-Bundeswehr-Braune-Flecken-auf-der-Uniform.html

Die Unerträglichkeit des Seins
Von Fabian Schmidt-Ahmad
„Unerträglich“ – da war das Wort wieder. „Unerträglich“ fand es der Würzburger SPD-Bürgermeister Georg Rosenthal, wenn man den „staatlich organisierten und komplett durchbürokratisierten Völkermord“ an den Juden mit anderen Ereignissen in irgendeiner Weise vergleiche.
Ein Modewort macht die Runde. Irgend etwas „unerträglich“ zu finden, ist heute schick. „Ich finde sie erbärmlich und unerträglich“, keifte der Dresdner Oberstaatsanwalt Frank Heinrich den Mörder von Marwa an. „Unerträglich“ findet es auch der innenpolitische Sprecher der SPD-Bundestagsfraktion, Dieter Wiefelspütz, wenn deutsche Behörden illegale Ausländer erfassen und abschieben. Derartiges gehört wohl zu unserer bundesrepublikanischen „Empörungskultur“.
Der Wunsch hinter dieser öffentlich ausgelebten Entrüstung ist nicht schwer zu verstehen: Zum einen möchte man zeigen, was für ein moralisch empfindsames und sensibles Wesen man doch ist. Zum anderen erinnert man das Publikum an die eigene Wichtigkeit, da es wohl von öffentlichem Interesse sei, wenn der Betreffende irgendetwas „unerträglich“ findet. Eine Tugend, die in bigotten Zeiten wie diesen überlebensnotwendig scheint.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M54aa6ef771e.0.html

Wer ist Hannes Stein
Von Erik Lehnert
Jemand, der (wie er selbst zugibt) ein „bißchen Philosophie für den Hausgebrauch“ studiert hat. Und dieser jemand, der als (ich muß hier einmal zu diesem Wort greifen) Minusseele noch sehr vorteilhaft beschrieben wäre, maßt sich ein Urteil über Heidegger an. Weil er jetzt gemerkt hat, daß eine andere Minusseele vor Jahren ein unglaublich schlechtes Buch über Heidegger geschrieben hat: Emmanuel Faye. In der Sezession 31 schrieb ich dazu folgende Rezension: (...)
http://www.sezession.de/10074/wer-ist-hannes-stein.html#more-10074


Vertriebenen-Zentrum
Historiker sieht Polen als Tätervolk verunglimpft
Von Gerhard Gnauck
Die Stiftung Flucht, Vertreibung, Versöhnung erlebt einen neuen Eklat. Der einzige Pole im Beirat, der Historiker Tomasz Szarota, wirft hin, weil er an der Ausrichtung des Zentrums zweifelt. Die Deutschen würden in dem Zentrum als „das zweite große Opfer dieses Krieges“ präsentiert, die Polen als Tätervolk.
http://www.welt.de/politik/ausland/article5553159/Historiker-sieht-Polen-als-Taetervolk-verunglimpft.html
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5273c9c80ad.0.html

Integrationsdebatte
Sarrazin fordert Kopftuchverbot für Schülerinnen
Bundesbank-Vorstand Thilo Sarrazin hat sich auf einer Podiumsdiskussion in Berlin erneut zum Thema Integration geäußert. Er würde Kopftücher im Schulunterricht verbieten, weil sie kein religiöses, sondern ein politisches Symbol seien. „In Europa haben wir steigende Zahlen von Muslimen, was in allen Ländern Probleme macht“, sagte Sarrazin.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5507124/Sarrazin-fordert-Kopftuchverbot-fuer-Schuelerinnen.html

Nordrhein-Westfalen
Rechtspopulisten planen Anti-Minarett-Kampagne
Von Kristian Frigelj
Die nordrhein-westfälische Vereinigung „Pro NRW“ nimmt die Schweiz zum Vorbild: Die rechtspopulistische Organisation will eine große Kampagne gegen Minarette und Moscheen starten und so gegen „muslimische Landnahme“ vorgehen. Dabei will „Pro NRW“ auch eine Klausel im EU-Reformvertrag nutzen.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5529800/Rechtspopulisten-planen-Anti-Minarett-Kampagne.html

Drohungen gegen Ali Kizilkaya
Islamrat erhält Ekel-Paket mit Schweineohr
Von Jörg Säuberlich
In einem Schreiben, das dem Paket an den Islamrat in Köln beilag, wurde das Schweineohr als „kostbare Reliquie aller Muslime“ bezeichnet. Darunter habe gestanden: „Grüße von Michel Friedman – Juden in Deutschland“. Islamrats-Chef Ali Kizilkaya äußerte sich besorgt über die „Islamphobie“ in Deutschland.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5552029/Islamrat-erhaelt-Ekel-Paket-mit-Schweineohr.html

Bamberger Erzbischof Ludwig Schick: Türken sollen sich für Kirchen einsetzen
http://nachrichten.rp-online.de/article/politik/Erzbischof-Tuerken-sollen-sich-fuer-Kirchen-einsetzen/61334

Gewalt gegen Polizisten
„Irgendwann kämpfst du nur noch um dein Leben“
Schläge, Tritte, Beleidigungen, Morddrohungen – Berliner Polizisten schlägt immer öfter im Einsatz pure Aggression entgegen. Und immer öfter fühlen sich die Beamten wie Freiwild, die Gewalt eskaliert. Morgenpost Online hat zwei Polizisten in Wedding begleitet – eine harte Gegend, man fackelt hier nicht lange.
http://www.morgenpost.de/berlin/article1222632/Irgendwann-kaempfst-du-nur-noch-um-dein-Leben.html

Lob und Anerkennung
Von Martin Böcker
Yassin G. und seine Freunde greifen mitten in Berlin in der Nacht einen scheinbar wehrlosen Mann an. Die Gründe dafür sollen an dieser Stelle irrelevant sein, denn: zu fünft auf einen ist – gelinde gesagt – schwer zu rechtfertigen. Vielleicht war dieser Angriff nicht ihr erster, vielleicht fühlten sie sich deshalb besonders sicher. Aber es soll jetzt nicht um Yassin gehen, sondern um den Warnschuß und den Schuß ins Bein.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5ece5b61f3f.0.html
http://www.welt.de/vermischtes/article5449705/Ermittlungen-wegen-Schiesserei-in-Jugendpark.html
http://www.morgenpost.de/berlin/article1219119/Berliner-Zivilpolizist-schiesst-auf-Jugendlichen.html

Ausgang für Polizistenmörder?
Sechs Jahre nach dem Mord an dem Berliner Polizisten Roland Krüger und nur fünf Jahre nach seiner Verurteilung zu „lebenslanger“ Freiheitsstrafe sind für den Libanesen und Mörder Yassin Ali K. bereits Hafterleichterungen im Gespräch. Im nächsten Jahr soll er Familie und Freundin besuchen dürfen. Was die Justiz als Routine bezeichnet, macht Freunde und Kollegen fassungslos.
http://www.pi-news.net/2009/12/ausgang-fuer-polizistenmoerder/

Leutkirch: Schlägereien beim Zivilcouragepreis
„Je mehr Bürger mit Zivilcourage ein Land hat, desto weniger Helden wird es einmal brauchen“, heißt es hochtrabend auf der Webseite des Zivilcouragepreises 2009. Wie wahr, wie wahr, kann man da nur sagen. Denn bei der heutigen Vergabe des Preises in der Festhalle Leutkirch (Allgäu) kam es – wie schon im Vorjahr – zu Ausschreitungen und Schlägereien.
http://www.pi-news.net/2009/12/leutkirch-schlaegereien-beim-zivilcouragepreis/

Olpe: Toter und Tumulte nach Hip-Hop-Konzert
Ein Hip-Hop-Konzert in der sauerländischen Kreisstadt Olpe, bei dem eine Vielzahl Migranten türkischer Herkunft zu Gast war, beschäftigte die Polizei noch in der Nacht mit einem Großeinsatz. Die alarmierte Mordkommission sucht nach tödlichen Messerstichen nach einem Täter.
http://www.pi-news.net/2009/12/olpe-toter-und-tumulte-nach-hip-hop-konzert/

14jähriger Skater totgefahren
In Frankfurt ist ein 14jähriger Skateboardfahrer in einer Tempo-30-Zone von einem viel zu schnell fahrenden Auto totgefahren worden. Der Fahrer ließ das Kind sterbend zurück. Jetzt wurde der mutmaßliche Unfallwagen gefunden. Halter ist ein türkischer Familienvater, der sich bei seiner Festnahme völlig überrascht zeigte.
http://www.pi-news.net/2009/12/14-jaehriger-skater-totgefahren/

„Ein Irrtum wie die Rechtschreibreform“
Bologna und die Bachelorisierung
Hierin sind sich „Süddeutsche“ und FAZ einig: Nur die Analogie zur Rechtschreibreform beschreibt adäquat, was von den „Vereinfachungen“ durch die Studienreform zu halten ist.
http://www.sprachforschung.org/index.php?show=news&id=642

Handwerk beklagt vor Bildungsgipfel schlechte Schulbildung
http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5gDLLjdVkJNoarYly13X3Po_KaAyA
http://www.zeit.de/newsticker/2009/12/14/iptc-hfk-20091214-12-23282094xml

Vorweihnachtlich I: Vom Wäschetrocknen, der Wilden Jagd und Goethes Einsicht
Von Karlheinz Weißmann
Wenn früher jemand im ländlichen Niedersachsen gefragt wurde, was er zwischen Weihnachten und Dreikönig keinesfalls tun dürfe, so lautete die Antwort: „Wäsche zum Trocknen aufhängen“. Faßte man nach und wollte den Grund wissen, hieß es: „Weil sonst jemand im Hause stirbt.“
Meine Urgroßmutter und meine Großmutter haben sich streng daran gehalten, meine Mutter auch, oder doch beinahe: sie brachte die Wäsche auf den Trockenboden unseres Wohnblocks, – aber es blieb ein Unbehagen. Die jungen Frauen heute kennen nicht einmal mehr das.
http://www.sezession.de/9929/vorweihnachtlich-i-vom-waeschetrocknen-der-wilden-jagd-und-goethes-einsicht.html

Geschenktip „Wildes Deutschland“
Amazonas vor der Haustür
Von Stephan Orth
Geheimnisvolle Nebelberge, romantische Märchenwälder: Der Bildband „Wildes Deutschland“ zeigt Naturparks der Republik in poetischen Aufnahmen. Bei manchen von ihnen glaubt man kaum, daß sie nicht in Kanada, Südamerika oder in der Karibik entstanden sind.
http://www.spiegel.de/reise/deutschland/0,1518,666987,00.html

Leipzig
Nach Wiederaufbau
Gottesdienst in Paulinerkirche wird zur Demo
[auf die Leserkommentare achten!]
http://www.welt.de/kultur/article5461879/Gottesdienst-in-Paulinerkirche-wird-zur-Demo.html?page=0#article_readcomments

Humboldt-Forum
Das Aufbau-Team für das Berliner Schloß steht
http://www.welt.de/kultur/article5537959/Das-Aufbau-Team-fuer-das-Berliner-Schloss-steht.html?page=0#article_readcomments

Emanzipation
Wie Frauen sich selbst ruinieren
Von Naomi Wolf
Die feministische Idee gab den Frauen das Gefühl, alles zu können und zu wollen. Genommen hat sie ihnen aber die innere Ruhe. Die Töchtergeneration der Frauenbewegung setzt ihre Ansprüche an sich selbst gnadenlos hoch an. Für andere Formen von Leistung als beruflichen Erfolg ist kaum Platz.
http://www.welt.de/politik/article5548014/Wie-Frauen-sich-selbst-ruinieren.html

Heavy Metal und Gender. Nachtrag zu einer Konferenz an der Musikhochschule Köln
http://www.historyherstory.de/11.html
http://www.zeit.de/kultur/musik/2009-10/metal-gender-kongress
http://www.nmz.de/online/diva-satanica-eine-konferenz-ueber-heavy-metal-and-gender-an-der-koelner-musikhochschule

Alex Kurtagic: Mister
Von Martin Lichtmesz
Abteilung Entdeckungsreisen: Wer ab und zu auf englischsprachigen rechten Onlinemagazinen wie The Occidental Quarterly, The Occidental Observer oder dem superben Takimag surft, wird irgendwann auf den Namen Alex Kurtagic stoßen. Der 1970 geborene Kurtagic ist slowenisch-spanischer Abstammung, und lebt zur Zeit in Großbritannien, wo er ein Label für „Extreme Metal Music“ betreibt. Alternativen Genres der populären Musik wie Black Metal, Neofolk und Martial Industrial, in denen er eine „heidnische und neo-romantische Sensibilität“ fortwirken sieht, spricht Kurtagic eine immense metapolitische Bedeutung zu.
Kurtagic hat nun seinen ersten Roman „Mister“ veröffentlicht, den man genremäßig in den dunkleren Abzweigungen der Science-Fiction ansiedeln könnte. Die dystopische Literatur hatte immer schon einen Drall nach Rechts, aber auch zur Satire: man denke an Klassiker wie Samjatins „Wir“, Huxley’s „Brave New World“, Orwells „1984“ oder Burgess’ „A Clockwork Orange“, die allesamt die Versklavung, totale Kontrolle und letztlich Auslöschung des Individuums unter dem Banner von Kollektivismus, Fortschritt und Modernisierung anprangern. Zur näheren Verwandschaft von „Mister“ zählt allerdings auch der 1973 erschienene Roman „Das Heerlager der Heiligen“ von Jean Raspail, der schilderte, wie sich ein geistig entwaffnetes Europa kampflos einer Flut von Immigranten ergibt.
http://www.sezession.de/9424/alex-kurtagic-mister.html#more-9424

samedi, 19 décembre 2009

R. Steuckers: deux questions à la fin de la première décennie du 21ème siècle

RSnov0622222.jpgEntretien-éclair avec Robert Steuckers

 

Deux questions à la fin de la première décennie du 21ème siècle

 

Propos recueillis par Philippe Devos-Clairfontaine

 

Photo: AnaR - Senlis, Ile-de-France, novembre 2006

Question : Monsieur Steuckers, le site de “Synergies européennes” (http://euro-synergies.hautetfort.com) publie énormément de textes sur la “révolution conservatrice” allemande, en même temps qu’un grand nombre d’articles ou d’interventions sur l’actualité en politique internationale et en géopolitique: ne pensez-vous pas que la juxtaposition de ces deux types de thématiques peut paraître bizarre pour le lecteur non averti? Voire relever de l’anachronisme?

 

RS: D'abord quelques remarques: le présent est toujours tributaire du passé. A la base, nos méthodes d’analyse sont inspirées de l’historiographie née au XIX° siècle, avec Dilthey et Nietzsche, et des travaux de Michel Foucault, développés depuis le début des années 60: ces méthodes se veulent “généalogiques” ou “archéologiques”. Nous cherchons, dans nos groupes, qui fonctionnent, je le rappelle, de manière collégiale et pluridisciplinaire, à expliciter le présent par rapport aux faits antécédents, aux racines des événements. Pourquoi? Parce que toute méthode qui n’est pas archéologique bascule immanquablement dans le schématique, plus exactement dans ces schématismes binaires qui font les fausses “vérités” de propagande. “La vérité, c’est l’erreur”, disait la propagande de Big brother dans le “1984” d’Orwell. Aujourd’hui, les “vérités” de propagande dominent les esprits, les oblitèrent et annulent toute pensée véritable, la tuent dans l’oeuf.

 

En juxtaposant, comme vous dites, des textes issus de la “Konservaitve Revolution” et des textes sur les événements qui se déroulent actuellement dans les zones de turbulence géopolitique, nous entendons rappeler que, dans l’orbite de la “révolution conservatrice”, des esprits innovateurs, des volontés révolutionnaires, ont voulu déjà briser les statu quo étouffants, ont oeuvré sans discontinuité, notamment dans les cercles étiquettés “nationaux-révolutionnaires”. Vers 1929/1930, divers colloques se sont déroulés à Cologne et à Bruxelles entre les lésés de Versailles et les représentants des forces montantes anti-impérialistes hors d’Europe. Aujourd’hui, une attitude similaire serait de mise: les Européens d’aujourd’hui sont les principales victimes de Téhéran, de Yalta et de Potsdam. La chute du Mur de Berlin et la disparition du Rideau de Fer n’a finalement pas changé grand chose à la donne: désormais les pays d’Europe centrale et orientale sont passés d’une hégémonie soviétique, qui n’était pas totalement étrangère à leur espace, à une hégémonie américaine qui, elle, y est totalement étrangère. Plus la base territoriale de la puissance qui impose son joug est éloignée, non contigüe, plus le joug s’avère contre-nature et ne peut fonctionner que grâce à la complicité de pseudo-élites véreuses, corrompues, qui rompent délibérément avec le passé de leurs peuples. Qui rompt de la sorte avec le passé de son peuple introduit d’abord un ferment de dissolution politique (car toute politie relève  d’un héritage) et livre, par conséquent, la population de souche à l’arbitraire de l’hegemon étranger. Une population livrée de la sorte à l’arbitraire et aux intérêts d’une “raumfremde Macht” (selon la terminologie forgée par Carl Schmitt et Karl Haushofer) finit par basculer d’abord dans la misère spirituelle, dans la débilité intellectuelle, anti-chambre de la misère matérielle pure et simple. La perte d’indépendance politique conduit inexorablement à la perte d’indépendance alimentaire et énergétique, pour ne rien dire de l’indépendance financière, quand on sait que les réserves d’or des grands pays européens se trouvent aux Etats-Unis, justement pour leur imposer l’obéissance. L’Etat qui n’obtempère pas risque de voir ses réserves d’or confisquées. Tout simplement.

 

Du temps de la République de Weimar, les critiques allemands des plans financiers américains, les fameux plans Young et Dawes, se rendaient parfaitement compte de la spirale de dépendance dans laquelle ils jetaient l’Allemagne vaincue en 1918. Si, jadis, entre 1928 et 1932, la résistance venait d’Inde, avec Gandhi, de Chine, avec les régimes postérieurs à celui de Sun-Ya-Tsen, de l’Iran de Reza Shah Pahlevi et, dans une moindre mesure, de certains pays arabes, elle provient essentiellement, pour l’heure, du Groupe de Shanghai et de l’indépendantisme continentaliste (bolivarien) d’Amérique ibérique. Les modèles à suivre pour les Européens, ahuris et décérébrés par les discours méditiques, énoncés par les “chiens de garde du système”, se trouvent donc aujourd’hui, en théorie comme en pratique, en Amérique latine.

 

Q.: Vous ne placez plus d’espoir, comme jadis ou comme d’autres “nationaux-révolutionnaires”, dans le monde arabo-musulman?

 

RS: Toutes les tentatives antérieures de créer un axe ou une concertation entre les dissidents constructifs de l’Europe asservie et les parties du monde arabe posées comme “Etats-voyous” se sont soldées par des échecs. Les colloques libyens de la “Troisième Théorie Universelle” ont cessé d’exister dès le rapprochement entre Khadaffi et les Etats-Unis et dès que le leader libyen a amorcé des politiques anti-européennes, notamment en participant récemment au “mobbing” contre la Suisse, un “mobbing” bien à l’oeuvre depuis une bonne décennie et qui trouvera prétexte à se poursuivre après la  fameuse votation sur les minarets.

 

Le leader nationaliste Nasser a disparu pour être remplacé par Sadat puis par Moubarak qui sont des alliés très précieux des Etats-Unis. La Syrie a participé à la curée contre l’Irak, dernière puissance nationale arabe, éliminée en 2003, en dépit de l’éphémère et fragile Axe Paris Berlin Moscou. Les crispations fondamentalistes déclarent la guerre à l’Occident sans faire la distinction entre l’Europe asservie et l’hegemon américain, avec son appendice israélien. Les fondamentalismes s’opposent à nos modes de vie traditionnels et cela est proprement inacceptable, comme sont inacceptables tous les prosélytismes de même genre: la notion de “jalliliyah” est pour tous dangereuse, subversive et inacceptable; c’est elle que véhiculent ces fondamentalismes, d’abord en l’instrumentalisant contre les Etats nationaux arabes, contre les résidus de syncrétisme ottoman ou perse puis contre toutes les formes de polities non fondamentalistes, notamment contre les institutions des Etats-hôtes et contre les moeurs traditionnelles des peuples-hôtes au sein des diasporas musulmanes d’Europe occidentale. Une alliance avec ces fondamentalismes nous obligerait à nous renier nous-mêmes, exactement comme l’hegemon américain, à l’instar du Big Brother d’Oceana dans le roman “1984” de George Orwell, veut que nous rompions avec les ressorts intimes de notre histoire. Le Prix Nobel de littérature Naipaul a parfaitement décrit et dénoncé cette déviance dans son oeuvre, en évoquant principalement les situations qui sévissent en Inde et en Indonésie. Dans cet archipel, l’exemple le plus patent, à ses yeux, est la volonté des intégristes de s’habiller selon la mode saoudienne et d’imiter des coutumes de la péninsule arabique, alors que ces effets vestimentaires et ces coutumes étaient diamétralement différentes de celles de l’archipel, où avaient longtemps régné une synthèse faite de religiosités autochtones et d’hindouisme, comme l’attestent, par exemple, les danses de Bali.

 

L’idéologie de départ de l’hegemon américain est aussi un puritanisme iconoclaste qui rejette les synthèses et syncrétismes de la “merry old England”, de l’humanisme d’Erasme, de la Renaissance européenne et des polities traditionnelles d’Europe. En ce sens, il partage bon nombre de dénominateurs communs avec les fondamentalismes islamiques actuels. Les Etats-Unis, avec l’appui financier des wahabites saoudiens, ont d’ailleurs manipulé ces fondamentalismes contre Nasser en Egypte, contre le Shah d’Iran (coupable de vouloir développer l’énergie nucléaire), contre le pouvoir laïque en Afghanistan ou contre Saddam Hussein, tout en ayant probablement tiré quelques ficelles lors de l’assassinat du roi Fayçal, coupable de vouloir augmenter le prix du pétrole et de s’être allié, dans cette optique, au Shah d’Iran, comme l’a brillamment démontré le géopolitologue suédois, William Engdahl, spécialiste de la géopolitique du pétrole. Ajoutons au passage que l’actualité la plus récente confirme cette hypothèse: l’attentat contre la garde républicaine islamique iranienne, les troubles survenus dans les provinces iraniennes en vue de déstabiliser le pays, sont le fait d’intégrismes sunnites, manipulés par les Etats-Unis et l’Arabie saoudite contre l’Iran d’Ahmadinedjad, coupable de reprendre la politique nucléaire du Shah! L’Iran a riposté en soutenant les rebelles zaïdites/chiites du Yémen, reprenant par là une vieille stratégie perse, antérieure à l’émergence de l’islam!

 

Les petits guignols qui se piquent d’être d’authentiques nationaux-révolutionnaires en France ou en Italie et qui se complaisent dans toutes sortes de simagrées pro-fondamentalistes sont en fait des bouffons alignés par Washington pour deux motifs  stratégiques évidents: 1) créer la confusion au sein des mouvements européistes et les faire adhérer aux schémas binaires que répandent les grandes agences médiatiques américaines qui orchestrent partout dans le monde le formidable “soft power” de Washington; 2) prouver urbi et orbi que l’alliance euro-islamique (euro-fondamentaliste) est l’option préconisée par de “dangereux marginaux”, par des “terroristes potentiels”, par les “ennemis de la liberté”, par des “populistes fascisants ou crypto-communistes”. Dans ce contexte, nous avons  aussi les réseaux soi-disant “anti-fascistes” s’agitant contre des phénomènes assimilés à tort ou à raison à une idéologie politique disparue corps et biens depuis 65 ans. Dans le théâtre médiatique, mis en place par le “soft power” de l’hegemon, nous avons , d’une part, les zozos nationaux-révolutionnaires ou néo-fascistes européens zombifiés, plus ou moins convertis à l’un ou l’autre resucé du wahabisme, et, d’autre part, les anti-fascistes caricaturaux, que l’on finance abondamment à fin de médiatiser les premiers, notamment via un député britannique du Parlement européen. Tous y ont leur rôle à jouer: le metteur en scène est le même. Il anime le vaudeville de main de maître. Tout cela donne un spectacle déréalisant, relayé par la grande presse, tout aussi écervelée. Dommage qu’il n’y ait plus  un Debord sur la place de Paris pour le dénoncer!

 

Pour échapper au piège mortel du “musulmanisme” pré-fabriqué, tout anti-impérialisme européiste conséquent a intérêt à se référer aux modèles ibéro-américains. In fine, il me paraît moins facile de démoniser le pouvoir argentin ou brésilien, et même Chavez ou Morales, comme on démonise avec tant d’aisance le fondamentalisme musulman et ses golems fabriqués, que sont Al-Qaeda ou Ben Laden.

 

Alexandre del Valle et Guillaume Faye, que ce musulmanisme insupportait à juste titre, notamment celui du chaouch favori du lamentable polygraphe de Benoist, cet autre pitoyable graphomane inculte sans formation aucune: j’ai nommé Arnaud Guyot-Jeannin. Le site “You Tube” nous apprend, par le truchement d’un vidéo-clip, que ce dernier s’est récemment produit à une émission de la télévision iranienne, où il a débité un épouvantable laïus de collabo caricatural qui me faisait penser à l’épicier chafouin que menacent les soldats français déguisés en Allemands, pour obtenir du saucisson à l’ail, dans la célèbre comédie cinématographique “La 7ième Compagnie”… Il y a indubitablement un air de ressemblance… Cependant, pour échapper à de tels clowns, Del Valle et Faye se sont plongés dans un discours para-sioniste peu convaincant. Faut-il troquer l’épicier de la “7ième Compagnie” pour la tribu de “Rabbi Jacob”, la célèbre comédie de Louis de Funès? En effet, force est de constater que le fondamentalisme judéo-sioniste est tout aussi néfaste à l’esprit et au politique que ses pendants islamistes ou américano-puritains. Tous, les uns comme les autres, sont éloignés de l’esprit antique et renaissanciste de l’Europe, d’Aristote, de Tite-Live, de Pic de la Mirandole, d’Erasme ou de Juste Lipse. Devant toutes ces dérives, nous affirmons, haut et clair, un “non possumus”! Européens, nous le sommes et le resterons, sans nous déguiser en bédouins, en founding fathers ou en sectataires de Gouch Emounim. On ne peut qualifier d’antisémite le rejet de ce pseudo-sionisme ultra-conservateur, qui récapitule de manière caricaturale ce que pensent des politiciens en apparence plus policés, qu’ils soient likoudistes ou travaillistes mais qui sont contraints de rejeter les judaïsmes plus féconds pour mieux tenir leur rôle dans le scénario proche- et moyen-oriental imaginé par l’hegemon. Le sionisme, idéologie au départ à facettes multiples, a déchu pour n’être plus que le discours de marionnettes aussi sinistres que les Wahabites. Tout véritable philosémitisme humaniste européen participe, au contraire, d’un plongeon dans des oeuvres autrement plus fascinantes: celles de Raymond Aron, Henri Bergson, Ernst Kantorowicz, Hannah Arendt, Simone Weil, Walter Rathenau, pour ne citer qu’une toute petite poignée de penseurs et de philosophes féconds. Rejeter les schémas de dangereux simplificateurs n’est pas de l’antisémitisme, de l’anti-américanisme primaire ou de l’islamophobie. Qu’on le dise une fois pour toutes!

 

(Réponses données à Bruxelles, le 7 décembre 2009).

An Alternative to the American Empire of the New World

uncle-sam-bruised-economy.jpgAn Alternative to the American Empire of the New World

By Jaroslaw Tomasiewicz /

Almost childish naiveté, a lack of imagination, simplifications reaching commonness, blind generalizations – these are the impressions one gets after reading Francis Fukuyama’s famous essay `The End of History and the Last Man’. Communism’s crash in the East and the retreat from the “welfare state” in the West are, in the author’s opinion, supposed to mean “the end of history”. Humanity has already found its Kingdom of Heaven, which is liberal democracy married to liberal capitalism, and at this point any change or movement becomes impossible and aimless. In his “wishful thinking” Fukuyama is blind to the liberal model’s crisis, exemplified by such things as growing electoral absence, the loss of credibility of the great traditional parties [1], and the constant continuance of recession. Fukuyama doesn’t want to notice the vitality and dynamism of authoritative free-market systems because this would shake his theory of an unbreakable relationship between parliamentary democracy and the free market. [2] Fukuyama believes in the absolute of the current model of civilization and cannot imagine the existence of humanity in a way different from the technological civilization of economic growth. With the disarming trust of a child, Fukuyama believes that reaching the Paradise on Earth is quite possible (What else would one call “the best possible state of affairs”?).

I guess that is enough of enumerating the new Eternal Happiness Prophet’s mistakes.. Without a shadow of a doubt, the days of August 1991 [3], although not meaning the end of humanity’s history, ended one special age of it. It ended the age in which the major problem was making people happy by fulfilling their material needs, and the most important of the conflicts (whose expression was ideological rivalry between egalitarians and liberals) was attached to distribution of the consumers’ goods. However, as soon as the social-etatists [adherents of the welfare state] disgracefully stepped down from the stage of history and the free-marketers, as it seemed, triumphed everywhere, the apparent monolith of the “free world” started breaking up again. On a global scale, the “cold war” between the communist East and capitalist West is being replaced by economic occupation of the backward Peripheries by the highly-developed Center. [4] On the internal political scenes, the conflict between the “globalists” [5] and defenders of political autonomy and cultural identity begins to sharpen. There is growing resistance to the self-driving economic growth which, by destroying the natural environment, becomes a threat to the further existence of the human species. Sooner or later these conflicts will find their ideological expression and take the place of the old division between the right and the left wing. [6] New division lines run across the traditional parties. Occurrences that could be noticed during the French referendum concerning the Maastricht treaty can be treated as a standard example: political, economic and cultural elites are quite “pro-globalist” and among ordinary people there is much resistance. The great parties of the center remain the defenders of the “status quo” and at the same time the extreme wings of the political scene are protesting. [7]

New opposition – Resistance to the New World Order – is actually going to develop from the political extremes or, more directly, from those factions of the current right and left wing opposition, which – responding to the challenges of the new reality – will rethink their assumptions. The rest will end up in a Skansen museum of political folklore. The extreme right wing will break into the totalitarians fascinated with a vision of global empire and ethnocentrists in whom the devotion to national traditions, autonomy and liberties will win. The same differential process waits for the left wing. The gauchistes [8] have been so far behaving like The Red Army, releasing everyone from everything by force (which has led them into several conflicts not only with the oppressive System but also with different factions of the opposition and the majority of ordinary people). While fighting against national states, they don’t notice that above their hitherto enemy grows a new ogre – the supranational super-state that is even less democratic, less responsible to the societies they govern, and more distant from people. Perhaps the left wing, following its old prejudices, will look for an ally against the state, the Church and family in the supranational structures of the Invisible Empire. [9] However, the victory of the Empire over dying national states and traditional communities will be compulsory, because it will put a lonely and rooted out individual in front of the monster of supranational techno-bureaucracy. And destroying this Beast will certainly require much more strength than the gauchistes have!

NEW ALTERNATIVE: BACK TO PROUDHON

Where is the way out of this trap? What are the requirements for creating New Resistance? Firstly, traditional values such as those rooted in family, ethnic or religious groups have to be rehabilitated (or at least a “non-aggression pact” with the defenders of these “natural communities” should be signed). Secondly, there is a need to accept the rule of self-limitation; self-limitation of people’s needs in order to save nature, self-limitation of an individual’s freedom in other people’s communities or society’s favor. Third, and most important, a pluralistic vision of the world, in which ideas and behaviors different from the standards of Political Correctness are on equal terms, also has to be accepted. When fighting for freedom of your own expression, you cannot deny other people this law, even if they are very different from you! [10] A pluralistic, decentralized society can be the only alternative to a unified and centralized New World Order, a formless plasma fed on pop-culture. Not only does territorial decentralization (broadening the authority of communities and regions) have to occur but also different cultural communities should gain autonomy. [11] Not only the state but also every community should have the opportunity to proclaim its own laws for its people. In that situation, coexistence of traditional patriarchal families and feminists’ or homosexuals’ pairs, religious fundamentalists’ communities and counter-cultural groups, military- racist communities of the right wing and anarchistic or communistic groups of the left wing would be possible. So that the territorial and cultural decentralization doesn’t become a fiction, it has to be accompanied by economic decentralization and that would mean eliminating the concentration of property and production forms. The information technology revolution gives the opportunity to make this process real. I believe that this idea of a pluralistic society is the only program, which would be able to combine so many scattered and quarrelling sections of anti-System opposition. [12] The only requirement for accepting it is surrendering the ambition of making the whole of humanity happy by your own idea (It will be enough if you concentrate on making yourself happy only). Accepting the variety of the world and the dissimilarity of different people is a task not only for the right-wingers. Otherwise, there will still be the same situation in which a huge silent majority of people are watching scuffles between a handful of left-wing extremists and equally few extremists of the right-wing on TV and the whole show is directed by the elite from behind the scenes.

1. In France antisystem parties such as the communists, the ecologists and the nationalists achieved all together 45% of the votes, which is – together with those who didn’t vote – the majority of the society. In the USA an unattached candidate, Ross Perot, had a practical chance to win the presidential election; everywhere in the world unconventional parties such as the Belgian ROSSEM or Swiss Auto-Partei are growing in strength.

2. Moreover, it would lead to a suspicion that our well-organized mass society inevitably creates technocratic crypto-totalitarianism!

3. The failure of the coup d’etat in Moscow ended the agony process of communism in its home.

4. “The Center” in my opinion includes highly-developed countries in West Europe, North America and those of the Pacific basin, “the Peripheries” include the majority of the countries of the `Third World’. Post-communistic countries have so far been the middle zone, but it is more probable that they will be degraded to “the Peripheries” than promoted to “the Centre”.

5. I call “the globalists” a formation which, in the name of economic growth (which would be the key to guaranteeing prosperity for everyone), aims to expand the global market by international integration, which leads to further centralization and cultural homogenization. Another, although not so important, element of the globalisation ideology is, in my opinion, the fetish of “human rights”, whose defense and spread is also said to be one of the purposes of international integration. (See “The New Military Humanism” by Noam Chomksy)

6. However, this doesn’t mean that the problem of national income distribution has already lost its meaning! It is still very important, especially in the poor countries of the Peripheries.

7. In case of Maastricht both the French nationalists and communists voted “No!”

8. “Gauchistes” is a French name I give to all groups from the extreme left wing that are not pro-Soviet.

9. The very same mistake has been made on the part of regionalists (for example, Italian Lega Nord) enthusiastic with the idea of unifying Europe. Actually the “Europe a la Maastricht” won’t be a continent of autonomous regions but a satrapy of the Eurobank and Brussels’s eurocrats.

10. People’s freedom consists also in freedom of their irrational prejudices!

11. Just as in the Middle Ages, when ethnic and religious groups and estates had distinct laws and customs, no matter where they lived.

12. In the countries of the Peripheries, the demand for national emancipation from the political, economic and cultural domination of the Center could be an additional (or even the major) link between the left and the right wing opposition.

vendredi, 18 décembre 2009

Presseschau (Dezember / 3)

diarios.jpgPresseschau

Dezember (3)

Einige Links. Bei Bedarf anklicken...

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Minarettverbot: Türkischer Minister fürchtet Religionskrieg
Istanbul – Bislang hat das Schweizer Minarettverbot keine weltweite Krise nach sich gezogen, wie etwa einst der Streit über die Mohammedkarikaturen.Aber wenn man dem türkischen Außenminister Ahmet Davutoglu zuhört, dann war der Karikaturenstreit ein Kinderspiel gegen das, was nun auf Europa zukommt: „Wer kann sagen, daß Moscheen in Europa noch sicher sind?“, sagte er nach einem Besuch in Athen.Und er fuhr fort: „Vor 15 Jahren wurden Hunderte Moscheen in Bosnien niedergebrannt.“Zum wiederholten Male warnt er vor einer „globalen Krise“ und „globalen Zusammenstößen“ nach dem Schweizer Referendum und fühlt sich erinnert an die europäischen „Religionskriege des Mittelalters“. Er bietet die Hilfe der Türkei an, um diese „globale Krise“ abzumildern; aber ein wenig klingt es so, als wolle er die Krise erst herbeireden, um sich erneut als Wortführer der muslimischen Welt zu profilieren und die Türkei zugleich in die Rolle des Konfliktlösers zu manövrieren.
http://www.welt.de/die-welt/politik/article5432166/Minarettverbot-Tuerkischer-Minister-fuerchtet-Religionskrieg.html

Der dumme Junge Westerwelle
Von Thorsten Hinz
In der Wochenendausgabe der FAZ war ein ganzseitiges Interview mit Außenminister Guido Westerwelle zu lesen. Natürlich geht es um das Zentrum gegen Vertreibungen und Westerwelles Veto gegen einen Kuratoriumssitz für Erika Steinbach, wobei die Journalisten – unter ihnen Herausgeber Berthold Kohler, der seit Wochen Steinbach konsequent verteidigt – energisch nachfassen. Westerwelle wiederholt seinen Standpunkt im gewohnt schneidigen Tonfall, den er dem gerade verstorbenen FDP-Ehrenvorsitzenden Otto Graf Lambsdorff abgelauscht haben muß.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5c348fd0628.0.html

Du sollst nicht stehlen
Deutschland wird an die Angehörigen der bei einem Militäreinsatz gegen die Vorbereitung eines schweren Anschlags auf deutsche Aufbauhelfer getöteten afghanischen Raubmörder Entschädigung für die entgangene Beute zahlen. Die Verbrecher hatten zuvor zwei zivilen Fahrern zweier Tanklastzüge die Köpfe abgeschnitten und waren anschließend bei der Durchquerung eines Flusses steckengeblieben.
Befreundete Dorfbewohner waren zu Hilfe geeilt, um die Laster für den geplanten Anschlag zu mobilisieren und sich ihren Anteil an der Beute des Raubmordes zu sichern. Der blutige Deal mit der Bundesregierung wird vom Bremer Rechtsanwalt Karim Popal eingefädelt.
http://www.pi-news.net/2009/12/du-sollst-nicht-stehlen/#more-103622

Herr Rechtsanwalt Popal ist seit mehr als 3 Jahren nebenbei für den Justiz-Aufbau in Afghanistan tätig. Er unterrichtet Staatsanwälte, Richter und Anwälte in Afghanistan und trägt zum Aufbau der Justiz bei.
Nach seinem Studium der Rechtswissenschaften in Bremen ist er seit 1992 als Rechtsanwalt zugelassen.
Er ist Mitglied in der Arbeitsgemeinschaft Aufenthaltsrecht des Bremischen Anwaltsvereins, Mitglied im Deutschen Anwaltsverein, Justitiar mehrerer ausländischer Vereine – u.a. auch der Dachorganisation Schura Bremen und des Moslemrats – und vertretungsberechtigt an allen Gerichten in der Bundesrepublik Deutschland.
http://www.anwalt.de/kanzlei-popal

Konflikte
Bundeswehrverband verteidigt Angriff von Kundus
Bundeswehrverbandschef Ulrich Kirsch hat den umstrittenen Luftangriff auf zwei Tanklastzüge nahe der nordafghanischen Stadt Kundus am 4. September verteidigt.
http://www.focus.de/politik/ausland/konflikte-bundeswehrverband-verteidigt-angriff-von-kundus_aid_457939.html

Bundeswehr sieht sich durch Nato-Bericht entlastet
Berlin – Die Bundeswehr sieht sich entgegen anderslautenden Darstellungen durch den geheimen Nato-Bericht über den Luftangriff auf zwei Tanklastzüge bei Kundus entlastet.Die deutschen Soldaten hätten eine massivere Bombardierung abgelehnt, sagte ein Sprecher des Verteidigungsministeriums am Montag. So hätten die Piloten der US-Kampfflugzeuge den Abwurf von mehr als sechs Bomben auf die von Taliban gekaperten Tanklaster angeboten. Die deutschen Befehlshaber hätten sich dann mit den Fliegern auf den Abwurf von zwei der kleinsten Bomben geeinigt.
http://www.welt.de/die-welt/politik/article5460424/Bundeswehr-sieht-sich-durch-Nato-Bericht-entlastet.html

Afghanistan
Elite-Einheit KSK war am Luftangriff beteiligt
Die Bundeswehr-Elite-Einheit KSK war einem Zeitungsbericht zufolge maßgeblich am umstrittenen Tanklasterangriff in Kundus beteiligt. Der gesamte Einsatz wurde demnach aus einem Kommandostand einer geheimen Einheit geführt. Chef der Task Force 47 soll der verantwortliche Oberst Georg Klein gewesen sein.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5483082/Elite-Einheit-KSK-war-am-Luftangriff-beteiligt.html

Eliteeinheit in Kunduz
KSK unterstützte Oberst Klein in der Bombennacht
Die Spekulationen über die Hintergründe des Luftangriffs von Kunduz bekommen neue Nahrung. Die geheime Bundeswehr-Eliteeinheit Kommando Spezialkräfte spielte möglicherweise eine Rolle bei dem endgültigen Befehl zum Abwurf der Bomben.
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,666249,00.html

USA
Bush und Blair beschlossen Irak-Invasion schon im April 2002
http://www.focus.de/politik/weitere-meldungen/usa-bush-und-blair-beschlossen-irak-invasion-schon-im-april-2002_aid_459869.html

Weinerliche Rechte?
Von Thorsten Hinz
Die Larmoyanz, welche die deutschen Rechten angeblich pflegen – was ist damit gemeint? Soll das heißen, daß sie die allgemeine Weinerlichkeit in Deutschland (auch „German Angst“ genannt) teilen und folglich keine besseren Menschen sind als die Objekte ihrer Kritik? Oder zielt der Spott auf eine spezifische, eben „rechte“ Larmoyanz-Variante? Diese Spezifik müßte dann aber auch genau definiert werden.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5f00bc2087b.0.html
http://www.sezession.de/9471/larmoyanz-und-verwesung.html#more-9471
http://www.sezession.de/9662/deutsche-taeter-deutsche-opfer-eine-antwort-auf-martin-boecker.html
http://www.sezession.de/9891/larmoyanz-und-verwesung-ii.html

Die jungen Männer
Von Götz Kubitschek
Junge Leute haben das Recht zur Rüge, sie haben das Recht zur Attacke, zur Anmaßung, zur Arroganz des Neubeginns. Manchmal holen sie sich dabei eine blutige Nase – oder man versteht ihre Verve nicht ganz: War es nötig, so zu poltern? Qualitätssicherung und Zurückweisung sollte auf dem Felde der Publizistik streng betrieben werden – zumal, wenn es sich um das Netz-Tagebuch der schönsten, besten und wahrsten Rechten handelt.
Warum also darf Martin Böcker, 1981, hier bei uns den Binnenpluralismus bis an die Grenze der Respektlosigkeit strapazieren und unter dem selbstgewählten, übertrieben forschen Titel „Larmoyanz und Verwesung“ zweimal sich selbst und seine Vorsätze mit denen der Normalbürger verwechseln – und uns Jammerei und Defätismus vorwerfen?
http://www.sezession.de/9911/die-jungen-maenner.html

Le Pen
Enkelin strebt in die Politik
http://www.focus.de/politik/ausland/le-pen-enkelin-strebt-in-die-politik_aid_460288.html

Studie
„Verfassungsschutzberichte sind verfassungswidrig“
Fast alle Verfassungsschutzberichte der vergangenen Jahre sind verfassungswidrig. Zu diesem Schluß kommt eine Untersuchung des Freiburger Staatsrechtslehrers Dietrich Murswiek. Mit Ausnahme der Verfassungsschutzberichte Berlins und Brandenburgs genügen demnach alle in den letzten vier Jahren publizierten Verfassungsschutzberichte von Bund und Ländern nicht den Anforderungen des Bundesverfassungsgerichts.
http://www.faz.net/s/Rub594835B672714A1DB1A121534F010EE1/Doc~E710831AE96244C9C94507C2D998A56A6~ATpl~Ecommon~Scontent.html?rss_googlenews

Brief an Innenminister
Paulis Stellvertreter fordern Verbot der eigenen Partei
Eine Partei warnt vor sich selbst. Gibt’s nicht? Gibt’s doch. Bei Gabriele Paulis Freier Union. Führende Köpfe wollen nach SPIEGEL-Informationen ein Verbot der eigenen Gruppierung. Die Partei sei verfassungsfeindlich und Pauli habe diktatorische Züge, schrieben sie dem Innenminister. Die Chefin reagierte prompt.
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,665356,00.html

Neuer Polizei-Wasserwerfer
Der Naßmacher
Aus St. Augustin berichtet Sven Stillich
400 PS unter der Haube, 10.000 Liter Wasser an Bord und fast eine Million Euro teuer: Die Polizei hat ihre neueste Waffe im Kampf gegen Randalierer vorgestellt. Der „Wasserwerfer 10.000“ ist eine rollende Hightech-Festung, die Beamten sind begeistert.
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/0,1518,665006,00.html

Finanzkrise
Der Bankrott der Griechen streift auch Deutschland
Von J. Dams, J. Eigendorf u. C. B. Schiltz
Griechenland bedroht die Zukunft der Europäischen Union. Seit Jahren geben die Hellenen weit mehr Geld aus als sie erwirtschaften. Jetzt steht das Land vor dem Staatsbankrott. Wenn die EU mit Milliardenhilfen einspringt, müßte Deutschland als finanzstärkstes Land der EU den Löwenanteil tragen.
http://www.welt.de/politik/Krise/article5479669/Der-Bankrott-der-Griechen-streift-auch-Deutschland.html

Sorge über hohe Schulden Griechenlands
http://www.dw-world.de/dw/function/0,,12356_cid_4997973,00.html
http://www.dw-world.de/dw/function/0,,12356_cid_4995548,00.html?maca=de-de_na-2225-xml-atom

Griechenlands Finanzkatastrophe
Ein Land bekommt die Rechnung
Von Susanne Amann
Alarm in der Euro-Zone: Griechenland ist hoffnungslos verschuldet. Pessimisten sprechen von drohendem Bankrott, die Kreditwürdigkeit verfällt, jetzt beraten die Staats- und Regierungschefs der EU über eine hochbrisante Frage – wie kann man ein abgewirtschaftetes Land zur Selbstsanierung zwingen?
http://www.spiegel.de/wirtschaft/soziales/0,1518,666404,00.html

Bankrott und Straßenschlachten
Griechen empfinden den eigenen Staat als Feind
Von Berthold Seewald
Griechenland steht vor dem Ruin, doch die protestierenden Studenten wollen die Verantwortlichen überhaupt nicht zur Rechenschaft ziehen. Sie demonstrieren, weil sie den Staat nicht mehr so ausnehmen können wie die Generationen vor ihnen. Die Gründe der Misere der Griechen liegen in der Geschichte.
http://www.welt.de/politik/article5479779/Griechen-empfinden-den-eigenen-Staat-als-Feind.html

Staatsverschuldung
S&P verwarnt Spanien
http://www.ftd.de/finanzen/maerkte/anleihen-devisen/:staatsverschuldung-s-p-verwarnt-spanien/50048346.html

ZDF-Magazin „Frontal 21“: Bundesligaclubs verschleiern ihre Schulden
http://www.presseportal.de/pm/7840/1526447/zdf

Niedersächsische Städte sehen sich vor dem Ruin
http://www.welt.de/die-welt/vermischtes/hamburg/article5471867/Niedersaechsische-Staedte-sehen-sich-vor-dem-Ruin.html

Schulden
Bittere Zeiten für den Kreis Offenbach
http://www.op-online.de/nachrichten/frankfurt-rhein-main/bittere-zeiten-kreis-552513.html

Ministerpräsident von Rheinland-Pfalz, Kurt Beck, schließt Bündnis mit Linkspartei nicht mehr aus
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/beck-schliesst-buendnis-linkspartei-nicht-553164.html

Braune Blätter wollen an den Kiosk
Nicht nur, daß bereits mehrere Zeitungen („Deutsche Stimme“, „National-Zeitung“, „Junge Freiheit“, „Der Schlesier“) und Magazine („Deutsche Geschichte“, „Deutsche Militär-Zeitschrift“, „eigentümlich frei“) im Kiosk-Handel existieren und zusätzlich noch unappetitliche rechtslastige irrationale Periodika („Matrix2000“, „Trojaburg“). Zwei weitere braune Blätter planen den Sprung in den Kiosk-Handel: Die revanchistische „Preußisch Allgemeine Zeitung“ und das neugegründete Monatsmagazin „Zuerst“.
http://de.indymedia.org/2009/12/268189.shtml

[Bln] Nazitreffen im Ratskeller Schmargendorf
Wie der „Tagesspiegel“ am 21.11 berichtete fanden im Ratskeller Schmargendorf im Bezirk Charlottenburg-Wilmersdorf seit Jahren regelmäßige, von Neonazis, Rechtskonservativen und neurechten Ideologen besuchte „Dienstagsgespäche“ statt. Organisator der „Gespräche“ war fast immer Hans-Ulrich Pieper.
http://de.indymedia.org/2009/12/268438.shtml

Polizei räumt in Frankfurt Uni-Casino von Chaoten-Studenten
http://www.faz.net/s/RubFAE83B7DDEFD4F2882ED5B3C15AC43E2/Doc~E947C22DF75D74F31AF2BEB06896837E0~ATpl~Ecommon~Scontent.html?rss_googlenews
http://www.ad-hoc-news.de/hochschulleitung-frankfurter-studenten-distanzieren-sich--/de/Regional/Hessen/20770704
http://www.abendblatt.de/politik/deutschland/article1294230/AStA-Sexuelle-und-rassistische-Uebergriffe-durch-Polizisten.html
http://www.rf-news.de/2009/kw49/04.12.09-2013-asta-fordert-ruecktritt-des-frankfurter-uni-praesidenten
http://www.fr-online.de/frankfurt_und_hessen/nachrichten/frankfurt/2119886_Nach-Casinoraeumung-Dozent-spricht-von-bedrohlichem-Auftritt.html
http://www.zeit.de/studium/hochschule/2009-12/schavan-studenten-gewalt-proteste
http://www.faz.net/s/Rub3DFC0DABC5664C30AC70700DD10A965D/Doc~E3FF00FA7CCBD40D78E9E7FE881B7B03C~ATpl~Ecommon~Scontent.html?rss_googlenews

„Besetzer beschädigen Casino“
Frankfurter Uni-Präsident rügt Studenten und Land
http://www.faz.net/s/RubFAE83B7DDEFD4F2882ED5B3C15AC43E2/Doc~E3A116DAA275E491CAB05A7EED796B188~ATpl~Ecommon~Scontent.html

Griechenland
Zum Jahrestag der Unruhen erschüttern Straßenschlachten Athen
http://www.welt.de/news/article5446472/Zum-Jahrestag-der-Unruhen-erschuettern-Strassenschlachten-Athen.html
http://www.tagesspiegel.de/politik/art771,2968757

Wer’s glaubt, wird selig. Was hat Athen mit Hamburg zu tun? Nein, das sind nur Vorwände, für die Medien offiziell vorgetragene Begründungen für die generelle Aggressionslust der „Autonomen“ ...
Bekennerbrief: Hamburger Anschläge Rache für Athen
http://www.zeit.de/newsticker/2009/12/6/iptc-bdt-20091206-293-23210756xml
http://www.news.de/politik/855035501/athen-randale-in-hamburg/1/

Körting kündigt neue Studie zu linksextremistischer Gewalt an
http://www.berlinonline.de/aktuelles/berlin/detail_ddp_2601865810.php

Körting nennt linke Chaoten „rot lackierte Faschisten“
http://www.bz-berlin.de/archiv/koerting-nennt-linke-chaoten-rot-lackierte-faschisten-article667410.html
http://www.morgenpost.de/printarchiv/berlin/article1219927/Koerting-spricht-von-rot-lackierten-Faschisten.html

Faschismusvergleich verärgert die Linke
http://www.tagesspiegel.de/berlin/art270,2970657

Die Linke
Partei distanziert sich von linksextremer Gewalt
http://www.focus.de/politik/weitere-meldungen/die-linke-partei-distanziert-sich-von-linksextremer-gewalt_aid_461192.html

Schröder geschichtspolitisch ganz auf Merkel-Linie ...
Altkanzler zum Minarettverbot
Schröder verteidigt den Islam gegen die Schweizer
Jetzt hat der Schweizer Minarett-Streit auch Altkanzler Gerhard Schröder erreicht. Der SPD-Politiker wirft dem Schweizer Volk vor, es wolle den im Kern „friedlichen Islam“ in die Hinterhöfe verbannen. Schröder mahnt, nicht die islamischen Staaten hätten „die beiden Weltkriege“ verbrochen.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article5476784/Schroeder-verteidigt-den-Islam-gegen-die-Schweizer.html

Erster Weltkrieg
Deutschland zahlt noch immer Kriegsschulden
http://www.rp-online.de/politik/deutschland/Deutschland-zahlt-noch-immer-Kriegsschulden_aid_790598.html

Anonym bleibende Besitzer von Anleihen bekommen indes den Rachen nicht voll und klagen vor einem New Yorker Gericht ...
Deutsche Schulden aus dem Weltkrieg
Der lange Schatten von Versailles
http://www.rp-online.de/politik/deutschland/Der-lange-Schatten-von-Versailles_aid_791008.html

Nach den Kurras-Enthüllungen hoffen die 68er nun, ihr in Unordnung gebrachtes Welt- und Geschichtsbild doch noch retten zu können, in dem die Bundesrepublik als „faschistisches Schweinesystem“ (RAF-Diktion), zumindest jedoch als „faschistoider Staat“ erschien ...
Enthüllung über Dutschke-Attentäter
Schrecken aus dem braunen Sumpf
Von Reinhard Mohr
Schon wieder muß die 68er-Geschichte in neuem Licht gesehen werden: Dutschke-Attentäter Josef Bachmann war kein Einzelgänger, wie lange behauptet. Er hatte nach SPIEGEL-Informationen enge Kontakte zu Neonazis, die von der Stasi beobachtet und der Polizei gedeckt wurden – es gab ihn doch, den braunen Sumpf.
http://www.spiegel.de/kultur/gesellschaft/0,1518,665421,00.html

Ein etwas differenzierterer Artikel ...
Der Dutschke-Attentäter und die Neonazis
Von Sven Felix Kellerhoff
Josef Bachmann war offenbar kein Einzeltäter – Laut Stasi-Akten hatte der Mann, der auf den Studentenführer schoß, Kontakte zu Rechtsradikalen
http://www.welt.de/die-welt/politik/article5448661/Der-Dutschke-Attentaeter-und-die-Neonazis.html

Studentenbewegung
Dutschke-Attentäter ein Neonazi?
http://www.focus.de/panorama/vermischtes/studentenbewegung-dutschke-attentaeter-ein-neonazi_aid_460409.html

Dutschke-Attentat
Springers Gewaltfantasien
„Schlagt ihn tot, hängt ihn auf“
http://www.taz.de/1/politik/deutschland/artikel/1/schlagt-ihn-tot-haengt-ihn-auf/

Der Spiegel, 17. Februar 1960 (Fundstücke 6)
Von Martin Lichtmesz
Stefan Scheil hat in einer interessanten Glosse für die JUNGE FREIHEIT an die „Kölner Hakenkreuzschmiereien“ im Dezember 1959 und deren politische Folgen erinnert. Auch Armin Mohler sah in seinem Buch „Der Nasenring“ in diesem Vorfall eine entscheidende Etappe in der Entwicklung der „Vergangenheitsbewältigung“ (VB).
http://www.sezession.de/9760/der-spiegel-17-februar-1960-fundstuecke-6.html

Amoklaufende Gutmenschen
Von Werner Olles
Es war vorauszusehen, daß das klare Votum der Schweizer für ein Verbot von Minaretten ein Wüten und Toben der herrschenden politischen und medialen Klasse hervorrufen würde. Tatsächlich war in den meisten Prognosen eine Ablehnung der von der nationalkonservativen Schweizer Volkspartei (SVP) und der christlich orientierten Eidgenössisch-Demokratischen Union (EDU) initiierten Volksabstimmung vorhergesagt worden, doch entsprach dies wohl eher dem Wunschdenken der elitären Kaste aus Linksintellektuellen und politisch korrekten Multikulturalisten, die anschließend den „sonntäglichen Wahn“ geißelten und die Bürger als „intolerant“ und „fremdenfeindlich“ beschimpften.
http://www.pi-news.net/2009/12/amoklaufende-gutmenschen/#more-104226

Aufklärer, Schönredner und Prediger
Die Islam-Debatte rückt auch die Rolle der Journalisten in den Blickpunkt
http://www.nzz.ch/nachrichten/kultur/medien/aufklaerer_schoenredner_und_prediger_1.4130173.html

Minarett-Verbot belebt Diskussion in Frankreich
http://www.infranken.de/nc/nachrichten/lokales/artikelansicht/article/minarett-verbot-belebt-diskussion-in-frankreich-41321.html

Vural Öger: „Die Schweiz darf uns nicht infizieren“
„Das, was Kamuni Sultan Süleyman 1529 mit der Belagerung Wiens begonnen hat, werden wir über die Einwohner, mit unseren kräftigen Männern und gesunden Frauen, verwirklichen“, sagte Vural Öger (Foto) vor fünf Jahren. Nach der Schweizer Minarett-Abstimmung sieht der türkischstämmige Vorzeige-Unternehmer sein Projekt anscheinend in Gefahr. In einem „Offenen Brief an die Deutschen“ warnt der Nationalist vor „Fremdenhaß der Ewiggestrigen“.
http://www.pi-news.net/2009/12/vural-oeger-die-schweiz-darf-uns-nicht-infizieren/

Kolumne
Liebe Rechtspopulisten!
Von Mely Kiyak
Wenn ich mich heute entscheiden würde, Deutschland zu verlassen, weil ich die hier geschürte Atmosphäre gegen Menschen von nichtdeutschen und nichtchristlichen Eltern nicht gutheiße, ich wüßte nicht wohin. Der Rechtspopulismus hat mich in Europa umzingelt. Dänemark und die Niederlande sind auch nicht mehr, was sie mal waren. Spanien, Italien, England, es ist ganz gleich, wohin ich schaue, überall sind sie völlig hysterisch mit dem „anderen Kulturkreis“. Scheißminarette. Scheißkirchtürme. Scheißländergrenzen. Scheiß-Alles. Ich habe keine Angst vor Menschen, die an einen Gott glauben. Ich selber habe es nicht so mit Gott, aber egal.
http://www.fr-online.de/top_news/2121843_Kolumne-Liebe-Rechtspopulisten.html
http://de.wikipedia.org/wiki/Mely_Kiyak

Auch hier kommen wieder einmal nur dreiste Forderungen an die deutsche „Restgesellschaft“ (wie Frau Cindik es in dem Interview so schön ehrlich ausdrückt) ...
„Nur auf Deutsche ausgerichtet“
Gesundheitssystem
Das deutsche Gesundheitssystem ist mit den Anforderungen von Migranten überfordert, beobachtet Psychiaterin Elif Duygu Cindik.
http://www.sueddeutsche.de/wissen/95/495421/text/

Wer ist der Koch?
Von Thorsten Hinz
Eine Integration von Ausländern hat es in Deutschland immer gegeben. Ein Beispiel dafür sind jene beiden Herren, die ihr Ausbleiben zur Zeit am schärfsten kritisieren: Heinz Buschkowsky, Bezirksbürgermeister von Berlin-Neukölln, und Bundesbankvorstand Thilo Sarrazin. Beider Familiennamen verweisen auf ethnische Anteile, die nicht eben kerndeutschen Ursprungs sind. So war es immer: Leute kamen her (oder gingen weg), weil sie sich anderswo bessere Chancen ausrechneten.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5d999bd3488.0.html

Im Maschinenraum kann Frankfurts CDU den Kurs des Tankers „Integration“ gewiß nicht bestimmen
Partei legt zehn Thesen ohne klare Positionierung vor
http://www.freie-waehler-im-roemer.de/index.php?id=44&tx_ttnews%5Btt_news%5D=420&tx_ttnews%5BbackPid%5D=3&cHash=12281c1398

Sarrazin wirkt
Von Michael Paulwitz
Öffentliche Verkehrsmittel in Großstädten sind eine Universität der rauhen Wirklichkeit. Redakteur Rainer Wehaus von den „Stuttgarter Nachrichten“ ist bodenständig genug, um auch mal die Stadtbahn zu nehmen. Der „Fall Sarrazin“ hat ihn scheint’s ermuntert, die dort gemachten Erfahrungen mit seinen Lesern zu teilen.
http://www.sezession.de/9863/sarrazin-wirkt.html#more-9863

Der Siegerfilm des Videowettbewerbs unter der Schirmherrschaft von Frau Merkel steht nun fest.
Toleranz Team // 361° Toleranz
[Man beachte auch die Kommentare!]
http://www.youtube.com/watch?v=zs6fxy3TZ2M&feature=player_embedded

Eine Antwort auf Merkels 361 Grad – Schluß mit der falschen Toleranz!
http://www.youtube.com/watch?v=IVSZJRzxzJQ

Kriminalität: Die deutsche Opfergesellschaft
„Drohen, dealen und im Zweifel schießen: Tagtäglich fordern ethnisch abgeschottete Clans den Rechtsstaat heraus.“ Diesen Satz schreibt diesmal nicht PI, sondern Spiegel Online in einem Artikel über die organisiert kriminellen türkisch-arabischen Großfamilien in Bremen. In diesem Artikel wird einmal mehr deutlich, wie hilflos eine „kaputtgesparte“ Polizei ohne jeglichen Rückhalt von Politik und Justiz der bestens „Organisierten Kriminalität“ rein gar nichts entgegenzusetzen hat.
http://www.pi-news.net/2009/12/kriminalitaet-die-deutsche-opfergesellschaft/

Berliner Polizist schießt in Notwehr auf Angreifer
Eine Gruppe Jugendlicher hat in der Nacht zu Sonntag einen Berliner Polizisten in Friedrichshain attackiert. Der Mann war nicht in Uniform unterwegs, doch die Angreifer hatten ihn als Polizisten erkannt. In Reaktion auf die Attacke griff der Beamte schließlich zu seiner Waffe.
http://www.morgenpost.de/berlin/article1219119/Berliner-Polizist-schiesst-auf-Angreifer.html

In diesem Artikel findet sich die Information, daß es sich bei dem verletzten Angreifer um einen „Deutsch-Türken“ handelt ...
Gewalt
Friedrichshain: Polizist schießt auf Angreifer
Von Michael Behrendt, Hans H. Nibbrig und Steffen Pletl
Schwerer Zwischenfall bei einem Polizeieinsatz in Friedrichshain. Ein von einer Gruppe Jugendlicher angegriffener Polizist zückte in der Nacht zu gestern die Pistole und schoß einem seiner fünf Angreifer in den Unterschenkel. Nach Angaben eines Polizeisprechers war der 33jährige Zivilbeamte mit Kollegen am Forckenbeckplatz im Einsatz.
http://www.morgenpost.de/printarchiv/titelseite/article1219306/Friedrichshain-Polizist-schiesst-auf-Angreifer.html

Angriff auf Polizist
Ermittlungen wegen Schießerei in Jugendpark
Nach dem Angriff auf einen Polizisten in Berlin-Friedrichshain wird jetzt gegen zwei junge Männer wegen Körperverletzung ermittelt. Der Beamte, der als Zivilstreife unterwegs war, hatte einem 19jährigen ins Bein geschossen, um den Angriff abzuwehren. Ermittlungen wurden eingeleitet.
http://www.welt.de/vermischtes/article5449705/Ermittlungen-wegen-Schiesserei-in-Jugendpark.html

André Lichtschlag und Helmut Matthies erhalten Gerhard-Löwenthal-Preis
BERLIN. Der Herausgeber der Zeitschrift „eigentümlich frei“, André Lichtschlag, und der Gründer des evangelischen Wochenmagazins „Idea Spektrum“, Helmut Matthies sind am Sonnabend im Beisein von 300 Gästen aus Medien, Wissenschaft und Politik mit dem diesjährigen Gehrhard-Löwenthal-Preis ausgezeichnet worden.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display.154+M5dc742a0551.0.html

Herumdoktern am Bachelor
„Wir haben zwei Studentengenerationen verschlissen“
Professoren haben überall in Deutschland neue Studiengänge erfunden und eingeführt. Jetzt wettert ihr oberster Vertreter gegen die Bachelor-Misere: zu kurz, zu verschult und zu speziell, sagt Bernhard Kempen, Präsident des Hochschulverbandes – und er ruft auf zum Boykott der Bachelor-Bürokratie.
http://www.spiegel.de/unispiegel/studium/0,1518,665567,00.html

Sascha Lobos Gegenrede zu Schirrmacher ...
Intelligenz
Die bedrohte Elite
von Sascha Lobo
http://www.spiegel.de/spiegel/0,1518,665806,00.html

Humboldt-Forum
Auf dem Weg zum Louvre von Berlin
http://www.faz.net/s/RubCF3AEB154CE64960822FA5429A182360/Doc~E54A073E5B2634F82BAFCCF72D1DA052E~ATpl~Ecommon~Scontent.html

Rekonstruktionsdebatte
Dem Fachwerk eine Gasse
Zum Beispiel Frankfurt am Main: Der Streit um den Wiederaufbau zerstörter Altstadtviertel wird schärfer
http://www.welt.de/die-welt/kultur/article5471482/Dem-Fachwerk-eine-Gasse.html

Spinnereien in einer bankrotten Stadt ...
ARCHITEKTUR: Tegel ist für alles offen
Die Stadtplaner haben viele Ideen dafür, was aus dem Flughafen nach seiner Stilllegung in zwei Jahren einmal werden soll
http://www.maerkischeallgemeine.de/cms/beitrag/11679215/62249/Die-Stadtplaner-haben-viele-Ideen-dafuer-was-aus.html

Aktueller denn je ...
Ausschmitt aus „Ein Mann sieht rot“
Charles Bronson vs. Muggers
http://www.youtube.com/watch?v=of-57Ivfwz8

jeudi, 17 décembre 2009

Al-Zaïdi: symbole de la résistance anti-américaine

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Al-Zaïdi : un symbole de la résistance anti-américaine

Ex: http://unitepopulaire.org/

 

 

Mardi 8 décembre, le Club 44 recevait un invité de marque : Muntader Al-Zaïdi, journaliste irakien devenu célèbre dans le monde entier pour avoir osé, lors d’une conférence de presse de l’ancien président George Bush en Irak, lancer sur celui-ci une de ses chaussures en signe de protestation. S’en étaient ensuivis plusieurs mois de prison, dont trois d’isolement complet, et de nombreuses tortures, avant sa libération et son départ pour la Suisse, où le journaliste réside pour quelques mois, le temps de mettre sur pied une fondation en faveur des veuves et des orphelins de guerre, l’Al-Zaïdi Foundation.

Après avoir remercié la Suisse de l’avoir accueilli – « La Suisse, nation du monde libre » a-t-il précisé, rappelant que notre pays n’avait pas pris part à la croisade américaine en Orient – Al-Zaïdi a tenté de nous décrire la situation actuelle du peuple en Irak, la terreur qui y règne, l’insécurité permanente, l’écrasement physique et moral des habitants sous la botte de l’occupant. Contenant avec peine son émotion, il a évoqué devant nous les passants écrasés par les hammers et les jeeps de l’armée US, les gamins de sept ans tirés dans la rue à bout portant par les snipers américains, les viols en série, l’inquiétude des parents lorsque leurs enfants sont sur le chemin de l’école, la pénurie de tous les biens de consommation (y compris le pétrole, ce qui est un comble !), la corruption généralisée des partis au pouvoir (plusieurs dizaines de milliards de dollars !), tous sous contrôle de l’envahisseur, l’humiliation quotidienne de tout un peuple sous le joug de l’étranger.

L’engagement d’Al-Zaïdi en faveur de la paix ne date pas d’hier. Journaliste depuis plusieurs années pour la télévision, ses ennuis ont vraiment commencé le jour où il a réalisé un reportage sur le cas d’une femme violée par des GIs. Quelques heures après avoir rendu sa vidéo, il apprend qu’elle sera censurée et il est kidnappé par des agents américains qui le séquestrent plusieurs jours, le frappent et le menacent de mort. Rendu à la liberté, il décide pourtant de ne pas se laisser intimider et continue, tant que faire se peut, de faire son travail d’information avec sérieux, quitte à voir sa sécurité devenir de plus en plus compromise. Puis vient ce fameux jour de l’“attentat” à la chaussure. « Toutes les informations que vous avez pu obtenir sur la situation en Irak, nous explique-t-il, sont les informations que les Américains veuillent que vous receviez. On a fait croire au monde que l’armée US a été accueillie par notre peuple comme une armée de libérateurs, que nous l’avons reçue avec des roses. Si j’ai lancé ma chaussure contre Bush, c’était pour montrer au monde que non, personne ne le recevait avec des roses ici ! » Il précise le sens de ce symbole : « J’ai répondu à leur agression par une chaussure, parce que ce sont des chaussures qui nous écrasent tous les jours, parce que c’est sur leurs chaussures qu’on trouve le sang de nos concitoyens. »

L’Irak d’aujourd’hui, nous rappelle-t-il, c’est plus d’un million de martyrs, plus d’un million de veuves et plus de cinq millions d’orphelins. « En ce 9 décembre, pendant que nous parlons, ont eu lieu plusieurs attentats, plusieurs agressions, une centaine de morts rien que pour ce mardi. » L’Irak occupée, ce sont aussi des destructions matérielles incommensurables, des écoles fermées et un recul historique du niveau général d’instruction de la jeunesse, des dizaines de milliers de prisonniers détenus sans chef d’accusation. Al-Zaïdi a subi le sort de ces prisonniers : on l’a bastonné à coups de barres de fer et de câbles électriques, on l’a forcé à rester dans l’eau glacée en plein mois de janvier, on lui a fissuré le crâne, brisé les dents et le dos – et quant aux autres tortures subies, par pudeur, il préfère ne pas les évoquer devant nous. Aujourd’hui à peu près remis de ses blessures, il est toujours suivi médicalement et avoue, même hors d’Irak, vivre dans une menace permanente – bien qu’il précise qu’en Suisse, il n’a pour le moment rencontré aucun problème. Il ne souhaite toutefois pas demander l’asile politique chez nous : son but, coûte que coûte, est de retourner dans sa patrie pour œuvrer pour la paix et pour mener la lutte contre l’occupant ; il dit être prêt à offrir sa vie pour cette cause. « Il y a deux types de journalistes en Irak : les collaborateurs et les résistants. Je fais partie des seconds. »

S’en est suivie une petite partie de questions-réponses avec le public – j’en retranscris ci-dessous les plus intéressantes :

 

Pensez-vous que l’arrivée au pouvoir de Barak Obama puisse représenter un espoir pour le peuple irakien ?

« Jamais un homme politique n’aura autant parlé de paix sans faire quoi que ce soit dans ce sens. Ceux qui lui ont remis le Prix Nobel de la paix ont fait une grosse erreur ! Entre Bush et Obama, il n’y a pas de rupture, c’est une permanence. Mais il est vrai qu’Obama n’est que le fonctionnaire d’une plus grosse machine et qu’on ne peut pas demander à un simple fonctionnaire d’outrepasser ses fonctions… »

Si les Américains quittent l’Irak, ne risque-t-on pas de voir la guerre civile se radicaliser entre communautés, en l’absence d’ennemi commun ?

« C’est un argument fallacieux qui a été largement propagé par les médias aux ordres. Il n’y a pas de “communautés” en Irak : il y a des sunnites, des chiites, des kurdes, des chrétiens, des gens qui pratiquent des religions différentes mais qui ne se regroupent pas en fonction de leur foi et qui vivent très bien intégrés les uns avec les autres. Les mariages entre les uns et les autres sont monnaie courante et, pour tout dire, on parle rarement de religion au quotidien. Certaines de ces religions ont cohabité sur notre territoire depuis des millénaires, nous n’avons tout de même pas toujours été en guerre ! Ceux qui, aujourd’hui, commettent des attentats et tentent en vain de répandre la guerre civile inter-communautaire ne sont pas des gens du peuple, ce sont des milices fanatisées ; ces dernières sont, directement ou indirectement, encouragées par le pouvoir américain qui souhaite développer le communautarisme pour nous affaiblir. »

Mais auriez-vous pu vous débarrasser de Saddam Hussein sans l’intervention militaire américaine ?

« Je ne répondrai qu’une chose : ce n’est pas parce qu’on a une épine dans l’œil qu’il faut se laisser énucléer. »

Quels seront les projets concrets que va lancer votre fondation ?

« Nous ne souhaitons pas faire du simple humanitaire, nous souhaitons intégrer les victimes de la guerre à ce travail de pacification. Par exemple, nous allons réunir des veuves pour fabriquer des objets et des jouets pour les orphelins d’Irak, et nous les ferons distribuer par des handicapés et des blessés de guerre. Comme le dit le proverbe chinois, nous ne désirons pas donner seulement un poisson à nos frères, nous voulons leur apprendre à pêcher. »

Que pensez-vous du récent vote en Suisse concernant les minarets ?

« Je ne connais pas très bien le paysage politique suisse. Mais je pense que vous devez faire confiance à votre démocratie : le peuple se trompe rarement sur ses intérêts. Votre modèle est exemplaire, je rêve de le voir un jour faire sa place en Irak. Nous sommes pour l’instant gouvernés par des collaborateurs. Peu m’importe que notre chef soit sunnite ou chiite, je ne désire qu’une chose : qu’il soit un nationaliste irakien ! Lorsque le soleil se lèvera enfin à nouveau sur ma patrie, lorsque l’occupant repartira, tous ceux qui se sont agglutinés autour de lui comme de la cire, tous ceux-là fondront car ils ne seront plus rien sans l’occupant. Le salut de mon pays ne viendra pas d’un prince sur un cheval blanc, c’est tout un peuple qui doit se lever ! Et demain, peut-être, la démocratie… »

 

compte rendu : pour Unité Populaire, David L’Epée

Questions internationales: mondialisation et criminalité

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Impératif ! Lecture vivement conseillée !

Questions Internationales n°40 Novembre/Decembre 09 HQ [Hotfile]

lundi, 14 décembre 2009

Ukraine: WHO und Geopolitik hinter der Schweinegrippe-Panik

julia-timoschenko-premierministerinukraine-schweinegrippe_9.jpgUkraine: WHO und Geopolitik hinter der Schweinegrippe-Panik

F. William Engdahl

Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Neueste Meldungen über den Ausbruch einer tödlichen Schweinegrippe-Epidemie in der Ukraine sind nach Angaben von Augenzeugen wohl eher als politisch motivierte Erfindung einer unter Druck geratenen Regierung zu verstehen, die um ihre Wiederwahl fürchtet und möglicherweise sogar plant, das Kriegsrecht zu verhängen. Bei genauerer Betrachtung zeigt sich, wie sehr bedrängten Regimes die derzeitige Angstkampagne der Weltgesundheitsorganisation WHO über die »Schweinegrippe-H1N1-Pandemie« in den Kram passt.

Seit Tagen zeichnen die Medien in aller Welt das Bild einer Ukraine, die von der Pest oder gar Schlimmerem heimgesucht wird. Einer der wildesten Panikmacher ist Dr. Henry Niman aus Pittsburgh, der interaktive »Landkarten« über die Ausbreitung der Schweinegrippe erstellt und sich bereits in der Vergangenheit mit der Warnung hervorgetan hat, die Vogelgrippe H5N1 werde mutieren und zu einer tödlichen, von Mensch zu Mensch übertragenen Pandemie führen. Doch dazu kam es nicht.

Nimans Karte über die Ausbreitung der sogenannten Schweinegrippe H1N1 seit April hat der WHO, der US-Regierung und großen Medien eine willkommene grafische Darstellung geliefert, mit der sie den Eindruck einer neuen »Beulenpest« erwecken können, die der Menschheit droht, wenn nicht schleunigst mit großen Massen ungetesteter Impfstoffe von skrupellosen Herstellern wie GlaxoSmithKline oder Novartis oder mit dem gefährlichen Tamiflu von Roche dagegen vorgegangen wird.

Niman hat schon sehr früh über die Entwicklung in der Ukraine berichtet: »Der rasante Anstieg der gemeldeten Infektionen, die Einweisungen ins Krankenhaus und die Todesfälle der letzten Tage geben Anlass zu der Besorgnis, dass das Virus sehr leicht übertragen wird … Die große Zahl der Todesfälle und der an hämorrhagischem Fieber Erkrankten in der Ukraine ist beunruhigend.«Warnend setzt Niman noch hinzu: »Die Zahl der Infizierten hat sich im Vergleich zu der Lage vor zwei Tagen auf fast eine halbe Million annähernd verdoppelt.«

Solche Meldungen können natürlich Angst machen. Sie rufen die Bilder der Pestepidemie von 1348 wach, die damals in Europa 60 Prozent der Bevölkerung hinweggerafft haben soll. Diese Zahlen sind vielfach angezweifelt worden, dennoch wird der Vergleich mit der Pest genauso wie der gleichermaßen beängstigende, wenn auch falsche Vergleich mit der sogenannten Spanischen Grippe von 1918 in der Ukraine gezogen.

 

Was ist wirklich los?

Die als geradezu kriminell zu bezeichnende WHO bestätigt die zweifelhafte Behauptung aus der Ukraine, wonach die Ausbreitung der Schweinegrippe außer Kontrolle geraten sei. Dieselbe Institution hat im vergangenen Sommer die H1N1 zur Pandemie erklärt und es damit Regierungen wie in den USA oder der Ukraine ermöglicht, das Kriegsrecht zu verhängen und den nationalen Notstand auszurufen, was die Aufhebung aller Grundrechte bedeutet und willkürliche Verhaftungen und Gefängnisstrafen nach sich ziehen kann. Jetzt lässt die WHO verlauten: »Laboruntersuchungen in der Ukraine haben das H1N1-Influenza-Virus bei Patienten in zwei der am meisten betroffenen Gebiete bestätigt. Da das Pandemie-Virus in kürzester Zeit weltweit zum vorherrschenden Influenza-Strang geworden ist, kann man davon ausgehen, dass die meisten Influenza-Fälle in der Ukraine durch das H1N1-Virus verursacht werden.«

Weiter erklärt die WHO: »Der Ausbruch in der Ukraine kann einen Hinweis darauf liefern, wie sich das Virus während des Winters in der nördlichen Hemisphäre verhalten wird, besonders unter Bedingungen der Gesundheitsversorgung, wie sie in Osteuropa anzutreffen sind. Da dieser Ausbruch als frühes Warnsignal von Bedeutung sein kann, spricht die WHO der Regierung der Ukraine ihre Anerkennung für die transparente Art der Meldung und das Überlassen von Blutproben aus.« Die Blutproben sind an das Mill Hill Influenza Reference Laboratory der WHO in London geschickt worden – was nicht unbedingt vertrauenerweckend ist angesichts der Tatsache, dass die britischen Gesundheitsbehörden in die Kritik geraten sind, weil sie Daten zugunsten der großen Impfstoffhersteller wie GlaxoSmithKline manipuliert haben sollen.

Die WHO »empfiehlt dringend die frühzeitige Behandlung mit antiviralen Wirkstoffen wie Oseltamivir oder Zanamivir für Patienten, auf die die Behandlungskriterien zutreffen, selbst dann, wenn kein positives Ergebnis einer Laboruntersuchung für eine H1N1-Infektion vorliegt«. Die Rede ist von Tamiflu, dem höchst gefährlichen Medikament, an dem der ehemalige US-Verteidigungsminister Donald Rumsfeld kräftig mitverdient. Und die Rede ist von GlaxoSmithKline, dem Hersteller des gleichermaßen gefährlichen Konkurrenzprodukts Relenza.

 

Ukrainische Wahlpolitik

Die absonderlichen Entwicklungen in der Ukraine im Verlauf der letzten zweieinhalb Wochen werden im Land auf den laufenden Wahlkampf zurückgeführt. In knapp vier Monaten finden Präsidentschaftswahlen statt. Zu den aussichtsreichen Kandidaten zählen Premierministerin Julija Tymoschenko und ihr Hauptrivale Aseniy Jazenjuk.

Der 35-jährige Jazenjuk, ein ehemaliger Banker und Assistent von Präsident Viktor Juschtschenko – Washingtons Liebling – wirft Tymoschenko vor, sie betreibe unnötige Panikmache, um das Kriegsrecht verhängen und die Wahlen verschieben zu können, bei denen sie durchaus gegen Jazeniuk den Kürzeren ziehen könnte.

Die Ukraine wird in der Zeit des Wahlkampfs von einer Epidemie der »fliegenden Schweine« heimgesucht.

Definitiv wird hier von den politischen Lagern in der wirtschaftlich zerrütteten Ukraine ein politisches Spiel getrieben. Alexander Bilovol, stellvertretender Gesundheitsminister der Ukraine, erklärt, der Ausbruch der Grippe sei in elf der 25 ukrainischen Regionen im Wesentlichen unter Kontrolle; die Zahl der angeblich an H1N1 Erkrankten liege nur 15 Prozent über dem Wert der Vorjahre. »Die Zahlen in anderen Regionen entsprechen denen von 2007 und 2008«, so Bilovol. Auch die Zahl der gemeldeten Todesfälle liegt auf dem Niveau der jedes Jahr aufgrund der normalen Grippe auftretenden Fälle.

Tymoschenko hat den Ausbruch der Grippe zur – höchstmöglichen – Stufe drei erklärt, um die Freigabe von bis zu drei Milliarden Hrywnjka [die ukrainische Landeswährung] für den Kampf gegen die Schweinegrippe zu erwirken. Der entsprechende Erlass ermöglicht unter anderem die Schließung von Schulen und das Verbot öffentlicher Versammlungen für drei Wochen in der gesamten Ukraine. Die Regierung erwägt ebenfalls, den freien Personenverkehr zwischen den einzelnen Regionen einzuschränken.

Kritisch vermerkt Jazenjuk, das Verbot öffentlicher Versammlungen verbreite Angst und Panik und helfe Tymoschenko, sich selbst im Fernsehen zu präsentieren, während die anderen Präsidentschaftskandidaten bei ihrer Kampagne behindert würden. Jazenjuk ist Tymoschenkos schärfster Rivale, denn beide kämpfen im Westen des Landes um die Gunst der Wähler. Er ist möglicherweise der einzige Kandidat, der Tymoschenko in der ersten Runde am 17. Januar gefährlich werden und somit bei einer Stichwahl gegen Oppositionsführer Viktor Janukovitsch antreten kann.

Jazenjuk fügte hinzu, die Panikmache der Regierung lasse politische Fragen in den Hintergrund treten, die Tymoschenko schaden könnten, wie Skandale über Pädophilie und Mord, an denen Abgeordnete von Tymoschenkos Partei beteiligt waren, oder die desolate Wirtschaftslage in der Ukraine.

Ungeachtet der tatsächlichen Verhältnisse nutzt Premierministerin Tymoschenko die Panik über die Schweinegrippe bis an die Grenzen des Möglichen. In einer kürzlich herausgegebenen Erklärung hieß es: »Wir dürfen in unseren Anstrengungen nicht einen Augenblick nachlassen, denn die Weltgesundheitsorganisation sagt für die Ukraine zwei weitere Grippewellen voraus, darunter auch die Vogelgrippe. Es gibt keine Alternative zur Impfung. Die ganze Welt geht diesen Weg …« Einen Tag zuvor hatte sie zugegeben, selbst nicht geimpft zu sein, sie verlasse sich »wie alle anderen auch« zur Vorbeugung gegen die Grippe auf Knoblauch, Zwiebeln und Zitronen.

Ihr Gegenkandidat wirft Premierministerin Tymoschenko vor, sie nutze die Schweinegrippe, um die Wahl zu ihren Gunsten zu beeinflussen.

Wolodymyr Lytwyn, der Sprecher des ukrainischen Parlaments, macht Tymoschenko ebenfalls Vorwürfe. »Sie haben die Schweinegrippe-Epidemie organisiert, um davon abzulenken, dass Sie dafür verantwortlich sind, dass Wohnungen, Schulen, Hochschulen und Kindergärten nicht geheizt werden«, erklärte er bei einer Parlamentssitzung. Juschtschenko, der Präsident der Orangenen Revolution, betont, es sei nicht notwendig gewesen, in der Ukraine den Notstand auszurufen: »Es gibt dafür keinen Grund. Ich bin kein Befürworter von Maßnahmen, die das Land lahmlegen und das öffentliche Leben in einem Maße einschränken, das sich nur schwer rechtfertigen lässt.«

Igor Popow, Juschtschenkos stellvertretender Stabschef, spricht bereits davon, dass im Notfall die jetzt auf den 17. Januar 2010 anberaumten Wahlen »neu angesetzt« werden müssten.

 

Auch in Deutschland: Schwindel und Korruption rund um die Schweinegrippe

Doch nicht nur die Regierung der Ukraine nutzt die Angst vor einer Schweinegrippe-Pandemie, um den innenpolitischen Kurs zu ändern, auch Präsident Obama hat in den USA unnötigerweise deswegen den Notstand erklärt. Jetzt kommt ans Licht, dass auch die verantwortlichen Gesundheitsbehörden in Deutschland von einem korrupten Interessenkonflikt betroffen sind – und zwar gegenüber genau den großen Pharmaherstellern, die von der Entscheidung der Regierung zum Kauf von »Schweinegrippe-Impfstoffen« profitieren.

Der Spiegel berichtet in seiner neuesten Ausgabe (44/2009), dass die European Scientific Working Group on Influenza (ESWI), eine Lobbyorganisation, die sich selbst als unabhängiges wissenschaftliches Beratergremium bezeichnet, das die Regierungen der EU-Staaten in Fragen der H1N1-Influenza berät, alles andere als unabhängig ist. Die Organisation wird von den großen Unternehmen, den »Big Pharma«, finanziert. Nach eigenem Bekunden führt die ESWI die wichtigsten »Influenza-Forscher« zusammen. Sie wird jedoch ausschließlich von zehn großen Pharmaherstellern finanziert, darunter GlaxoSmithKline, dem Hersteller des in Deutschland verwendeten Impfstoffs, und Roche, dem Hersteller des antiviralen Medikaments Tamiflu.

Die Organisation hat Walter Haas als wissenschaftlichen Berater gewonnen. Haas ist Koordinator der Vorsorgemaßnahmen gegen die Grippe-Pandemie in Deutschland beim staatlichen Robert-Koch-Institut (RKI). Die ESWI präsentiert sich selbst als unabhängigen Forscherverband. Doch die Geschichte der Organisation sagt etwas anderes, sie beschreibt ihre Rolle als Berater von Politikern und Gesundheitsbehörden über »Nutzen und Sicherheit von Grippe-Impfstoffen und antiviralen Mitteln« und befördert »eine Politik der antiviralen Bevorratung«.

Das Ausmaß von Täuschung, Betrug, offizieller Vertuschung und ausgesprochen krimineller Gefährdung der breiten Bevölkerung durch die laufende Schweinegrippe-Hysterie ist wahrhaft beispiellos.

 

Samstag, 14.11.2009

Kategorie: Enthüllungen, Wirtschaft & Finanzen, Politik

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dimanche, 13 décembre 2009

Tiberio Graziani: Afghanistan 1979

troops_detail2.jpgAfghanistan 1979

Déstabilisation du Proche et du Moyen Orient et origine du collapsus soviétique dans la géopolitique étasunienne

 

par Tiberio Graziani *

 

1979, l’année de la déstabilisation

Parmi les divers évènements de la politique internationale de l’année 1979, il y en a deux qui sont particulièrement importants à souligner, pour avoir contribué au bouleversement de la géopolitique mondiale basée à l’époque sur la confrontation  entre les USA et l'URSS.

Il s’agit de la révolution islamique d'Iran et de l'aventure soviétique en Afghanistan.

 

Comme on le sait, la prise du pouvoir par l'ayatollah Khomeiny élimina un des piliers fondamentaux sur lesquels reposait l'architecture géopolitique occidentale, édifiée par les États-Unis à partir de la fin de la seconde guerre mondiale.

L'Iran de Reza Pahlavi représentait, dans les relations de pouvoir entre les États-Unis et l'URSS, en particulier au niveau géostratégique, un pion très important dont la disparition poussa le Pentagone et Washington à une révision profonde de la géopolitique des États-Unis dans la région.

En fait, un Iran autonome et hors de contrôle introduisait, sur l'échiquier géopolitique régional, une variable qui compromettait potentiellement toute la cohérence du système bipolaire.

En outre, le nouvel Iran, comme puissance régionale anti-étatsunienne et anti-israélienne, possédait également toutes les caractéristiques (en particulier, l’étendue et la centralité géographiques, ainsi que l'homogénéité politico-religieuse) pour prétendre à l'hégémonie sur une partie au moins du Moyen-Orient, en opposition ouverte avec les aspirations analogues et les intérêts d'Ankara et de Tel-Aviv -  les deux solides piliers de la stratégie régionale de Washington - et d’Islamabad.

 

Pour ces raisons, les stratèges de Washington, conformément à leur « géopolitique du chaos » bicentenaire, poussèrent immédiatement l'Irak de Saddam Hussein à déclencher une guerre contre l'Iran.

 

La déstabilisation de toute la région permettait à Washington et à l'Occident de se donner du temps pour mettre au point une stratégie à long terme, et de « harceler sur ses flancs », en toute tranquillité, l'ours soviétique.

 

Comme l’a révélé, il y a onze ans, Zbigniew Brzezinski, conseiller à la sécurité nationale du président Jimmy Carter, lors d'une interview donnée à l'hebdomadaire français Le Nouvel Observateur (15-21 janvier 1998, p. 76), la CIA avait pénétré en Afghanistan, en vue de déstabiliser le gouvernement de Kaboul, en juillet 1979 déjà, soit cinq mois avant l'intervention de l’armée soviétique.

La première directive par laquelle Carter autorisait l'action clandestine pour aider secrètement les adversaires du gouvernement pro-soviétique date, en fait, du 3 juillet 1979.

 

Le même jour, le stratège étatsunien d'origine polonaise écrivit une note au président Carter, dans laquelle il expliquait que sa directive conduirait Moscou à intervenir militairement.

Cela se réalisa parfaitement à la fin de décembre de la même année.

 

Toujours dans la même interview, Brzezinski rappelle que, lorsque les Soviétiques entrèrent en Afghanistan, il écrivit une autre note à Carter, exprimant l'opinion que les USA avaient finalement l’occasion de donner à l'Union soviétique « sa guerre du Vietnam ».

Le conflit, insoutenable pour Moscou, devait conduire, selon Brzezinski, à l'effondrement de l'empire soviétique.

 

Le long engagement militaire des Soviétiques en faveur du gouvernement communiste de Kaboul contribua, en effet, à affaiblir encore davantage l'Union soviétique, déjà en proie à une importante crise interne,  aussi bien sur le plan politique que socio-économique.

 

Comme nous le savons aujourd'hui, le retrait des troupes de Moscou du théâtre afghan laissa toute la région dans une situation d'extrême fragilité politique, économique, et surtout géostratégique. En effet, dix ans seulement après la révolution iranienne, la région tout entière avait été complètement déstabilisée au profit exclusif du système occidental. Le déclin, contemporain et inéluctable, de l'Union soviétique, accéléré par son aventure en Afghanistan et, ultérieurement, le démembrement de la Fédération yougoslave (une sorte d'État tampon entre les blocs occidental et soviétique) dans les années 90, ouvrirent la voie à l’expansion des États-Unis - de l'hyper-puissance, selon la définition du ministre français Hubert Védrine - dans l'espace eurasien.

 

Succédant au système bipolaire, une nouvelle saison géopolitique allait s’ouvrir: celle du «moment unipolaire».

Le nouveau système unipolaire aura, toutefois, une vie très courte, qui se terminera – à l'aube du XXIe siècle, - avec la réaffirmation de la Russie en tant qu'acteur mondial et l’émergence concomitante, économique et géopolitique, de la Chine et de l’Inde, les deux États-continents de l’Asie.

 

 

Les cycles géopolitique de l'Afghanistan

L'Afghanistan, en raison de ses spécificités, relatives, en premier lieu à sa position par rapport à l'espace soviétique (frontières avec les Républiques - à l’époque soviétiques - du Turkménistan, d’Ouzbékistan et du Tadjikistan), à ses caractéristiques géographiques, et aussi à son hétérogénéité ethnique, culturelle et confessionnelle, représentait, aux yeux de Washington, une grande partie de l’ « arc de crise», c'est à dire de cette portion de territoire qui s'étend des frontières sud de l'URSS à l'océan Indien. Le choix, comme piège pour l'Union soviétique, était donc tombé sur l'Afghanistan pour d’évidentes raisons géopolitiques et géostratégiques.

 

Du point de vue de l’analyse géopolitique, l'Afghanistan représente en fait un excellent exemple d'une zone de crise, où les tensions entre les grandes puissances se manifestent depuis des temps immémoriaux.

 

Le territoire actuellement dénommé République islamique d'Afghanistan, où le pouvoir politique a toujours été structuré autour de la domination des tribus pachtounes sur les autres groupes ethniques (Tadjiks, Hazaras Ouzbeks, Turkmènes, Baloutches), s’est constitué à la frontière de trois grands dispositifs géopolitiques: l'Empire mongol, le khanat ouzbek et l'Empire perse. Et ce sont les différends entre ces trois entités géopolitiques limitrophes qui détermineront son histoire.

 

Pendant les XVIIIe et XIXe siècles, lorsque l’État se consolidera en tant que royaume d’Afghanistan, la région deviendra l'objet de différends entre deux autres entités géopolitiques majeures: l'Empire de Russie et la Grande-Bretagne. Dans le cadre du «grand jeu », la Russie, puissance continentale, dans sa poussée vers les mers chaudes (océan Indien), l'Inde et la Chine, se heurte à la puissance maritime britannique, qui tente, à son tour, d’encercler et pénétrer la masse de l'Eurasie, vers l'est en direction de la Birmanie, de la Chine, du Tibet et du bassin du Yangtze, en s'appuyant sur l'Inde, et vers l'ouest en direction de l'actuel Pakistan, de l'Afghanistan et de l'Iran jusqu’au Caucase, à la mer Noire, à la Mésopotamie et au Golfe Persique.

 

Dans le système bipolaire, à la fin du XXe siècle, comme on l’a vu plus haut, l'Afghanistan est une fois de plus le théâtre de la compétition entre une puissance maritime, les USA, et une puissance continentale, l’URSS.

 

Aujourd'hui, après l'invasion étatsunienne de 2001, ce que Brzezinski avait, de façon présomptueuse, appelé le piège afghan des Soviétiques, est devenu le cauchemar et le bourbier des États-Unis.

 



* Directeur de Eurasia. Rivista di studi geopolitici – www.eurasia-rivista.org - direzione@eurasia-rivista.org